Gnam Gnam, l'esordio di Robert Crumb con una fiaba metropolitana
Adolescenziale è l’aggettivo che Robert Crumb usa in ben due introduzioni (quella dell’edizione del 1975 e poi del 2005) per definire il suo primo fumetto, Gnam Gnam - la storia di Ogden e della pianta di fagioli (The Yum Yum Book, in originale), il che fa pensare a come gli autori spesso, nel tentativo di essere obiettivi e critici verso il proprio lavoro, finiscano per diventare del tutto ingenerosi.
In realtà, la prima riflessione che si potrebbe fare su The Yum Yum Book è come il tempo cambi la percezione delle opere d’arte. Crumb descrive il suo fumetto, che in realtà risale al 1963, quando aveva solo 19 anni, come di qualcosa di immaturo, molto lontano e molto diverso da quello che ha realizzato successivamente. In parte questo è vero, la storia del rospo Ogden è grossomodo una fiaba (non solo per le tematiche, ma ci torneremo), mentre le opere più famose di Crumb come Fritz il Gatto o Mister Natural erano estremamente radicate nel presente e nell’America degli anni in cui sono state scritte.
Non è così vero, anzi. Se le storie di Fritz sono decisamente più mature e raccontano senza mezzi termini l’America dei Sessanta-Settanta, è vero anche che in alcuni momenti non sono proprio invecchiate felicemente, come la scena dello stupro della donna-cavallo Harriet in Fritz the No-Good o la satira superata di Fritz, secret agent of the CIA. Storie che all’epoca avevano pure ragione di esistere, ma che adesso hanno bisogno a volte di una grossa cornice di contestualizzazione.
The Yum Yum Book, in questo senso, regge molto meglio. Si tratta di una fiaba atipica, ambientata in un mondo che somiglia al nostro ma non lo è, moderno ma raccontato con un tradizionale c’era una volta iniziale.
La fiaba però viene abbandonata molto in fretta, perché l’isola di animali antropomorfi che fa da teatro alla maggior parte della vicenda (Animal Crossing, sei tu?) si rivela subito molto più metropolitana di quanto non ci aspetteremmo: affollata, caotica, con edifici che sembrano spintonarsi l’un l’altro nel pieno stile di Crumb. Anche il protagonista, Ogden, sembra una prova generale per Fritz, che tra l’altro fa più di una comparsata: con il più famoso gatto condivide un background universitario, l'indolenza di fondo che lo porta a sbattere da una porta all’altra della vita, una morale inesistente. La differenza più grande col suo collega felino, però, è un maggior senso di straniamento. Se anche un personaggio con la stessa inettitudine alla vita come Fritz aveva un porto a cui tornare (amici, compagni di università, fidanzate o ex fidanzate), Ogden è completamente isolato.
In qualche modo, questa è la chiave con cui The Yum Yum Book è invecchiato decisamente bene ed è capace di parlarci tuttora: questo senso di essere dei perfetti estranei, inadatti in ogni contesto in cui cerchiamo di infilarci. Ogden le prova tutte: dall’ambiente universitario a quello artistico, dall’estrema sinistra della contestazione, alla destra borghese e capitalistica. Ognuno di questi ambienti non fa che riservargli occhiate imbarazzate, o ribadirgli in modo esplicito la sua condizione di outsider, di indesiderabile. Lo spleen del protagonista è quello di non trovare un posto, di avvertire la pressione del sentirsi in un margine perenne, fuori posto e invisibile. Tutto però, con la cifra del Crumb che conosciamo: irridente e sarcastica.
Ogden non è l’unico personaggio senza bussola tra quelli inventati da Crumb ma, a differenza dei suoi “colleghi”, nemmeno il sesso è per lui un rifugio: non è abbastanza ricco, non abbastanza artista, non abbastanza scrittore perché qualcuna si interessi a lui. A prescindere da ogni giudizio su come questo possa suonare ai nostri giorni un pelo incel, di nuovo è un protagonista caratterizzato e ostacolato da una serie di “non”.
Con gli altri personaggi di Crumb condivide però una sorta di amoralità di base e stile di vita à la Bukowski: la gigantesca pianta di fagioli del titolo, che traghetta il fumetto da un’ambientazione metropolitana a una più smaccatamente fiabesca, cresce dove lui ha ammazzato delle coccinelle (antropomorfe, come il resto degli abitanti dell’isola) in seguito a una sbronza.
Come nella fiaba famosa, la pianta collega il mondo di Ogden a un altro, abitato da un gigante. Solo che stavolta si tratta di una gigantessa dalle forme giunoniche (altra fissa di Crumb) e da un appetito vorace, e che cercherà prima di divorare invano il protagonista, in un contorto rapporto di attrazione, per poi fare piazza pulita degli abitanti dell’isola. Abitanti che comunque tanto a posto non sono, visto che hanno scatenato una serie di processi sommari contro tutti i rospi, accusati di aver fatto nascere la colossale pianta che sta stritolando tra le sue radici la città.
Insomma, come nella migliore tradizione dei fumetti più famosi di Crumb, non ci sono buoni, ci sono solo persone che in qualche modo riescono o meno a soddisfare i propri desideri, e il nostro giudizio su di loro, la nostra capacità di vederli come eroi o antieroi è nella nostra capacità di immedesimarci più con le loro mancanze che con le loro ben poche virtù. Il concetto di “comunità”, qualunque esso sia, finisce sempre per rivelarsi totalitaria e asfissiante, se non respingente. All’inizio è una serie di circoli chiusi e snob in cui inserirsi è praticamente impossibile, poi si svela nel suo essere una società paranoica e pronta a pasteggiare con chi è più debole, ma comunque non certo innocente. In tutto questo, l’unico modo per essere felici è scappare con una gigantessa che ha mangiato metà della tua città, amici compresi.
Tutto questo scenario allucinante, Crumb riesce a raccontarlo però con una leggerezza tale da farcelo passare per una storia tenera e a tratti pure poetica, e in questo sta la bravura di un autore che ha anticipato quella stagione di cinismo a cartoon che prende in mezzo i primissimi Simpson, Beavis&Butthead, South Park fino a Bojack Horseman. Merito dell’impianto fiabesco e del lavoro di immedesimazione col protagonista, tale da far passare in secondo piano le sue azioni o affermazioni più discutibili.
Ma anche da un punto di vista stilistico, The Yum Yum Book ha degli aspetti che meritano di essere studiati ancora oggi. È un fumetto che ha infatti non solo le tematiche di una fiaba moderna, ma ne condivide la struttura narrativa. A Crumb infatti non interessa raccontare una struttura in tre atti classica, con tutti i fili pendenti della trama pronti a trovare una risoluzione. Come nei racconti dei Grimm, a un avvenimento ne sussegue un altro senza preoccuparsi troppo di mantenere una coerenza drammaturgica su avvenimenti o atmosfera, portando la storia spesso molto lontano dal punto di partenza e senza darsi troppa premura di “chiudere” quello che viene lasciato aperto. È un modo di affrontare le storie che ha usato spesso anche nei suoi fumetti successivi, ma va detto che The Yum Yum Book è sensibilmente più lungo della media dei lavori successivi, e riuscire a mantenere questo modo di raccontare per parecchie pagine senza mai mollare il colpo (soprattutto se è la tua opera prima) non è affatto da tutti.
Insomma, forse non c’è molto di “adolescenziale” in The Yum Yum Book e forse nemmeno troppo della leggerezza e del romanticismo che la critica ha attribuito in seguito all’opera.
C’è già sperimentazione, critica, forse un pizzico più di intimismo e disagio esistenziale, o forse un modo più esplicito di portare in scena tutte queste cose.
Quello che è interessante è che, malgrado le differenze, il Robert Crumb della storia del rospo Ogden resta fin dall’inizio lo stesso outsider e dissacrante cartoonist che vedremo in seguito, quello che uccide con rabbia la sua creatura più famosa proprio nel suo picco di maggior popolarità.