Born Dead – La ballata grind punk di Dast

Esattamente come in un pezzo grind l’autore prova a colpire le viscere del lettore attraverso un'opera veloce, violenta, crudele


L’arte a sfondo politico è sempre cosa complessa da gestire. Basta poco infatti e si rischia di cadere nello stucchevole, nel cliché e perdere ogni misura del lavoro che si sta compiendo. Ancora più complesso è quando si decide di muovere una critica sociale all’interno del contesto visivo, sonoro o scritto nella costellazione del punk.

Essere punk è più difficile di quanto si possa immaginare. Si tratta di un atteggiamento, di una postura nei confronti del mondo, in cui si rivendica una sorta di spazio per la propria esistenza che contempli una libertà che ha a che fare non solo con la dimensione del politico, ma anche del proprio corpo, delle proprie relazioni sociali. Gli artisti che hanno un determinato modo di approcciare il loro lavoro (e di conseguenza, il mondo) fanno una scelta ben chiara: non piacere a tutti.

E gradevolmente spiacevole è Born Dead di Dast per In Your Face Comix, un viaggio allucinato, una storia che comincia con una nascita che somiglia a un aborto e che muove le sue orrorifiche sensazioni attraverso delle viscere che poco hanno a che fare con l’umano ma che molto sembrano dire della condizione umana.

Assistiamo alla “nascita” del nostro protagonista. Poi assistiamo al suo suicidio, e alla sua nascita ancora, in un ciclo senza fine che sembra essere segnato non tanto dal dolore dell’esistenza, per quanto di esistenzialismo nichilista sia impregnata tutta l’opera, ma da una condizione di galleggiamento che è peggio della morte.

La storia è a malapena una storia, ma questa è una scelta deliberata, un susseguirsi di sequenze in cui l’io del nostro protagonista viene continuamente spostato all’interno di un sistema di scatole cinesi. Ogni volta che questa creatura sembra aver trovato una nuova dimensione adatta, Dast la punisce, trascinandola in un orrore più profondo e paralizzante. Sarebbe il caso di utilizzare l’abusato - ma in questo caso pertinente - aggettivo di “lovecraftiano” per un racconto che punta dritto alla viscere, parlando di viscere.

Dal punto di vista grafico l’artista imbastisce con grande abilità un impianto visivo alquanto sgradevole. Sgraziato è tutto ciò che ci capita di vedere, il che contribuisce a rendere impattante l’immagine: grezza, piena di fat-line aggressive e chiuse e che non lasciano spazio a ombreggiature. Tutto è bianco e nero, vita e morte mischiate a un approccio naïf che è tipico di un modo di concepire violento ed estremamente sensibile il mondo del fumetto.


L’occhio più attento si accorge con facilità dell’abilità di Dast nel comunicare attraverso le sue immagini, nel rendere efficace il disegno rispetto alla storia raccontata, aiutandoci a orientarci attraverso una sceneggiatura schizofrenica.

L’anima di Born Dead si trova, forse, proprio nella dedica che anticipa la storia: questo fumetto è dedicato “a chi soffre” e poi si prodiga a indagare a fondo nella sofferenza di tutti gli esseri umani, cercando, visivamente e narrativamente, una dimensione adeguata a descrivere non un dolore, ma il dolore in sé, quello che in particolare appartiene a tutti ed è in qualche modo condizione stessa della natura umana.

Alessio Fasano

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