Il fumetto come deformazione poetica: intervista a Eva Daffara
Eva Daffara esordisce con Lindy Hop dall’Aldilà e ci parla del suo percorso creativo
Nato come tesi di diploma all’Accademia di Belle Arti di Bologna, il fumetto è approdato in libreria conservando tutta la sua carica anarchica: è un bestiario umano in cui convivono piloti di Formula Uno esistenzialisti, influencer in crisi e venditrici porta-a-porta. Sotto questa patina demenziale e punk però pulsa sempre qualcosa di fragile: il desiderio dei personaggi di trovare un posto nel mondo, di essere accettati, ascoltati e visti.
Abbiamo dunque intervistato Eva Daffara per farci raccontare come nascono le sue storie, come si raccontano catastrofi con il sorriso e cosa significa oggi, per un’autrice giovane, fare fumetto restando fedele al proprio sguardo.
Lindy Hop dall’Aldilà nasce come tesi di diploma in Linguaggi del Fumetto all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Hai apportato modifiche prima della pubblicazione con Eris Edizioni? Quando hai iniziato il tuo percorso cosa ti aspettavi o auguravi?
Avevo iniziato a lavorare a Lindy Hop dall'Aldilà dal primo anno del biennio di Linguaggi del Fumetto. Me lo immaginavo come un fumetto del passato dimenticato e ritrovato dopo tanti anni, dall'estetica retro nel bianco e nero, un mix tra motivi alla grottesca e statuaria sepolcrale. Volevo fare una commedia nera che avesse per protagonisti una combriccola di pazzi scatenati in un paese dimenticato da Dio. Uno scenario di provincia dove puoi trovare avventura, critica sociale e intimità quotidiana.
Sarebbe stato un lavoro complesso e articolato, ma io ho l'ho visto come un'avventura e un passo importante che avrei dovuto fare. Mi ero imposta di realizzare un graphic novel corale al completo, come tesi e come progetto editoriale. Volevo sperimentare il più possibile. Era un'ossessione e un bel viaggione. Non avrei accettato di rinunciare o di lasciare il lavoro a metà.
Da iniziale raccolta di racconti brevi, ho impostato la storia secondo il formato del graphic novel a narrazione corale. Mi ero affezionata molto ai miei personaggi e volevo tenerli tutti, insieme alle storie che avevo creato in fase di progettazione. Leggere Ice Haven di Daniel Clowes mi aveva convinto dell'idea che era assolutamente possibile raggiungere questo obiettivo. Ho studiato e fatto ricerca su fumetti e film a narrazione corale che parlano di società e di vite in periferia per entrare nello spirito di questa forma di narrazione e creare un meccanismo narrativo dove tutto funzionasse.
Avevo in mente dall'inizio di destinare Lindy Hop dall'Aldilà a una proposta editoriale, ma ero convinta che la storia fosse un azzardo perché rappresenta contesti e personaggi troppo bizzarri e perché non segue stili di disegno e tematiche di tendenza. Quindi avevo valutato diverse alternative. Prima che si prospettasse la possibilità di candidare la mia tesi per la Borsa avevo messo in conto che se non fosse andato in porto con un editore, avrei provato ad autoprodurlo come fumetto fatto di tre parti: l'avevo impostato come progetto-frankenstein da smembrare a seconda delle necessità. Avrei fatto il possibile per far conoscere Lindy Hop dall'Aldilà e continuare a lavorarci.
Cosa succede quando metti in un frullatore gli abissi dell’animo umano, le deformazioni da cartoon anni ’90 e un paesello surreale popolato da emarginati? Succede che nasce Lindy Hop dall’Aldilà, esordio esplosivo di Eva Daffara, pubblicato da Eris Edizioni e vincitore della seconda edizione della Borsa di studio Tuono Pettinato.
Nato come tesi di diploma all’Accademia di Belle Arti di Bologna, il fumetto è approdato in libreria conservando tutta la sua carica anarchica: è un bestiario umano in cui convivono piloti di Formula Uno esistenzialisti, influencer in crisi e venditrici porta-a-porta. Sotto questa patina demenziale e punk però pulsa sempre qualcosa di fragile: il desiderio dei personaggi di trovare un posto nel mondo, di essere accettati, ascoltati e visti.
Abbiamo dunque intervistato Eva Daffara per farci raccontare come nascono le sue storie, come si raccontano catastrofi con il sorriso e cosa significa oggi, per un’autrice giovane, fare fumetto restando fedele al proprio sguardo.
Lindy Hop dall’Aldilà nasce come tesi di diploma in Linguaggi del Fumetto all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Hai apportato modifiche prima della pubblicazione con Eris Edizioni? Quando hai iniziato il tuo percorso cosa ti aspettavi o auguravi?
Avevo iniziato a lavorare a Lindy Hop dall'Aldilà dal primo anno del biennio di Linguaggi del Fumetto. Me lo immaginavo come un fumetto del passato dimenticato e ritrovato dopo tanti anni, dall'estetica retro nel bianco e nero, un mix tra motivi alla grottesca e statuaria sepolcrale. Volevo fare una commedia nera che avesse per protagonisti una combriccola di pazzi scatenati in un paese dimenticato da Dio. Uno scenario di provincia dove puoi trovare avventura, critica sociale e intimità quotidiana.
Sarebbe stato un lavoro complesso e articolato, ma io ho l'ho visto come un'avventura e un passo importante che avrei dovuto fare. Mi ero imposta di realizzare un graphic novel corale al completo, come tesi e come progetto editoriale. Volevo sperimentare il più possibile. Era un'ossessione e un bel viaggione. Non avrei accettato di rinunciare o di lasciare il lavoro a metà.
Da iniziale raccolta di racconti brevi, ho impostato la storia secondo il formato del graphic novel a narrazione corale. Mi ero affezionata molto ai miei personaggi e volevo tenerli tutti, insieme alle storie che avevo creato in fase di progettazione. Leggere Ice Haven di Daniel Clowes mi aveva convinto dell'idea che era assolutamente possibile raggiungere questo obiettivo. Ho studiato e fatto ricerca su fumetti e film a narrazione corale che parlano di società e di vite in periferia per entrare nello spirito di questa forma di narrazione e creare un meccanismo narrativo dove tutto funzionasse.
Avevo in mente dall'inizio di destinare Lindy Hop dall'Aldilà a una proposta editoriale, ma ero convinta che la storia fosse un azzardo perché rappresenta contesti e personaggi troppo bizzarri e perché non segue stili di disegno e tematiche di tendenza. Quindi avevo valutato diverse alternative. Prima che si prospettasse la possibilità di candidare la mia tesi per la Borsa avevo messo in conto che se non fosse andato in porto con un editore, avrei provato ad autoprodurlo come fumetto fatto di tre parti: l'avevo impostato come progetto-frankenstein da smembrare a seconda delle necessità. Avrei fatto il possibile per far conoscere Lindy Hop dall'Aldilà e continuare a lavorarci.
Il fumetto è nato come progetto accademico autogestito ed è poi diventato una pubblicazione vera e propria grazie a Eris Edizioni. Questo passaggio ha modificato in qualche modo il tuo approccio al lavoro? Come hai vissuto il confronto con un referente editoriale?
Eris Edizioni mi ha dato molta libertà nella realizzazione della storia, sono stata seguita a più riprese in fase di editing e in tutto il lavoro post-pubblicazione che stiamo tuttora proseguendo. Non ci sono stati cambiamenti drastici o modifiche significative nel fumetto. Confrontarmi con i miei editori mi ha fatto capire cosa vuol dire accompagnare il lettore in una narrazione lunga dando un maggiore respiro e senso di sintesi nel comunicare.
Quando faccio una storia ho sempre tantissime idee e mi piace perdermi nel mio mondo immaginario, ma spesso rischio di perdere la cognizione del tempo e dello spazio e accumulare troppe informazioni. Nella versione di tesi gli eventi si succedevano ad un ritmo molto veloce, era necessario rallentare e dare spazio anche ai silenzi, alla dilatazione dei tempi. È stato anche un grande lavoro sui testi e sul linguaggio da adottare, perché anche una storia all'insegna dell'assurdo deve essere comprensibile da un lettore che non legge abitualmente fumetti.
Mi sono trovata molto bene a lavorare con Anna Matilde Sali e Sonny Partipilo, sono sempre stati disponibili a rispondere alle mie domande e a venirmi incontro nella gestione del lavoro. Ci siamo intesi subito sulla sensibilità weird che doveva avere il fumetto e sulle scelte editoriali, hanno fatto il possibile per valorizzare nel dettaglio il mio esordio e anche dal punto di vista umano, li ho sentiti molto vicini. Da parte mia vedo Eris Edizioni come una casa editrice attenta anche alle realtà del fumetto indipendente, ogni pubblicazione è un mondo a sè stante, anche nell'apertura nei confronti della narrativa di genere e dell'arte sperimentale. Sono veramente contenta di questa avventura e mi piacerebbe continuare in futuro!
Quando faccio una storia ho sempre tantissime idee e mi piace perdermi nel mio mondo immaginario, ma spesso rischio di perdere la cognizione del tempo e dello spazio e accumulare troppe informazioni. Nella versione di tesi gli eventi si succedevano ad un ritmo molto veloce, era necessario rallentare e dare spazio anche ai silenzi, alla dilatazione dei tempi. È stato anche un grande lavoro sui testi e sul linguaggio da adottare, perché anche una storia all'insegna dell'assurdo deve essere comprensibile da un lettore che non legge abitualmente fumetti.
Mi sono trovata molto bene a lavorare con Anna Matilde Sali e Sonny Partipilo, sono sempre stati disponibili a rispondere alle mie domande e a venirmi incontro nella gestione del lavoro. Ci siamo intesi subito sulla sensibilità weird che doveva avere il fumetto e sulle scelte editoriali, hanno fatto il possibile per valorizzare nel dettaglio il mio esordio e anche dal punto di vista umano, li ho sentiti molto vicini. Da parte mia vedo Eris Edizioni come una casa editrice attenta anche alle realtà del fumetto indipendente, ogni pubblicazione è un mondo a sè stante, anche nell'apertura nei confronti della narrativa di genere e dell'arte sperimentale. Sono veramente contenta di questa avventura e mi piacerebbe continuare in futuro!
Con questo fumetto hai vinto anche la seconda edizione della Borsa di Studio Tuono Pettinato. Cosa ha significato per te? Conoscevi già il lavoro di Tuono Pettinato?
Non mi aspettavo che Lindy Hop dall'Aldilà venisse scelto come progetto di tesi per la Borsa della Fondazione Tuono Pettinato e sono stata molto contenta di questo riscontro. Da parte mia, ho preso molto seriamente questo lavoro e mi sono curata di rendere il mio graphic novel il più possibile completo e aggiornato. Quando si è prospettata la possibilità di candidarmi per la Borsa, un'opportunità in particolare per le storie di genere umoristico, ho pensato sin da subito di presentare questo fumetto. Sono sempre stata convinta di esprimermi attraverso il grottesco e l'umorismo ed è significato molto per me lavorare a un progetto connesso alla Fondazione Tuono Pettinato, che fa un lavoro incredibile nella sensibilizzazione culturale sull'arte del fumetto e nel creare un incontro con pubblici di ogni genere.
Conoscevo il lavoro di Tuono Pettinato e quando frequentavo il primo anno del biennio di Linguaggi del Fumetto in Accademia a Bologna sapevo che teneva un corso di fumetto umoristico. Purtroppo non l'ho mai incontrato né come professore, né come persona, ma attraverso le sue opere e le testimonianze di chi lo conosceva. Le mie storie preferite di Tuono Pettinato sono Chatwin, Corpicino, Enigma. Mi è sempre piaciuta la sua capacità di raccontare e di utilizzare repertori visivi, narrazioni e soggetti passando con naturalezza dalla cultura pop al mondo intellettuale. Nel parlare degli aspetti più controversi della natura umana e della società contemporanea sa mostrare crudeltà e tenerezza, mantenendo sempre semplicità e chiarezza nel segno e nel racconto. Con l'umorismo fa divertire e sa come colpire.
Conoscevo il lavoro di Tuono Pettinato e quando frequentavo il primo anno del biennio di Linguaggi del Fumetto in Accademia a Bologna sapevo che teneva un corso di fumetto umoristico. Purtroppo non l'ho mai incontrato né come professore, né come persona, ma attraverso le sue opere e le testimonianze di chi lo conosceva. Le mie storie preferite di Tuono Pettinato sono Chatwin, Corpicino, Enigma. Mi è sempre piaciuta la sua capacità di raccontare e di utilizzare repertori visivi, narrazioni e soggetti passando con naturalezza dalla cultura pop al mondo intellettuale. Nel parlare degli aspetti più controversi della natura umana e della società contemporanea sa mostrare crudeltà e tenerezza, mantenendo sempre semplicità e chiarezza nel segno e nel racconto. Con l'umorismo fa divertire e sa come colpire.
Qual è stato il tuo punto di partenza creativo? Un bozzetto, un personaggio, Accabarì, gli Entroydi… o qualcos’altro?
Quando scrivo una storia parto sempre dai personaggi. Per Lindy Hop dall'Aldilà avevo creato un cast di personaggi-attori con caratteristiche precise: tutti dovevano essere emarginati sociali diversi per età, professione, classe sociale. Tutti soli a modo loro. Li disegnavo schizzati a matita, in scenette in storyboard, in character sheets con poche righe di idee sulle loro manie e sui loro "poteri". Decidere i sei eletti era stato come un torneo a eliminazione nel quale vincevano quelli che mi facevano più ridere e che mi sbloccavano più idee.
Man mano che realizzavo la storia riempivo il paese diroccato di Accabarì di dettagli, nuove località, attrazioni e suggestioni. L'avevo concepita come un'ambientazione che si apprestava all'avventura e alla contemplazione, con sentieri ad ostacoli e paesaggi immensi per mettere sempre in difficoltà i protagonisti. Le statue degli angeli giganti e deformi, gli Entroydi, avrebbero dato a Lindy Hop dall'Aldilà un appeal spiazzante e metafisico, dal fascino antiquato e decadente. Ho pensato agli Entroydi come se fossero il trademark dell'estetica di Accabarì e del fumetto in generale, come elementi narrativi e decorativi.
Man mano che realizzavo la storia riempivo il paese diroccato di Accabarì di dettagli, nuove località, attrazioni e suggestioni. L'avevo concepita come un'ambientazione che si apprestava all'avventura e alla contemplazione, con sentieri ad ostacoli e paesaggi immensi per mettere sempre in difficoltà i protagonisti. Le statue degli angeli giganti e deformi, gli Entroydi, avrebbero dato a Lindy Hop dall'Aldilà un appeal spiazzante e metafisico, dal fascino antiquato e decadente. Ho pensato agli Entroydi come se fossero il trademark dell'estetica di Accabarì e del fumetto in generale, come elementi narrativi e decorativi.
Dalla prima bozza alla versione finale quanto è cambiato il progetto? È rimasto più o meno coerente con l’idea iniziale o ci sono stati colpi di scena importanti?
Lavorare a Lindy Hop dall'Aldilà è stato un continuo divenire, non seguo mai un ordine lineare nelle fasi di lavoro per realizzare il fumetto. Nel complesso, la storia è stata mantenuta nel suo spirito, nell'idea di progetto e di immaginario. L'unica cosa che aveva subito un cambiamento significativo era la forma di narrazione. Avevo concepito la mia storia nel primo anno del biennio di Linguaggi del Fumetto come raccolta di racconti brevi, al tempo era ancora in fase di progettazione, stavo facendo schizzi, abbozzi di idee e storyboard. Diversi professori in Accademia mi avevano fatto riflettere sulla vendibilità del progetto per una proposta editoriale e i più mi avevano sconsigliato la forma della raccolta di racconti.
Rispetto alla versione di tesi di 248 pagine, il fumetto è molto più lungo. Tra splash pages singole e doppie e scene rifatte, Lindy Hop dall'Aldilà ha raggiunto le 288 pagine. Solo la prima parte della storia è stata quasi interamente rifatta e della versione di tesi non sono rimaste che poche tavole originali. Essendo cronologicamente più vecchia delle altre due, andava aggiornata nello stile di disegno e rifatte alcune scene per dilatare la vicenda e rallentare la lettura, valorizzando i respiri narrativi. Sono molto frequenti le splash pages singole e doppie di scene di paesaggi. Inoltre, nel libro mi sono divertita ad aggiungere molti più inserti decorativi negli intermezzi tra le parti e gli interni del libro.
Lavorare a Lindy Hop dall'Aldilà è stato un continuo divenire, non seguo mai un ordine lineare nelle fasi di lavoro per realizzare il fumetto. Nel complesso, la storia è stata mantenuta nel suo spirito, nell'idea di progetto e di immaginario. L'unica cosa che aveva subito un cambiamento significativo era la forma di narrazione. Avevo concepito la mia storia nel primo anno del biennio di Linguaggi del Fumetto come raccolta di racconti brevi, al tempo era ancora in fase di progettazione, stavo facendo schizzi, abbozzi di idee e storyboard. Diversi professori in Accademia mi avevano fatto riflettere sulla vendibilità del progetto per una proposta editoriale e i più mi avevano sconsigliato la forma della raccolta di racconti.
Rispetto alla versione di tesi di 248 pagine, il fumetto è molto più lungo. Tra splash pages singole e doppie e scene rifatte, Lindy Hop dall'Aldilà ha raggiunto le 288 pagine. Solo la prima parte della storia è stata quasi interamente rifatta e della versione di tesi non sono rimaste che poche tavole originali. Essendo cronologicamente più vecchia delle altre due, andava aggiornata nello stile di disegno e rifatte alcune scene per dilatare la vicenda e rallentare la lettura, valorizzando i respiri narrativi. Sono molto frequenti le splash pages singole e doppie di scene di paesaggi. Inoltre, nel libro mi sono divertita ad aggiungere molti più inserti decorativi negli intermezzi tra le parti e gli interni del libro.
C'è un personaggio a cui sei particolarmente affezionata o che ti ha messo più alla prova in fase di scrittura?
Voglio bene a tutti i miei personaggi e sento che con ognuno di loro potrò scoprire qualcosa di nuovo e di inedito. Non smetterò mai di conoscerli e di divertirmi a immaginarli nelle avventure e nelle situazioni più surreali, ma anche nei momenti di rituali quotidiani.
La Signorina Gappon, l'operatrice funebre portasfiga, è il personaggio che sento più vicino a me, lo vedo come mio alter ego. Il personaggio che mi ha messo più alla prova è stato la venditrice porta-a-porta Corinna, ma perché nelle sue parti ha una componente testuale molto più forte di tutti gli altri personaggi ed era necessario una continua revisione e modifica della scrittura, soprattutto nello stile. Il filone narrativo di Corinna è dato da una narrazione in prima persona, con uno stile fanciullesco, di influenze Pop Art. Un personaggio per il quale gli emblemi del consumismo e della pubblicità sono il pane quotidiano e al tempo stesso elementi bizzarri per leggere e capire il mondo. In particolare, per il suo stile di scrittura ho guardato molto ai dialoghi di Shatzy Shell in City di Alessandro Baricco: un modo di parlare da ragazza giovane e un po' incosciente, che parla a ruota libera di qualsiasi cosa. Guarda alla realtà in maniera immaginifica, da personaggio stralunato, un po' dissociato, ma che dovunque va riesce ad adattarsi e a cavarsela. Credo che caratterizzare Corinna e il suo mondo sia stato uno dei piani più ambiziosi e impegnativi, e ho conosciuto meglio questo personaggio dopo tanto tempo.
In Lindy Hop dall’Aldilà compaiono gli Entroydi, enormi e misteriose statue arrivate da non si sa dove. Come sono nate queste figure?
Mi divertivo a disegnare gli Entroydi nel tempo libero, mentre lavoravo all'estetica del borgo diroccato di Accabarì. In origine, volevo far comparire gli Entroydi nell'ultima parte della storia, come statue dallo stile simil-neoclassico di dimensioni imponenti, figure apocalittiche che arrivano dall'alto affollando tutto il paese. Dopo poco tempo, avevo dato a questi angeli-alieni un'aria sempre più mostruosa: li disegnavo ora a due teste, ora multibraccia, ora come corpi dai quali fuoriescono altri corpi. Potevo disegnarli in meno tempo e in un'infinita gamma di tipi diversi. Il deforme mi ha aiutato a essere più libera di inventare.
I consigli che mi avevano dato i miei prof in accademia erano stati fondamentali per dare agli Entroydi un ruolo più attivo nella storia. In particolare Edo Chieregato e Andrea Bruno, mio correlatore di tesi, mi avevano suggerito di non relegare gli Entroydi al ruolo di sfondo e che potevano avere un senso nella narrazione come entità misteriose. Questo mi aveva dato il via libera per pensare a quali imprevisti avrebbero creato gli Entroydi nelle vite dei personaggi. Attorno alle stranezze e al significato occulto degli Entroydi, avevo creato un filo conduttore per legare tutte le storie tragicomiche dei personaggi.
Voglio bene a tutti i miei personaggi e sento che con ognuno di loro potrò scoprire qualcosa di nuovo e di inedito. Non smetterò mai di conoscerli e di divertirmi a immaginarli nelle avventure e nelle situazioni più surreali, ma anche nei momenti di rituali quotidiani.
La Signorina Gappon, l'operatrice funebre portasfiga, è il personaggio che sento più vicino a me, lo vedo come mio alter ego. Il personaggio che mi ha messo più alla prova è stato la venditrice porta-a-porta Corinna, ma perché nelle sue parti ha una componente testuale molto più forte di tutti gli altri personaggi ed era necessario una continua revisione e modifica della scrittura, soprattutto nello stile. Il filone narrativo di Corinna è dato da una narrazione in prima persona, con uno stile fanciullesco, di influenze Pop Art. Un personaggio per il quale gli emblemi del consumismo e della pubblicità sono il pane quotidiano e al tempo stesso elementi bizzarri per leggere e capire il mondo. In particolare, per il suo stile di scrittura ho guardato molto ai dialoghi di Shatzy Shell in City di Alessandro Baricco: un modo di parlare da ragazza giovane e un po' incosciente, che parla a ruota libera di qualsiasi cosa. Guarda alla realtà in maniera immaginifica, da personaggio stralunato, un po' dissociato, ma che dovunque va riesce ad adattarsi e a cavarsela. Credo che caratterizzare Corinna e il suo mondo sia stato uno dei piani più ambiziosi e impegnativi, e ho conosciuto meglio questo personaggio dopo tanto tempo.
In Lindy Hop dall’Aldilà compaiono gli Entroydi, enormi e misteriose statue arrivate da non si sa dove. Come sono nate queste figure?
Mi divertivo a disegnare gli Entroydi nel tempo libero, mentre lavoravo all'estetica del borgo diroccato di Accabarì. In origine, volevo far comparire gli Entroydi nell'ultima parte della storia, come statue dallo stile simil-neoclassico di dimensioni imponenti, figure apocalittiche che arrivano dall'alto affollando tutto il paese. Dopo poco tempo, avevo dato a questi angeli-alieni un'aria sempre più mostruosa: li disegnavo ora a due teste, ora multibraccia, ora come corpi dai quali fuoriescono altri corpi. Potevo disegnarli in meno tempo e in un'infinita gamma di tipi diversi. Il deforme mi ha aiutato a essere più libera di inventare.
I consigli che mi avevano dato i miei prof in accademia erano stati fondamentali per dare agli Entroydi un ruolo più attivo nella storia. In particolare Edo Chieregato e Andrea Bruno, mio correlatore di tesi, mi avevano suggerito di non relegare gli Entroydi al ruolo di sfondo e che potevano avere un senso nella narrazione come entità misteriose. Questo mi aveva dato il via libera per pensare a quali imprevisti avrebbero creato gli Entroydi nelle vite dei personaggi. Attorno alle stranezze e al significato occulto degli Entroydi, avevo creato un filo conduttore per legare tutte le storie tragicomiche dei personaggi.
L’impostazione corale e apparentemente frammentaria del racconto nasconde in realtà una costruzione della trama molto precisa e complessa da gestire per un esordio. Come hai lavorato sulla struttura? Qual è stata la fase di scrittura o di lavorazione in generale che ti ha dato più grattacapi?
Volevo che Lindy Hop dall'Aldilà fosse un fumetto multiforme, dove ogni personaggio ha il suo mondo narrativo e visivo personalizzato in base alle sue caratteristiche. Volevo sfruttare al massimo il potenziale narrativo e grottesco di ogni protagonista e far sì che ognuno fosse un mondo, un'esperienza diversa per me e per il lettore.
La venditrice porta-a-porta Corinna ti porta in una sorta di road movie sulla sua sopravvivenza raccontata come un diario di bordo; i momenti di paranoia dello youtuber Enki ricreano le interfacce grafiche di video con citazioni dal mondo del web e della cultura pop; le storie del nobile senza memoria Vector Hellion sono esplorazioni silenziose di paesaggi sconfinati disegnati in una struttura a griglia a nove vignette con splashpage finale di scene di paesaggio.
Ho realizzato Lindy Hop dall'Aldilà improvvisando e lasciandomi andare al libero fluire degli eventi a seconda del personaggio che volevo seguire, in base al mio umore e alle idee che mi venivano in testa. Un giorno potevo avere più voglia dei disastri che combina la becchina Signorina Gappon, il giorno seguente potevo invece sbizzarrirmi con le discussioni sui massimi sistemi del comico Giò Bindi.
Però mi ero imposta di seguire alcune regole per avere più controllo nella gestione dell'intera storia: prima di tutto, le storie dei protagonisti dovevano svilupparsi secondo coppie di personaggi che entrano in relazione gli uni con gli altri. Nessun personaggio doveva passare troppo tempo da solo o finire in secondo piano. Inoltre, gli Entroydi, le statue di angeli deformi, dovevano essere l'innesco di imprevisti, svolte narrative e dei momenti di introspezione psicologica dei personaggi. Tutti i protagonisti dovevano interagire con quelle statue e in nessun caso dovevano essere ignorate o relegate a mera scenografia.
Queste regole mi hanno permesso di lavorare con più disciplina e avere maggiore controllo dello spazio e della durata della storia. Anche suddividere il fumetto in tre parti è stato necessario per avere più ordine mentale e creare momenti di silenzio sia per me, sia per chi legge. Nella prima parte avviene tutta la presentazione del contesto e dei personaggi con i rispettivi problemi, la seconda è dedicata ai conflitti, la terza al ricongiungimento e al riappacificarsi.
Le parti che mi hanno creato più difficoltà sono state l'inizio e la partita di poker contro il Signor Coragyps (il signore-avvoltoio). In generale quando scrivo una storia è sempre molto difficile per me pensare all'inizio per via dell'ansia da prestazione e dell'indecisione. Vorrei sempre far entrare in scena i personaggi nel migliore dei modi e valorizzarli in momenti iconici e scenografici che entrino subito nella memoria del lettore, spesso in media res.
Per quanto riguarda la partita di poker, volevo che fosse un'impresa avventurosa che avesse un che di leggendario e di spiazzante al tempo stesso. Mi ero guardata tutti i tutorial e i video di partite di poker alla texana per capire le meccaniche del gioco. Potevano esserci tensione, bluff, momenti di prese in giro e soprattutto di fortuna, un tema che coincideva con lo spirito della storia. Però bisognava controllare che tutte le mosse e le scale dei personaggi fossero giuste e fare ellissi e tagli per gestire i tempi della partita e non renderla troppo lunga, soprattutto per chi non gioca a poker.
La venditrice porta-a-porta Corinna ti porta in una sorta di road movie sulla sua sopravvivenza raccontata come un diario di bordo; i momenti di paranoia dello youtuber Enki ricreano le interfacce grafiche di video con citazioni dal mondo del web e della cultura pop; le storie del nobile senza memoria Vector Hellion sono esplorazioni silenziose di paesaggi sconfinati disegnati in una struttura a griglia a nove vignette con splashpage finale di scene di paesaggio.
Ho realizzato Lindy Hop dall'Aldilà improvvisando e lasciandomi andare al libero fluire degli eventi a seconda del personaggio che volevo seguire, in base al mio umore e alle idee che mi venivano in testa. Un giorno potevo avere più voglia dei disastri che combina la becchina Signorina Gappon, il giorno seguente potevo invece sbizzarrirmi con le discussioni sui massimi sistemi del comico Giò Bindi.
Però mi ero imposta di seguire alcune regole per avere più controllo nella gestione dell'intera storia: prima di tutto, le storie dei protagonisti dovevano svilupparsi secondo coppie di personaggi che entrano in relazione gli uni con gli altri. Nessun personaggio doveva passare troppo tempo da solo o finire in secondo piano. Inoltre, gli Entroydi, le statue di angeli deformi, dovevano essere l'innesco di imprevisti, svolte narrative e dei momenti di introspezione psicologica dei personaggi. Tutti i protagonisti dovevano interagire con quelle statue e in nessun caso dovevano essere ignorate o relegate a mera scenografia.
Queste regole mi hanno permesso di lavorare con più disciplina e avere maggiore controllo dello spazio e della durata della storia. Anche suddividere il fumetto in tre parti è stato necessario per avere più ordine mentale e creare momenti di silenzio sia per me, sia per chi legge. Nella prima parte avviene tutta la presentazione del contesto e dei personaggi con i rispettivi problemi, la seconda è dedicata ai conflitti, la terza al ricongiungimento e al riappacificarsi.
Le parti che mi hanno creato più difficoltà sono state l'inizio e la partita di poker contro il Signor Coragyps (il signore-avvoltoio). In generale quando scrivo una storia è sempre molto difficile per me pensare all'inizio per via dell'ansia da prestazione e dell'indecisione. Vorrei sempre far entrare in scena i personaggi nel migliore dei modi e valorizzarli in momenti iconici e scenografici che entrino subito nella memoria del lettore, spesso in media res.
Per quanto riguarda la partita di poker, volevo che fosse un'impresa avventurosa che avesse un che di leggendario e di spiazzante al tempo stesso. Mi ero guardata tutti i tutorial e i video di partite di poker alla texana per capire le meccaniche del gioco. Potevano esserci tensione, bluff, momenti di prese in giro e soprattutto di fortuna, un tema che coincideva con lo spirito della storia. Però bisognava controllare che tutte le mosse e le scale dei personaggi fossero giuste e fare ellissi e tagli per gestire i tempi della partita e non renderla troppo lunga, soprattutto per chi non gioca a poker.
In Lindy Hop dall’Aldilà c’è una forte estetica pop e cartoon, ma anche una bella sottotrama sulla solitudine e l’incomunicabilità. Come convivono questi elementi nel tuo immaginario?
Voglio che la mia estetica sia quella di cartoon che hanno qualcosa di oscuro, di personaggi indemoniati e un po' lunatici che vivono nella caricatura del nostro mondo contemporaneo, scosso da disastri e da episodi tragicomici di demoni lasciati in libertà. O esseri umani dalle strane manie e ossessioni, mezzi animali e mezzi umani, un bestiario. Mi piace deformare le forme, esasperarle, maltrattarle. Nelle mie storie i veri protagonisti sono gli outsiders e gli emarginati sociali e vorrei che tutti i personaggi vengano visti come dei figurini da prendere in giro, ma dei quali provare anche un po' di tenerezza.
Nel mio immaginario e nel mio stile tendente al grottesco faccio convivere da una parte la slapstick comedy fatta di deformazione di corpi, violenza fisica e ritmo veloce e frenetico, e dall'altra il genere gotico, di ciò che fa parte dell'irrazionale, della solitudine, della decadenza dell'essere umano. Un po' un mix stranissimo nel quale puoi trovare messi insieme Buster Keaton e Vernon Lee, gli immensi paesaggi naturali di Caspar David Friedrich e le risse senza fine di Tom & Jerry di William Hanna e Joseph Barbera.
Non riuscirei a fare fumetti se non mi diverto. Parlare di solitudine e della ricerca di uno spazio nella società consumista e turbocapitalista diventa più divertente se ne faccio una trasfigurazione nelle mie storie, un'esasperazione. Ma nei miei fumetti fatti di catastrofi, personaggi distruttivi e situazioni fatali e paradossali, vorrei creare un po' di speranza. Momenti di ricongiungimento e di perdono, di amicizie che nascono, di momenti di ascolto e di aiuto reciproco.
Il tipo di disegno che ho sempre sentito come più familiare e vicino a me unisce proprio un segno da cartoon tendente al pop da serie d'animazione degli anni Novanta e da fumetto americano underground. Ma al tempo stesso ci sono anche il nervosismo, il tratto irregolare e la presenza di neri che danno un appeal molto più dark. Non riuscirei a disegnare solamente con curve gentili e adottare un segno pulito, netto, senza sbavature. Preferisco assecondare l'imperfezione e ciò che è esteticamente brutto e fatiscente, mi permette di creare più variazioni.
Nel fumetto ci sono anche molti riferimenti musicali e visivi. Ce n’è uno a cui tieni particolarmente che il lettore colga o a cui presti attenzione?
Quando realizzo una storia creo sempre delle playlist musicali in base ai momenti e ai personaggi che devo realizzare, per entrare più nello spirito della storia, come se ricreassi un film d'animazione nella mia mente. La musica mi aiuta spesso nel processo creativo e diventa la colonna sonora che deve avere il fumetto. Mi vengono tante idee mentre ascolto canzoni ad altissimo volume. I generi musicali che ascolto di più sono il metal, il rock e il jazz, ma sono sempre curiosa di scoprire nuove suggestioni musicali. Mi ha divertito sapere che i lettori più disparati hanno riconosciuto le canzoni e gli artisti che riportavo!
Ci tengo molto a inserire riferimenti visivi a opere d'arte di altri media per descrivere nel dettaglio ambientazioni e indizi sulla psicologia del personaggio. Mi piace pensare che nel mio altrove immaginario e lontano ci siano sedimenti del nostro mondo reale. Faccio questa scelta non solo per estetica, ma anche per una questione di etica e di implicita educazione alla cultura visiva. Credo fortemente che l'arte debba essere conosciuta e scoperta da un lettore occasionale e che si manifesti, anche attraverso riferimenti visivi in una storia. Lo vedo come un modo per mantenerne la memoria.
Nel mio immaginario e nel mio stile tendente al grottesco faccio convivere da una parte la slapstick comedy fatta di deformazione di corpi, violenza fisica e ritmo veloce e frenetico, e dall'altra il genere gotico, di ciò che fa parte dell'irrazionale, della solitudine, della decadenza dell'essere umano. Un po' un mix stranissimo nel quale puoi trovare messi insieme Buster Keaton e Vernon Lee, gli immensi paesaggi naturali di Caspar David Friedrich e le risse senza fine di Tom & Jerry di William Hanna e Joseph Barbera.
Non riuscirei a fare fumetti se non mi diverto. Parlare di solitudine e della ricerca di uno spazio nella società consumista e turbocapitalista diventa più divertente se ne faccio una trasfigurazione nelle mie storie, un'esasperazione. Ma nei miei fumetti fatti di catastrofi, personaggi distruttivi e situazioni fatali e paradossali, vorrei creare un po' di speranza. Momenti di ricongiungimento e di perdono, di amicizie che nascono, di momenti di ascolto e di aiuto reciproco.
Il tipo di disegno che ho sempre sentito come più familiare e vicino a me unisce proprio un segno da cartoon tendente al pop da serie d'animazione degli anni Novanta e da fumetto americano underground. Ma al tempo stesso ci sono anche il nervosismo, il tratto irregolare e la presenza di neri che danno un appeal molto più dark. Non riuscirei a disegnare solamente con curve gentili e adottare un segno pulito, netto, senza sbavature. Preferisco assecondare l'imperfezione e ciò che è esteticamente brutto e fatiscente, mi permette di creare più variazioni.
Nel fumetto ci sono anche molti riferimenti musicali e visivi. Ce n’è uno a cui tieni particolarmente che il lettore colga o a cui presti attenzione?
Quando realizzo una storia creo sempre delle playlist musicali in base ai momenti e ai personaggi che devo realizzare, per entrare più nello spirito della storia, come se ricreassi un film d'animazione nella mia mente. La musica mi aiuta spesso nel processo creativo e diventa la colonna sonora che deve avere il fumetto. Mi vengono tante idee mentre ascolto canzoni ad altissimo volume. I generi musicali che ascolto di più sono il metal, il rock e il jazz, ma sono sempre curiosa di scoprire nuove suggestioni musicali. Mi ha divertito sapere che i lettori più disparati hanno riconosciuto le canzoni e gli artisti che riportavo!
Ci tengo molto a inserire riferimenti visivi a opere d'arte di altri media per descrivere nel dettaglio ambientazioni e indizi sulla psicologia del personaggio. Mi piace pensare che nel mio altrove immaginario e lontano ci siano sedimenti del nostro mondo reale. Faccio questa scelta non solo per estetica, ma anche per una questione di etica e di implicita educazione alla cultura visiva. Credo fortemente che l'arte debba essere conosciuta e scoperta da un lettore occasionale e che si manifesti, anche attraverso riferimenti visivi in una storia. Lo vedo come un modo per mantenerne la memoria.
Quali sono le tue principali influenze, non solo fumettistiche ma anche visive o letterarie?
Nel mondo del fumetto e dell'illustrazione Benito Jacovitti, Robert Crumb, Joann Sfar, Ronald Searle, Quentin Blake, Akira Toriyama, Daniel Clowes. Guardo molto anche alle Silly Symphonies della Disney, i Looney Tunes e i cartoons degli anni Novanta della Cartoon Network e di John R. Dilworth e John Kricfalusi.
Inoltre, mi piacciono i romanzi del genere gotico sulle storie di fantasmi, di case stregate, di comunità di alienati. Come Vernon Lee, Montague Rhode James, Shirley Jackson, Henry James. Sono fissata anche con i romanzi sugli incubi della società contemporanea come Hollywood Babilonia di Kenneth Anger e Crash di J.G. Ballard.
Nel mondo del cinema mi hanno molto influenzato Terry Gilliam, Charles Chaplin, Buster Keaton, Joel e Ethan Coen, Werner Herzog, Quentin Tarantino, Spike Jonze, Martin Scorsese. Sono attratta da ciò che è bizzarro e visionario, dai thriller e dagli horror.
Per quanto riguarda il mondo delle arti visive, guardo molto agli artisti del Romanticismo, come Caspar David Friedrich e Johann Heinrich Fussli. Dell'arte contemporanea, mi affascinano il Futurismo, Claes Oldenburg, Jake e Dinos Chapman, Thomas Hirschhorn.
Accabarì è un non-luogo, immaginario e assurdo ma anche in qualche modo specchio della nostra società. Cosa rappresenta per te? E i suoi abitanti, segnati chi più chi meno da precarietà e solitudine?
In Lindy Hop dall'Aldilà ho concepito Accabarì come un limbo, uno scenario sospeso e straniante, un borgo diroccato sotto un cielo bianco, del quale non riesci a intuire né le condizioni metereologiche, né l'ora del giorno. Lontano dalle metropoli, in una dimensione senza tempo e impossibile da collocare geograficamente. È un collage di più riferimenti visivi che ho cercato nei borghi del Friuli Venezia Giulia e nella Toscana, ma anche di più tipi di paesaggio che non troveresti mai messi insieme in natura: nei pressi di Accabarì puoi trovare un deserto con una pista per le corse di rally e, poco distante, un parco di colline e alberi sempreverdi.
Volevo che Accabarì fosse un ipotetico aldilà, dove gli abitanti sono anime che vagano senza meta. Ho realizzato Lindy Hop dall'Aldilà in un periodo della mia vita nel quale sentivo che tante certezze e progetti sul mio futuro erano stati messi in discussione e non sapevo come aggiustare il tiro e cercare di avere un po' di stabilità. Impegnarmi a lavorare a questo fumetto e portarlo a termine era diventata una questione di principio, oltre che una necessità. E Accabarì era diventato così il terreno di gioco dove potevo consolarmi con i pazzi personaggi che lo abitavano, tutti sulla stessa barca, alle prese con gli scherzi e le sorprese della vita.
Inoltre, mi piacciono i romanzi del genere gotico sulle storie di fantasmi, di case stregate, di comunità di alienati. Come Vernon Lee, Montague Rhode James, Shirley Jackson, Henry James. Sono fissata anche con i romanzi sugli incubi della società contemporanea come Hollywood Babilonia di Kenneth Anger e Crash di J.G. Ballard.
Nel mondo del cinema mi hanno molto influenzato Terry Gilliam, Charles Chaplin, Buster Keaton, Joel e Ethan Coen, Werner Herzog, Quentin Tarantino, Spike Jonze, Martin Scorsese. Sono attratta da ciò che è bizzarro e visionario, dai thriller e dagli horror.
Per quanto riguarda il mondo delle arti visive, guardo molto agli artisti del Romanticismo, come Caspar David Friedrich e Johann Heinrich Fussli. Dell'arte contemporanea, mi affascinano il Futurismo, Claes Oldenburg, Jake e Dinos Chapman, Thomas Hirschhorn.
Accabarì è un non-luogo, immaginario e assurdo ma anche in qualche modo specchio della nostra società. Cosa rappresenta per te? E i suoi abitanti, segnati chi più chi meno da precarietà e solitudine?
In Lindy Hop dall'Aldilà ho concepito Accabarì come un limbo, uno scenario sospeso e straniante, un borgo diroccato sotto un cielo bianco, del quale non riesci a intuire né le condizioni metereologiche, né l'ora del giorno. Lontano dalle metropoli, in una dimensione senza tempo e impossibile da collocare geograficamente. È un collage di più riferimenti visivi che ho cercato nei borghi del Friuli Venezia Giulia e nella Toscana, ma anche di più tipi di paesaggio che non troveresti mai messi insieme in natura: nei pressi di Accabarì puoi trovare un deserto con una pista per le corse di rally e, poco distante, un parco di colline e alberi sempreverdi.
Volevo che Accabarì fosse un ipotetico aldilà, dove gli abitanti sono anime che vagano senza meta. Ho realizzato Lindy Hop dall'Aldilà in un periodo della mia vita nel quale sentivo che tante certezze e progetti sul mio futuro erano stati messi in discussione e non sapevo come aggiustare il tiro e cercare di avere un po' di stabilità. Impegnarmi a lavorare a questo fumetto e portarlo a termine era diventata una questione di principio, oltre che una necessità. E Accabarì era diventato così il terreno di gioco dove potevo consolarmi con i pazzi personaggi che lo abitavano, tutti sulla stessa barca, alle prese con gli scherzi e le sorprese della vita.
Se dovessi presentare il tuo lavoro con una frase, un pensiero o un motto, quale sarebbe?
Riprenderei un passo dal libro di Alfred Kubin L'Altra parte, uno dei miei romanzi preferiti:
Per noi, il Regno del Sogno era grandioso e incommensurabile, il resto del mondo non contava, lo si dimenticava. Nessuno che si fosse acclimatato lì voleva uscirne, il «mondo di fuori» non era che un inganno, non esisteva.
Chi sono i tuoi autori o artisti di riferimento?
È veramente difficile rispondere a questa domanda, perché tante volte non so se gli autori che ho mente rappresentano più influenza e ispirazione, piuttosto che un punto di riferimento. Miguel de Cervantes, Roald Dahl, Astrid Lindgren, Benito Jacovitti, Hayao Miyazaki, Daniel Clowes, Seth. Li associo all'idea di sogni visionari e dell'avere disciplina nel lavoro. Li ho scoperti in fasi diverse della mia vita, soprattutto dell'infanzia, mi fanno pensare a ciò che c'era di bello in un tempo perduto. Li vedo come personalità da studiare sempre, perché ci sarà sempre qualche incognita.
Hai consigli per altri giovani artisti che come te vogliono provare a buttarsi nel mondo del fumetto? Cos'è stato a spingerti a fare il salto? Il bisogno di comunicare qualcosa, la passione per la nona arte o altro?
Raccontare attraverso il fumetto è sempre stata la mia passione, la mia necessità, è l'attività che sento più mia. Non posso farne a meno. Inventare personaggi e mondi e perdersi, nel disegno come nella scrittura, è un'attività che faccio nel tempo libero, per non sentirmi sola e per esorcizzare i problemi della vita quotidiana divertendomi. Sono sempre stata determinata a portare avanti questo obiettivo e finché mi diverto, continuerò a farlo.
Voglio spronare tutte le persone interessate a fare fumetti a non smettere mai di scrivere e disegnare e non sottovalutare mai il tempo a propria disposizione. Di curare l'immaginario personale e ampliare la conoscenza leggendo il più possibile non solo fumetti, ma anche saggi, romanzi. Essere curiosi e cercare fonti d'ispirazione anche da forme artistiche e campi del sapere completamente diversi e pretendere solo il meglio. Per chi vuole occuparsi di arte ad oggi internet può essere molto utile per farsi conoscere, seguire l'attività dei propri colleghi e di realtà editoriali, rimanere aggiornati su eventi culturali.
Per noi, il Regno del Sogno era grandioso e incommensurabile, il resto del mondo non contava, lo si dimenticava. Nessuno che si fosse acclimatato lì voleva uscirne, il «mondo di fuori» non era che un inganno, non esisteva.
Chi sono i tuoi autori o artisti di riferimento?
È veramente difficile rispondere a questa domanda, perché tante volte non so se gli autori che ho mente rappresentano più influenza e ispirazione, piuttosto che un punto di riferimento. Miguel de Cervantes, Roald Dahl, Astrid Lindgren, Benito Jacovitti, Hayao Miyazaki, Daniel Clowes, Seth. Li associo all'idea di sogni visionari e dell'avere disciplina nel lavoro. Li ho scoperti in fasi diverse della mia vita, soprattutto dell'infanzia, mi fanno pensare a ciò che c'era di bello in un tempo perduto. Li vedo come personalità da studiare sempre, perché ci sarà sempre qualche incognita.
Hai consigli per altri giovani artisti che come te vogliono provare a buttarsi nel mondo del fumetto? Cos'è stato a spingerti a fare il salto? Il bisogno di comunicare qualcosa, la passione per la nona arte o altro?
Raccontare attraverso il fumetto è sempre stata la mia passione, la mia necessità, è l'attività che sento più mia. Non posso farne a meno. Inventare personaggi e mondi e perdersi, nel disegno come nella scrittura, è un'attività che faccio nel tempo libero, per non sentirmi sola e per esorcizzare i problemi della vita quotidiana divertendomi. Sono sempre stata determinata a portare avanti questo obiettivo e finché mi diverto, continuerò a farlo.
Voglio spronare tutte le persone interessate a fare fumetti a non smettere mai di scrivere e disegnare e non sottovalutare mai il tempo a propria disposizione. Di curare l'immaginario personale e ampliare la conoscenza leggendo il più possibile non solo fumetti, ma anche saggi, romanzi. Essere curiosi e cercare fonti d'ispirazione anche da forme artistiche e campi del sapere completamente diversi e pretendere solo il meglio. Per chi vuole occuparsi di arte ad oggi internet può essere molto utile per farsi conoscere, seguire l'attività dei propri colleghi e di realtà editoriali, rimanere aggiornati su eventi culturali.
Hai già in mente un nuovo progetto? Rimarrai in questo registro o esplorerai altre strade?
Assolutamente sì, sto lavorando a un nuovo fumetto che ha per protagonista uno dei personaggi di Lindy Hop dall'Aldilà, all'insegna del grottesco e dell'umorismo. Mi piace utilizzare i personaggi del mio micromondo immaginario per farli vivere in altre storie, ma vorrei che ogni fumetto che faccio sia un'esperienza a sè stante. Inoltre, mi piacerebbe realizzare progetti legati all'illustrazione dell'infanzia, adattare la stravaganza a un tipo di lettori molto più giovani.
Eva Daffara (classe 1999) è una fumettista e illustratrice italiana. Si forma all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove sviluppa uno stile grottesco e personale che mescola estetica cartoon, cultura pop e sensibilità dark. La sua opera prima, Lindy Hop dall’Aldilà, fumetto pubblicato da Eris Edizioni, ha vinto la Borsa di studio Tuono Pettinato. Nel suo lavoro convivono grottesco, malinconia e uno sguardo affilato sull’assurdità del quotidiano. Vive e lavora a Bologna.
Intervista di Wendy Costantini
Eva Daffara
Eva Daffara (classe 1999) è una fumettista e illustratrice italiana. Si forma all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove sviluppa uno stile grottesco e personale che mescola estetica cartoon, cultura pop e sensibilità dark. La sua opera prima, Lindy Hop dall’Aldilà, fumetto pubblicato da Eris Edizioni, ha vinto la Borsa di studio Tuono Pettinato. Nel suo lavoro convivono grottesco, malinconia e uno sguardo affilato sull’assurdità del quotidiano. Vive e lavora a Bologna.