Nostra Signora dei Lupi ~ una storia di ferocia e di speranza all'ombra della foresta
Dopo Le figlie di Salem, Thomas Gilbert torna al momento in cui prepotenza, sfruttamento
e ferocia iniziano a diventare gli elementi fondanti della nostra realtà, e
dove pure resta la speranza di un’alternativa possibile
Un uomo? E per cosa? Siamo già troppo immerse nel loro mondo. Ed è un mondo che non mi piace. Me ne hanno fatte passare troppe. Non hanno morale. Rispettano solo il potere o la forza.Francia meridionale, tramonto del primo millennio.
O l’assassinio.
Vedo ciò che fanno i signori, i preti. Allargano la loro rete. Creano un mondo che non mi piace. Un mondo controllato in ogni suo aspetto. Io amo la nebbia, l’indefinito. La purezza mi infastidisce. Sono contenta di essere sporca.
Gli uomini regnano sul tempo per reprimerci.
Lə storicə chiamano questo periodo
“Alto Medioevo”, i famosi Secoli Bui che prendono il nome dalla relativa
mancanza di produzione letteraria e che si sono poi trasformati, nel nostro
immaginario, in un lungo arco temporale fatto di arretratezza, violenza e
sopraffazione.
Se pure forse non fu tutto così negativo, certo è che è in quel periodo che germinano i semi di quel sistema culturale, sociale, politico ed economico che, rotolando in basso nel corso dei secoli, alimentandosi di sé stesso e ingigantendosi sempre di più, ha segnato una volta e per sempre la strada che ci porta al nostro presente.
Se pure forse non fu tutto così negativo, certo è che è in quel periodo che germinano i semi di quel sistema culturale, sociale, politico ed economico che, rotolando in basso nel corso dei secoli, alimentandosi di sé stesso e ingigantendosi sempre di più, ha segnato una volta e per sempre la strada che ci porta al nostro presente.
Con Nostra Signora dei Lupi Thomas Gilbert - ancora una volta in Italia grazie a Diabolo Edizioni - ci porta tra foreste oscure e villaggi sperduti a raccontarci l’alba del nostro oggi seguendo il vagabondare di Brunilde, guida dei lupi e guaritrice.
Forte, indipendente, saggia, coraggiosa, generosa: Brunilde è tutto quello che una donna non dovrebbe essere, non in un mondo dominato dagli uomini. Accompagnata da Lupetto – figlio di un lupo e una cagna - la vita di Brunilde è un interminabile viaggio, una vita libera, anarchica, estranea a ogni gerarchia di potere e idea di proprietà. La sua casa sono i boschi e le foreste, il suo soffitto il cielo stellato, la sua famiglia l’umanità intera, laddove l’umanità abbia voglia di accoglierla e stringersi intorno a lei per qualche giorno, prima di riprendere il cammino.
Brunilde sa guardare negli occhi di ogni creatura, sa
accogliere il dolore di chi soffre, indipendentemente da chi sia o su quante
zampe cammini per il mondo. Il suo lungo addestramento come guida dei lupi le
ha insegnato non solo come guarire ferite e infezioni, ma anche come curare le
sofferenze delle anime, come vivere in armonia con le creature delle foreste. È
quella che un giorno verrà additata come strega, la signora dei Lupi e dei
boschi, conoscitrice di erbe e dei mali che possono curare, la donna il cui
spirito risuona in armonia perfetta con il resto del creato.
Quel creato che gli uomini vogliono piegare al loro volere.
Quel creato che gli uomini vogliono piegare al loro volere.
All’inizio del racconto, Brunilde incontra Paulin, vagabondo anche lui, venditore di cianfrusaglie e inganni, scampato alla forca chissà quante volte. Linguacciuto e chiacchierone, Paulin incarna perfettamente quel tipo d’uomo che non pensa ad altro che a riempirsi la pancia e sfangarla giorno dopo giorno. Due anime così opposte e inconciliabili dovrebbero fare scintille, eppure Brunilde e Paulin diventano, in qualche modo, compagnə di viaggio. Ed è subito dopo il loro incontro che la foresta si apre su un villaggio che è la perfetta definizione di miseria: affamatə e malatə, lə abitanti raccontano allə forestierə di un orribile, brutale e imperdonabile omicidio: il corpicino di un bambino è stato ritrovato straziato e dilaniato nei campi, poco fuori al villaggio. Agli occhi di tuttə, è la conferma che il villaggio è maledetto, condannato a soccombere per la carestia, le malattie o le bestie feroci.
Brunilde sa, soprattutto, che quel bambino non è vittima dei lupi ma di una
creatura ben più feroce, spietata e pericolosa: un altro essere umano.
Di villaggio in villaggio, la storia si tinge di sfumature di noir e si macchia di sangue: i padroni delle terre pensano solo a consolidare e accrescere il loro potere mentre la gente muore di fame e di pestilenze, si incattivisce, raccoglie il male che riceve e lo scaraventa su chi incontra durante il cammino. E mentre impariamo la storia di Brunilde, il modo in cui è cresciuta come guida dei lupi, reietta e vagabonda in mezzo a chi crede di poter piegare la natura al suo volere col fuoco e con le lame, Gilbert costella la narrazione di indizi per permetterci di dare un volto, un nome e una storia alla figura oscura e quasi diabolica che avevamo intravisto tra le ombre delle prime tavole: chi è che gira per la regione massacrando lə bambinə? E perché lo fa? Qual è il suo passato, cosa c’è nella sua mente e nel suo cuore di così determinato e crudele da spingerlo a commettere uccisioni tanto brutali e impensabili?
Gilbert racconta una storia che non è solo una storia, ma una disamina della nascita del nostro sistema sociale basato sulla legittimità esclusiva dell’uso della violenza da parte dei padroni che sarà, in un futuro ancora lontano, quella degli stati-nazione; sull’accumulazione delle ricchezze in mano a pochi (il maschile è voluto); sul disequilibrio di potere tra uomini e donne, tra fortə e debolə; sull’allontanamento dalla natura e sul suo sfruttamento irresponsabile e senza freni.
E pone all’origine di questo sistema di pensiero e di azione una visione distorta e parziale di quella religione predicata un tempo da chi predicava amore, perdono e fratellanza, diventata adesso strumento di predominio nelle mani di quei pochi (anche qui, il maschile non è un caso) che in nome di dio arraffano potere e ricchezze sulla pelle di chi resta inerme a lottare per la mera sopravvivenza.
Già ne Le figlie di Salem, per Gilbert la religione era un’arma nelle mani di chi amministrava il potere, la spada da calare sul collo delle persone più scomode, di chi non piegava la testa e non abbassava lo sguardo davanti alle ingiustizie e alle prepotenze. Era uno strumento nelle mani degli uomini per rendere le donne colpevoli del solo fatto di essere donne, per annientare la loro personalità, distruggere i loro desideri, imprigionare la loro libertà e giustificare ogni violenza commessa sui loro corpi e sulle loro menti. Qui in Nostra Signora dei Lupi, il credo cristiano è sì impersonato da grassi frati egoisti e dai padroni che si definiscono tali per volere di dio, ma si deforma nelle visioni dell’assassino nascosto nell’ombra delle foreste: gli angeli diventano creature di luce mostruosi e deformi, corpi costellati di occhi e bocche, volti inespressivi, costati emaciati ricoperti dei sigilli il cui scioglimento porterà all’Apocalisse, al Giudizio e all’annientamento dellə peccatorə e del peccato stesso.
Lo
stile dei disegni è quello a cui Gilbert ci ha abituatə, un tratto veloce, vivo ed espressivo, che non censura nulla dei corpi, che si disinteressa al bello ideale per
raccontare il vero, le calvizie e i denti mancanti o marci, i pidocchi e i peli, il
grasso e la magrezza eccessiva. È solo nelle rappresentazioni degli animali e
della natura che concede all’inchiostro di mostrare la magnificenza e la
potenza della natura, la sua bellezza selvaggia e perfetta nel suo allontanarsi
da ogni canone estetico definito dagli esseri umani. Anche il colore racconta
qualcosa: le tavole si fanno scure, desaturate, quasi fangose quanto la storia
si sofferma nei villaggi che Brunilde incontra sul suo cammino, per poi
riprendere intensità nelle scene illuminate da un sole che non distingue tra
gli atti di estrema crudeltà e quelli d’amore, illumina tutto, indistintamente.
Luce totale che sbianca le tavole e annichilisce lo spazio caratterizza invece la
dimensione delle visioni misticheggianti dell’infanticida, una luce che non
riesce a cancellare l’ombra dal suo volto e che, anziché rivelazione divina,
definisce il carattere allucinatorio e perverso dei suoi pensieri.
La mente che pensa di essere visitata da queste visioni ma che ne è l’unica artefice è quella di un uomo la cui storia è stata insozzata di sangue, di una violenza stupida e inutile, messa in atto solo come prova della capacità di distruggere che possiede chi non sa creare nulla, chi non sa guardare alla bellezza del mondo senza volerla piegare al suo essere solo un piccolo, insignificante uomo nell’immensità della creazione.
Agli albori del suo farsi religione di buona parte del mondo, il cristianesimo - che non viene mai nominato come tale ma il riferimento è evidente - si pone come purificatore di credenze pagane, rigettate da chi intende appropriarsi del “nuovo” credo per accrescere il proprio potere e il proprio dominio. Gilbert ci racconta come, deviato da secoli di oppressione da parte della neonata chiesa e dagli ordini monastici, quello che doveva essere un discorso d’amore è diventato l’oppio che inganna le menti con visioni che si nutrono di traumi e paure e trasforma gli uomini in bestie feroci, nell’unica razza di bestie feroci capaci di uccidere a sangue freddo lə cucciolə della sua stessa specie per obbedire a ordini che nessun dio potrebbe mai immaginare di pronunciare.
Eppure - cosa insolita per lo straordinario autore francese - Nostra Signora dei Lupi si chiude con una scena di rinascita, perdono e speranza. Perché per ogni homo hominis lupus, esiste ed esisterà sempre chi percorrerà il mondo - o forse anche solo una strada - per guarire, consolare e guidare.
Claudia Maltese (aka clacca)