La vita di Otama, il non-euromanga di Sergio Bonelli Editore
Euromanga è un termine che si diffonde sempre di più nel fumetto occidentale. Si tratta di un fenomeno culturale che spesso viene confuso con uno stile, per l’appunto lo stile “manga”, ovvero adottare quelle che sono le regole schematiche visive di base intorno al quale il medium ha creato nel corso degli anni il suo canone. Non spetta a questo articolo parlare nello specifico di quanto la scarsità di testi di riferimento adeguati e l'assenza di una critica che osservi il fumetto come linguaggio (dunque nella sua concezione semantica, linguistica, filologica ecc.) contribuisca alla creazione di storture e fraintendimenti quando vengono coniati nuovi termini e se ne amministra l’uso. Quel che è certo è che il fenomeno euromanga esiste ed è anche sempre più influente, producendo però ad oggi ben poche opere anche lontanamente interessanti. Il movimento euromanga, infatti, spesso ingenuo riguardo al suo stesso modo d’essere, genera di frequente la copia di un canone, ribaltando in modo fondamentale il fatto per cui è l’esperienza condivisa da tutti gli artisti in un periodo storico a creare il canone e non viceversa a creare emuli dello stesso. O meglio questo fenomeno esiste, ed è sempre esistito, ma raramente produce qualcosa di buono.
Fare confusione in un campo così poco battuto è molto semplice e necessitiamo dunque di fare delle distinzioni. Infatti esistono degli artisti che riprendono efficacemente dei concetti del disegno nipponico riportandoli al vecchio continente. Questo tipo di disegno si caratterizza per il fatto di non “scimmiottare” mai il canone del fumetto giapponese, ma per la sua capacità di appropriarsi di regole, idee e costrutti che vengono armonizzate poi alla propria cultura.
Strano caso, che va a posizionarsi proprio a metà fra i due discorsi che hanno introdotto questa recensione, è La vita di Otama, firmato per la sceneggiatura da Keiko Ichiguchi e per i disegni di Andrea Accardi, pubblicato in Francia dalla casa editrice Kana e portato in Italia da Sergio Bonelli Editore (seguendo la via recentemente intrapresa con Tenebrosa).
L’opera racconta la storia di un personaggio realmente esistito, ovvero Kiyohara Otama, una donna che ebbe più nomi (Eleonora Ragusa, fra gli altri) proprio per via della sua travagliata e avventurosa vita raccontata in questa biografia artistica.
La nostra storia è ambientata fra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento e partendo dal Giappone ci porta in Sicilia, ricollegandoci infine, in una struttura circolare, alla terra del Sol Levante. Otama è una disegnatrice che in giovanissima età conosce e si innamora di Vincenzo Ragusa, artista siciliano che si trova in Giappone a lavorare, fra gli altri, anche alla corte dell’Imperatore in persona, alla fine di un periodo in cui, dopo la sua prima apertura al mondo, il Giappone si era impegnato a importare arte estera da tutto il mondo. Quando Otama e Vincenzo confessano vicendevolmente il loro amore, decidono di trasferirsi in Sicilia.
La vita di Otama vista così non sembrerebbe altro che una biografia se non fosse, però, che attraverso un ottimo stratagemma narrativo e una gestione intelligente dei tempi Ichiguchi ci fa seguire in contemporanea due binari: il primo è quello della biografia di Otama e l’altro è il racconto che Otama stessa fa della sua vita, ormai anziana, una volta tornata in Giappone dopo la morte dell’amato Vincenzo. Ichiguchi trova il modo di raccontare la povertà, il disagio sociale, ma anche il desiderio di farcela e l’amore incondizionato per il disegno attraverso un incontro (che è poi ciò che innesca la narrazione) che la anziana Otama ha con Atsushi, un bimbo che si imbatte in lei per caso e che è innamorato profondamente dell’arte, tanto quanto scoraggiato dal contesto sociale che lo circonda.
La vita di Otama diventa allora una narrazione che, attraverso la vita di una donna fuori dal comune, ci racconta non solo un momento storico, ma anche tutto ciò che nel mondo è bellezza, in una sorta di inno all’arte, all’ispirazione, all’amore per le cose semplici e le persone, e in questo il testo riesce ad essere fortemente Orientale nell’accezione migliore e più efficace.
Altrettanto funzionali sembrano essere i disegni di Accardi (ed ecco dunque il momento in cui ci ricolleghiamo al nostro cappello introduttivo). L’autore mostra immediatamente le capacità di un artista con grande esperienza, ad esempio con grande capacità di gestione della sintesi e in alcuni character design: su tutti quello di Otama anziana, presentando la nostra protagonista con una sinuosità e un'armonia sconcertante. L’aspetto generale del fumetto, però, sembra subire alcune scelte estetiche, ad esempio l'utilizzo a tratti eccessivo del retino digitale, che sicuramente da un lato aumenta “l’aspetto manga” dell’opera ma che dall’altro non sembra funzionare in tutti i momenti della narrazione. Lo stesso vale per alcune espressioni facciali che, condizionate dall’utilizzo di un canone di aspetto più orientale, a volte mostrano forzature e storture.
Sicuramente Accardi gestisce eccellentemente i tempi della narrazione e la regia attraverso una struttura della gabbia occidentale, che viene coordinata piuttosto bene allo spazio e al contenuto delle vignette, pregne di bianchi come lo stile a cui l’artista fa riferimento richiede.
Ecco allora che La vita di Otama si presenta come una sorta di un non-euromanga, in cui gli autori omaggiano il canone e allo stesso tempo se ne distanziano. Certo è che l’efficacia dell’opera risiede proprio in quei momenti in cui il canone non è rispettato, e in cui davvero, paradossalmente, riusciamo a respirare l’orientalità dell’opera.
Il risultato è un fumetto estremamente efficace in grado di raccontare una storia complessa in modo semplice, pur non perdendo mai di vista la possibilità di mostrare al lettore come la vita sappia deviare e deviarci, ferirci e farci crescere, e di come l’anzianità non sia solo un momento “della fine” ma anche della riflessione nel suo senso più nobile e meditativo, in cui la luce riesce a filtrare fino all’ultimo momento dell’esistenza.