Dirt: l’odissea di un cartone animato alle prese con l’apocalisse e l’avanzamento tecnologico
“How about that?”
Per parlare di Dirt, l’ultimo lavoro seriale di Giulio Rincione pubblicato da Tunué, bisogna per forza partire dal suo insolito protagonista.
Per stessa ammissione di Rincione, Dirt è graficamente lontano anni luce dal suo tratto distintivo. Prima di tutto è brutto, non lo si può negare. Non si capisce che animale sia, ma sicuramente uno di cui madre natura si è successivamente pentita. Poi ha un look da cartoon d’epoca, dunque molto diverso dalle linee squadrate e dal tratto elegantemente spigoloso a cui l’artista palermitano ci ha abituato. Infine è caratterizzato da movenze ed espressioni tipiche dei Looney Tunes (ha perfino un tormentone ricorrente sulla falsa riga di quelli di Bugs Bunny e soci) a cui aggiunge la spregiudicatezza dei cartoni animati moderni. Sembra un personaggio ottenuto distillando anni di storia dell’animazione, da Steambot Willy a Chi ha incastrato Roger Rabbit?
Dirt è una mascotte dimenticata. Un vecchio cartone animato in stile anni ’50 divenuto famoso per la réclame di una marca di sigarette. È sboccato e irascibile, ogni cosa che dice o fa, offende qualcuno e, in fin dei conti, questo potrebbe anche non essere un problema, visto che il primo volume è ambientato in un mondo post apocalittico dove l’umanità si è quasi estinta a causa di una pandemia e ciò che ne resta sono sparute tribù di cannibali e, dunque, individui poco sensibili ai problemi di dialettica.
Il primo volume, I figli di Edin, dipinge il contesto in cui i protagonisti si muovono, facendoci assaporare il senso di desolazione che l’assenza di umanità genera nei pochi superstiti. Tutto, dall’ambientazione desertica e sconfinata, ai residui di umanità degenerata che abita le vestigia semisepolte di quelle città ormai divenute templi del silenzio, ci ricorda quel senso di confusione e smarrimento di cui in parte siamo stati testimoni diretti al tempo del confinamento per il Covid.
Dirt è quindi una reliquia del passato, al pari delle città fantasma che attraversa nel suo lento incedere mentre cerca di scoprire il motivo per cui non riesce a morire. Perché, si chiede, proprio a lui che più di tutti agogna l’oblio, è negata la fine prevista per ogni cartone animato senza più fan: la dimenticanza?
Il ricongiungimento con una persona del passato farà luce sugli ultimi eventi che hanno visto il declino di Dirt come star della pubblicità e gli offrirà il pretesto per iniziare una nuova ricerca.
Skeentopolis, il secondo volume della saga, riprende la storia proprio da qua. Agli sconfinati spazi aperti del deserto si sostituiscono le luci e i vicoli di una città che è al contempo utopia e distopia.
Skeentopolis è una città che non dorme mai, è un’oasi tecnologica in un mondo di rottami e desolazione, dove tutto sembra funzionare alla perfezione e cartoni animati ed esseri umani convivono condividendo un benessere che sembra il frutto proibito regalato da una divinità magnanima.
Ben presto, però, si scopre il prezzo da pagare per l’accesso alle risorse della città: la sottomissione alla crudele gerarchia falsamente meritocratica che organizza, manipola e orchestra l’ascesa o il declino dei cartoni animati nella graduatoria del gradimento collettivo. Una sorta di estremizzazione di ciò che avviene nella realtà con i trend dei social media e gli indici d’ascolto di film e serializzazioni di vario genere che ne decidono il rinnovo o la cessazione.
Se il primo volume è servito a introdurre i personaggi e a stendere la stratificata caratterizzazione del protagonista, con Skeentopolis si entra nel vivo della narrazione. Una narrazione che viaggia a doppio filo con le tavole e con i tanti omaggi e riferimenti alla cultura pop dei fumetti e dei cartoni animati. Anzi, sotto questo aspetto, si può dire che questo secondo volume sia proprio un’ode all’arte nel senso più ampio del termine.
Rincione si diverte a introdurre personaggi più o meno famosi del mondo del fumetto tra le fila della folla presente nel volume, ma solo i lettori più attenti potranno apprezzare le reali dimensioni del lavoro svolto dall’autore. La ricercata scelta delle posture e della fisicità di quei personaggi che grazie a esse sono divenuti iconici, come il Kingpin di Bill Sienkiewicz o l’eleganza con cui ha reso Dirt un ottimo Angelo Caduto come nel celebre dipinto di Alexandre Cabanel, fino ad arrivare a quello squarcio poetico di vita notturna che è I Nottambuli di Edward Hopper.
In Skeentopolis l’arte dell’autore esplode e inonda le tavole di colori, stupisce con architetture futuristiche e incanta in momenti d’azione che rimodellano i contorni di quel protagonista tanto inquietante quanto misterioso. Dirt è infatti un personaggio centralizzante, la sua caratterizzazione è come un buco nero che attira tutto verso il nucleo. Più viene messo all’angolo, più evolve in qualcosa di magnificamente umano, rivelando tratti caratteriali inaspettati e lo spirito indomabile di un samurai vagabondo.
Skeentopolis riprende la storia di Dirt e gli dona una profondità inaspettata, modellando il personaggio e plasmandolo da iniziale caricatura tragicomica a eroe solitario e invincibile. Un involontario simbolo di resistenza che combatte per la propria dignità di emarginato e che merita molto più rispetto di quanto le apparenze possano suggerire. Per dirla con parole che potrebbero essere le sue: “è il caso di prendermi sul serio, che ne pensi”?
Simon Savelli