Smack! 2 ~ Non c'è rivoluzione transfemminista senza cura

In occasione della Giornata internazionale dei diritti delle donne arriva in libreria il secondo numero della rivista transfemminista e intersezionale curata dal collettivo Moleste


Per chi si fosse perso il primo volume: Smack! nasce come autoproduzione (con il numero 0, per cui il primo volume è in realtà il secondo, e il secondo è il terzo) e si trasforma in rivista (pubblicata da Eris Edizioni) poco più di un anno fa, con l’uscita del primo numero.


Smack! - che può essere il suono dolce di un bacio o quello spiazzante di uno schiaffo - è un contenitore di testi, immagini, e idee che si declinano liberamente intorno a un tema. L’anno scorso il tema era “Il pelo”, una cosa piccola, minuscola, quasi invisibile che però apriva spazi di riflessione e confronto sulle storie e sui corpi, sulla politica e sui diritti, sull’abitabilità degli spazi e sulla rivendicazione della propria autodeterminazione.

Questa volta, lә autorә del collettivo Moleste si sono cimentatә sul tema della “Cura”, un tema importante e sentito, come spiegano nell’introduzione, nato in un momento in cui loro stessә hanno sentito di avere bisogno di tempo, di recuperare energie e mettere in pausa la pressione performativista tipica del nostro folle modo di vivere.

Cura è una parola astratta, un termine-cassetto in cui poter ripiegare un’enormità di significati, ma cura assume un senso ben più definito quando è inteso da una prospettiva politica e transfemminista - la prospettiva da cui abbiamo bisogno di imparare a guardare le cose.
Cura è innanzitutto un tempo che non segue i ritmi iperproduttivi e iperperformativi del nostro oggi, è il tempo del riposo, dell’introspezione, della reciprocità, di una creatività che non punta alla monetizzazione ma che vuole veicolare messaggi ed esprimere interiorità.


La copertina di questo numero di cura ne ha richiesta tanta: non un’illustrazione in senso classico ma un ricamo, opera di Kalina Muhova, che, punto dopo punto, costruisce l’immagine di una ragazza seduta su uno specchio. Perché non c’è cura che non passi per il corpo, il proprio e quello dell’altrә, e dalle vicende in cui il corpo è coinvolto, sia che si tratti del lavorare a quattro mani su un’unica opera, come l’illustrazione Culla viscerale di Sasso Donato e Lorenzo Raimondo, sia che ci si riferisca a una storia dolorosa come Me Too di Elsa Klée, dove la cura si declina nella capacità di accogliere la storia, la verità e la sofferenza di qualcunә senza giudicare né metterne in dubbio la sincerità, ma anche nella possibilità che questa storia sia un "sorella non sei sola", un regalo che arriva tra le mani di una delle tante sconosciute che avrebbero storie simili da raccontare.

Luce Scheggi, insieme a Laura Bernardi, in Self-care routine ci parlano della necessità di riappropriarsi del concetto di cura come strategia per contrastare il modo in cui l’economia consumistica ha distorto questa parola, riempiendola di bisogni fittizi da soddisfare attraverso l’acquisto compulsivo e bulimico di prodotti di bellezza, attrezzi, strumenti, integratori, corsi in palestra eccetera, tutti fondamentali, indispensabili ed economicamente spesso inaccessibili, tutti sponsorizzati sui social da influencer che li presentano come il minimo sindacale per non provare vergogna di sé e, soprattutto, per compiacere quel male gaze di cui non riusciamo a liberarci.


E cura è, ovviamente, un concetto che implica pluralità: la cura che possiamo e dobbiamo avere nei confronti dellә altrә passa tanto dall’eliminazione delle pratiche di gatekeeping, soprattutto negli ambienti politici che vogliono dirsi “dal basso”, al fine di spianare le differenze di conoscenze e abilità, e per rendere questi ambienti davvero plurali, come racconta Le recensioni non richieste in Curami, raccontami, provocami. Cura è il lavoro di informazione e sensibilizzazione come quello fatto dallә artivistә durante alcune manifestazioni culturali come la BCBF a proposito del silenzio sul genocidio palestinese, di cui si parla in We cannot remain silent di Giacomo Guccinelli, Arianna Bellucci, Camilla Garofalo, Giulia Quagli, Marta Alacevich e Valeria Fogato, e No peace without an end of occupation di Giacomo Guccinelli, La Tram e Marta Alacevich; cura è un muro fatto di corpi che si tengono stretti come quelli di Barricate di cura di Rachele Pellegrini, fino ad arrivare alla cura del territorio, inteso sia come ecosistema, sia per definire le reti sociali che su quel territorio nascono e crescono, come in Terronɜ di Claudia Fauzia, Susanna Raule e Claudia Iannicello, o anche territorio come legame con la memoria, come nella storia di Luigi Filippelli e Deborah Tommasini, L’orto.


Ridefinire il concetto di cura significa ridefinire uno dei principali ruoli di genere collegati al femminile: non cura come sacrificio, abnegazione, non più cura come dovere imposto a madri, mogli e sorelle, ma cura come elemento fondamentale delle relazioni e della vita di comunità, basata sulla reciprocità e la volontarietà, una vita che può sembrare un idillio ma che non è mai facile, come succede ad esempio alle protagoniste di Irene&Irene di Barbara Giorgi e Vyles. E la Mammostro di Fran ci ricorda che a volte curarsi vuol dire proprio recuperare quel pezzo di noi che abbiamo lasciato indietro, magari proprio per dedicarci allә altrә.

La cura può e deve essere universale e interspecie: è quello che ci ricordano Irene Rutigliano e Susanna Panini in Siamo cagne, vacche, porche, somare, bestie!, citando bell hooks, e come fanno Francesca Torre e Rosalia Radosti ne Il gatto, una silent story dolce e malinconica che dice che cura è anche saper lasciare andare, quando serve.

Inevitabilmente, parlando di cura si finisce nell’ambito medico: Perfect day di Neri Cortopassi e Curami di Rah Paolucci e Giona Barnaba si parla di DCA e di quanto importante sia affrontarli insieme a qualcunә che semplicemente c’è, non giudica, non rimprovera, semplicemente si prende cura di noi. Rimedio universale di Carmen Guasco e Alessia de Sio insieme a Medical Loop di Toonie ironizzano su quanto spesso la medicina sia incapace di risolvere i problemi, screditando i sintomi delle pazienti - come accade anche in La camera gialla di Charlotte Perkins Gilman, qui omaggiata da Gloria Pizzilli - o scadendo in quell’ipermedicalizzazione che non fa altro che peggiorare lo stato delle cose. Infine Marilù Oliva firma una storia a sfondo mitologico, L'elisir segreto, illustrata da Diana Naneva, sull’importanza del dolore e della difficoltà, a volte, di trovare una cura.


Cura è anche condividere le proprie storie e ascoltare quelle dellә altrә, è ridere anche delle cose che più ci fanno arrabbiare (vedi la rubrica #veroduro di Susanna Raule e Andrea del Campo). Cura è tenersi per mano e non soccombere davanti a chi vorrebbe che non ci prendessimo cura lә unә dellә altrә - come succede ne Il rimedio di Margherita Meini - cura è parlare di cura, proprio come fa questa rivista, piantando semi di speranza - la mia storia preferita è Sweet Rock, di Shannice e Kaaj Tshikalandand, proprio per l’incredibile utopia che hanno saputo creare in così poche pagine - che un giorno magari sbocceranno in un mondo forse più aspro, ma tra gente più gentile.

E dunque, che sia un otto marzo di lotta e di cura verso noi stessә, verso le nostre famiglie (qualsiasi forma abbiano), verso le nostre comunità e verso il nostro pianeta.

Claudia Maltese (aka clacca)

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