Cercare la propria identità tra musica, anime e fumetti: intervista a Giulio Macaione
Giulio Macaione torna con un’auto-fiction sull’adolescenza, raccontata attraverso le inquietudini e le passioni di un bambino che cresce
Ciao, Giulio. Intanto, complimenti per la candidatura al Premio Eisner 2025 con Spaces come miglior storia breve. Come ci si sente?
Non ci posso ancora credere! Gli Eisner sono gli Oscar del Fumetto e io non pensavo minimamente di poterci arrivare, sono felicissimo e incredulo. La cosa bella è che Phil Jimenez ha scritto una storia che era molto vicina per tematica a Tutte le volte che sono diventato grande, al quale stavo lavorando proprio mentre ho disegnato Spaces. Peraltro, sono stati proprio Phil e la nostra editor Andrea Shea a chiedermi di colorare la storia con uno stile grafico simile a quello del mio Stella di mare. Una bella soddisfazione!
Parliamo ora di Tutte le volte che sono diventato grande. Com’è sorta l’idea di scrivere un fumetto di auto-fiction? Quali sono le differenze principali che hai notato rispetto ai fumetti precedenti?
L’input per scrivere Tutte le volte che sono diventato grande è arrivato da un percorso di psicoterapia e dalla volontà di liberarmi di alcuni “mostri” che mi portavo dentro da tanto tempo. Realizzando Scirocco, il mio fumetto precedente (BAO, 2021), ho capito che per elaborare cose anche molto intime il modo più utile per me è scriverci una storia e così ho proseguito in questa direzione anche in questo caso, scavando a fondo in traumi e avvenimenti della mia infanzia. Ma volevo anche affrontare temi come il coming out (purtroppo è ancora necessario) e la scoperta della sessualità in età infantile: quasi sempre si legano questi argomenti all’adolescenza e alle fasi successive, mentre credo sia utile ammettere che i bambini sono esseri sessuati e che molto spesso si pongono domande sulla propria identità anche da molto piccoli. Per me è stato proprio così.
La mia volontà iniziale era quella di fare una storia autobiografica ma mi sembrava una cosa un po’ pretenziosa e difficilissima. Dopo mesi a rimuginare su come approcciarla ho realizzato che per essere il più sincero possibile dovevo, paradossalmente, allontanarmi dal “realmente accaduto” per concentrarmi su ciò che era vero emotivamente e psicologicamente, per essere spudorato senza troppe remore. Ho utilizzato Lucio, un personaggio che mi rispecchia ma che comunque è di finzione, per raccontare “io come sono, non come vorrei essere” (per citare La bella confusione di Francesco Piccolo, un libro che mi è stato molto d’aiuto per capire come affrontare questa storia).
Rispetto ai miei fumetti precedenti, TLVCSDG è stato di sicuro il più difficile, perché ha richiesto non solo tanto tempo alla scrivania, ma tanto lavoro interiore. Ho avuto anche un periodo di regressione, tornando con la mente alla mia infanzia, che è stato estremamente doloroso e difficile da gestire. Questo libro mi ha fatto stare davvero male ma poi ha lenito le ferite, è stato un lungo processo catartico e sono felice di quanto mi sia servito.
Qual è il tuo processo creativo nell’approcciarti a un nuovo fumetto, e in questo caso in particolare come hai proceduto?
Quando inizio a ideare una nuova storia ci sprofondo dentro e ci penso continuamente, ne divento ossessionato. Di solito raccolgo appunti, magari solo su alcuni passaggi o dialoghi, per poi sviluppare i personaggi e passare quindi a una stesura di un soggetto e di una sceneggiatura. Tendo a scrivere tutto prima di passare al disegno delle tavole. Magari non in forma definitiva, ma ho bisogno di sapere dove sto andando a parare prima di iniziare lo storyboard.
Nel caso di Tutte le volte che sono diventato grande ho riscritto la sceneggiatura ben 10 volte.
Qual è stata la tavola di Tutte le volte che sono diventato grande che più ti è piaciuto disegnare?
Non so se sono in grado di sceglierne una, ci sono molte pagine che ho amato e moltissime che mi hanno fatto soffrire. Forse quella che mi ha divertito di più è la pagina nella quale la professoressa dice a Lucio che non le piacciono i suoi disegni e lui reagisce in maniera super drammatica come i personaggi dei manga di Riyoko Ikeda. Era da una vita che volevo fare una citazione della Sensei!
Oppure la doppia splash page nella quale Lucio naviga un mare in tempesta su una tavola di fumetto. Lì mi sono sbizzarrito coi retini!
Ammetto, però, che le pagine più significative sono in realtà quelle che sono state difficili, a livello emotivo, da disegnare. Mi sono reso conto di quanto il disegno possa esprimere cose che a parole avrei fatto fatica a descrivere.
Come tieni vivo il divertimento nel disegnare dopo tanti anni in cui lo fai per lavoro?
Lo faccio in vari modi: disegnando per piacere sulla mia Moleskine, facendo disegno dal vero quando ci riesco (purtroppo raramente). Ma forse la cosa più utile è darmi delle regole tecniche diverse ogni volta che inizio un nuovo fumetto. Per esempio, limito i pennelli a disposizione, o decido di piegare il mio segno a un’esigenza stilistica diversa.
Com’è nata la scelta del bianco e nero e dell’uso dei retini?
Ecco, appunto, la scelta di usare il bianco e nero e i retini è arrivata proprio dalla volontà di fare una cosa diversa dalle precedenti. Ovviamente volevo che Tutte le volte che sono diventato grande ricordasse graficamente i manga, che negli anni ‘90 leggevo avidamente e mi hanno formato come artista più di ogni altra cosa. Negli ultimi anni sono tornato a leggerne molti e continuo a pensare che, a livello narrativo, il fumetto occidentale abbia molto da imparare da quello giapponese (e lo sta facendo).
Quando inserisci persone reali, per quanto romanzate, come i tuoi familiari in questo caso, fai leggere loro il materiale prima della pubblicazione? Ti spaventa la possibilità di ferirli in qualche modo?
No, non ho fatto leggere ai miei familiari Tutte le volte che sono diventato grande durante la sua gestazione. Solo le prime pagine, a mia sorella. Ovviamente ho detto che stavo per scrivere una storia molto intima e che avrei raccontato dinamiche familiari e mi sono chiesto a lungo quale impatto questa storia potesse avere, soprattutto sui miei genitori. Forse uno dei motivi per i quali ho scelto l’auto-fiction anziché l’autobiografia è proprio per evitare di raccontare verità che comunque sarebbero state le mie verità, magari non condivise da loro, ma spacciarle come assodate. Quello sarebbe stato scorretto. Per quanto credo che, se uno scrittore decide di raccontare la propria vita, abbia tutto il diritto di farlo. Tutto sta all’approccio che si sceglie. Io spero che in TLVCSDG traspaia comunque l’affetto per i miei cari e l’intenzione di non puntare il dito contro nessuno, ma metabolizzare processi miei.
Spesso ho anche “condensato” più persone della vita reale in un solo personaggio. Piera, la migliore amica di Lucio, per esempio, è la somma di due mie amiche.
C’è qualcosa in particolare che vorresti dire a proposito di questo fumetto che non ti è stata ancora chiesta?
Forse noto una certa ritrosia a parlare di malattia mentale e dell’impatto che la religione cattolica ha sulle nostre vite in un paese, l’Italia, nel quale siamo impastati di pane e senso di colpa. In Tutte le volte che sono diventato grande ho cercato di portare sulla carta l’impatto devastante che il peso di un’educazione religiosa ha avuto su di me. Ho cercato di raccontare la depressione, per quanto lo abbia voluto fare con molta delicatezza, perché non è una cosa che ho vissuto sulla mia pelle ma che comunque ho visto accadere da vicino. Convivere con una persona depressa, specie se questa è un genitore, è una cosa molto dolorosa e di cui è difficile parlare. Per quanto nel mio fumetto questo sia un argomento accennato, ho avuto il bisogno di raccontare come mi sono sentito in quel periodo della mia vita. Già dai primi messaggi da parte di chi ha letto il libro, ho riscontrato quanto bisogno ci sia di rappresentare anche la malattia mentale e le conseguenze che può avere sulle vite familiari.
Un’ultima cosa: qual è il fumetto (non tuo) a cui sei più affezionato e perché?
Questa è una risposta impossibile! Sono troppi, davvero. Vi dirò i primi che mi vengono in mente ma sono sicuro che mi dannerò quando capirò di essermene dimenticati tanti altri altrettanto importanti: Gokinjo Monogatari (no, vi prego, non chiamatelo “Cortili del cuore”!!) di Ai Yazawa, Blankets di Craig Thompson, Pillole Blu e Lupus di Frederick Peeters, Proteggi la mia Terra di Saki Hiwatari, Aida al confine di Vanna Vinci… Ultimamente AMO i manga di Keigo Shinzo, Randagi su tutti.