Un viaggio lungo vent'anni: Craig Thompson riflette su arte, vulnerabilità e censura
Con il suo tratto delicato e la profondità emotiva dei suoi racconti, Craig Thompson ha conquistato lettori e lettrici di tutto il mondo. I suoi graphic novel - tra cui Blankets e Habibi, fino all’ultima uscita Ginseng Roots - hanno segnato la storia del fumetto esplorando temi universali come l'amore, la fede, la famiglia e la ricerca di sé.
Durante il Lucca Comics & Games 2024 abbiamo avuto l’onore di intervistarlo sulla sua vita e la sua carriera, alla luce del ventesimo anniversario di Blankets. Thompson ci ha raccontato del suo percorso creativo e dell’eredità del suo primo libro, ma anche delle sfide che ha affrontato nel portare storie così intime e potenti su carta.
Cosa rappresenta Blankets per te e per la tua carriera? E com’è nata l’idea di una versione speciale per il ventesimo anniversario dell’opera?
Dobbiamo riconoscere che è stato il mio editore italiano, Rizzoli Lizard, a renderla possibile. Mi hanno contattato e proposto un’edizione speciale arricchita coi materiali sul making of del libro. All'inizio non pensavo di poterla realizzare perché ero molto impegnato con il lavoro su Ginseng Roots, e il materiale di produzione di Blankets era conservato in un magazzino dall'altra parte del Paese.
Tutti gli originali di Blankets, i quaderni di schizzi e i miei diari di quel periodo erano in un magazzino a Minneapolis, dove viveva mio fratello, mentre io ero a Portland, in Oregon. Ma poi il tempismo si è rivelato perfetto perché stavo lavorando all'ultimo capitolo del mio ultimo libro e mi sono reso conto che i due libri erano collegati, e che sarebbe stato un esercizio utile. Così sono volato a casa, in Minnesota, per recuperare il materiale e rivisitare il processo di creazione di Blankets risalente a venti anni prima.
È stato un processo un po' dolceamaro, perché è stato il libro che ha segnato l'inizio della mia carriera ed è ancora oggi quello di maggior successo. Ricordo che quando uscì, il mio mentore in Francia, Benoît Peeters, famoso scrittore, mi disse: "Congratulazioni, sei fortunato ad avere un bestseller, e potrebbe essere l'unico della tua carriera". Finora è stato così. Ricordo che all'epoca avevo vent'anni e pensavo: "Oh no, sono giovane, ho libri migliori dentro di me!". E credo davvero di avere libri migliori, ma forse nessuno che possa avere lo stesso impatto, e sicuramente nessun altro scritto con lo stesso stato di innocenza con cui ho scritto quel libro…
Guardando al passato, riscopri elementi che ti sorprendono o emozionano? Quali sensazioni provi rileggendo Blankets oggi?
Ecco, è proprio questo il punto. C’è qualcosa di ingenuo e innocente in quel libro. Ingenuo sia in senso positivo che negativo, ma quasi tutto in senso positivo. Provo invidia per la mia energia giovanile e per la mancanza di autoconsapevolezza che avevo mentre lo realizzavo.
A quel tempo non pensavo che qualcuno avrebbe letto Blankets. È stato un progetto fatto per amore, per me stesso, qualcosa di profondamente personale. Mi aspettavo qualche centinaio, al massimo un paio di migliaia tra lettori e lettrici. E proprio questo mi ha permesso una libertà totale, di fare semplicemente ciò che volevo. Non c'era nulla di commerciale in quel progetto.
Avevo amici fumettisti che mi dicevano: "Perché lo stai facendo in questo modo? Dovresti pubblicarlo a puntate". Gli editori mi dicevano: "Oh, non possiamo pubblicarlo, sarebbe assurdo pubblicare un libro di 500 pagine di un autore sconosciuto". Alcuni sostenevano che la storia fosse troppo lenta, che avrei dovuto trovare un modo per condensarla. Mi dicevano che avrei potuto togliere 200 pagine per accelerare il ritmo. Ma io l’ho fatto semplicemente come volevo, senza aspettative.
Da allora non ho più ritrovato quella stessa purezza nella mia creatività, quella sensazione di non essere consapevole del pubblico. Ora sento che ci sono delle aspettative su tutto ciò che faccio.
Ti sei sentito vulnerabile nel condividere così tanto della tua vita intima in Blankets?
Sì e no. Ho pubblicato tre memoir autobiografici — Blankets, Carnet di viaggio e Ginseng Roots — e ognuna di queste rivela solo una parte di me, una frazione, un aspetto. Quindi non mi sento mai completamente "nudo" in questi libri, ma sto cercando quella forma di vulnerabilità.
Suppongo sia questo a interessarmi come scrittore: arrivare al cuore della vulnerabilità e fragilità umana, perché credo che sia l'aspetto più universale e più autenticamente umano.
Di recente, Blankets ha affrontato dei divieti in Utah e in altri luoghi, dalle biblioteche alle scuole, etichettato come inappropriato o addirittura "pornografico". Qual è il tuo parere su questo? Come ti fa sentire?
Beh, Blankets è oggetto di divieti da ormai 20 anni. È diventato un "vecchio tormentone", direi, per me, ci sono abituato.
Nello Utah è stato bandito in tutto lo Stato. È la prima volta che succede in uno Stato intero, ed è successo nelle biblioteche pubbliche. È già un libro generalmente non ammesso nelle scuole, nemmeno nelle scuole superiori. In molti Stati è classificato come pornografia. Non mi colpisce più di tanto, perché sono cresciuto in una famiglia di cristiani fondamentalisti, dove ogni tipo di media veniva censurato. È un tipo di trattamento a cui sono abituato e che capisco.
Ciò che per me è più difficile è quando i divieti arrivano dalla sinistra politica, che direi è il lato a cui mi sento più vicino, con cui mi identifico: sono un liberale progressista. Ed è quando anche queste comunità cercano di bandire i miei libri per altre ragioni che la cosa mi ferisce di più.
Ti trovi qui a Lucca Comics anche per presentare Ginseng Roots, pubblicato in Italia da Rizzoli Lizard, tre libri ora riuniti in un'edizione completa in un unico volume. In alcune recenti interviste hai suggerito che questo progetto potrebbe rappresentare, in un certo senso, la conclusione della tua carriera, la fine di un percorso circolare che ti ha portato a raccontare ancora una volta una parte della tua vita. Però hai anche detto che il lavoro nell’esplorazione del genere memoir continua… Come ti senti, quindi, alla fine di questi libri?
In realtà, non mi sono sentito molto bene quando ho finito Ginseng Roots. Ho terminato la serie lo scorso settembre, nel 2023. In Italia è stata pubblicata nei tre volumi che hai menzionato, mentre negli Stati Uniti il libro è uscito in 12 albi. Parte del motivo per cui non mi sono sentito bene è che non mi sembrava completo, non mi sembrava “giusto” .
Mi sono seduto e ho letto tutti i 12 numeri, e ho avuto la sensazione che mancasse il cuore di qualcosa, in particolare un arco narrativo che legasse tutto insieme. Ho dovuto affrontare questa sfida, mi sono chiesto: “come faccio a farlo funzionare come un vero libro?”. Penso che ci sia una differenza piuttosto forte, un’energia diversa tra questa edizione grafica definitiva e ciò che c’era prima.
Ho avuto anche una risposta emotiva molto difficile, come una depressione post-partum dopo la nascita di un figlio, perché i miei ultimi libri negli Stati Uniti non sono stati affatto ben accolti.
Sai, Habibi e Space Dumplings hanno ricevuto molte critiche negative, persino minacce di morte, e questo mi ha davvero scoraggiato nell'ultimo decennio. Non sentivo di avere la forza per affrontare l’uscita di un altro libro. Ora sto cercando di ricostruire quella forza. E penso di starci riuscendo, perché l’Europa mi sta incoraggiando molto. Soprattutto in Italia, la mia reputazione e la mia carriera mi sembrano molto più sostenute. Quindi, credo di essere più un artista europeo che americano. Al momento, non penso di corrispondere molto alla cultura americana.
Ci sono artisti in Europa che hanno influenzato il tuo stile in passato. Attualmente ci sono artisti che consideri il futuro dei graphic novel, dal punto di vista europeo? E negli USA com’è il panorama attuale?
Sì, è davvero emozionante esplorare il mondo dei fumetti europei, da quando ho iniziato a viaggiare. Purtroppo non posso leggerli per questioni linguistiche, però mi entusiasmano molto a livello visivo e tematico. Sento che il graphic novel letterario per adulti è in una fase di grande crescita qui in Europa, più che negli Stati Uniti. Negli US c’è stato un momento di forte fermento circa vent'anni fa, quando è uscito Blankets. Quell'ottimismo e quell'entusiasmo per questo nuovo modo di fare i fumetti sono continuati per quasi un decennio. Ora, vent’anni dopo, però, la maggior parte dei fumetti è rivolta a un pubblico di bambini e adolescenti. Si potrebbe dire che il 90% dei romanzi grafici pubblicati negli Stati Uniti sia destinato alla categoria young adult. È tornato a essere un medium per bambini…
Questo è anche uno dei motivi per cui i graphic novel per adulti sono diventati un bersaglio della censura. La gente si chiede: “Aspetta, perché certe tematiche vengono trattate nei libri per bambini?”. Per chi, come me, crea opere pensate per lettori adulti, è quindi un momento storico un po’ scoraggiante.
Uno dei miei grandi amici e mentori nel mondo del fumetto è Joe Sacco, un grande graphic journalist. Lui sostiene che negli Stati Uniti ci sono forse dieci autori di graphic novel per adulti che riescono a vivere grazie a questo lavoro. Tra questi ci siamo io e lui, quindi forse ce ne sono altri otto…
È una posizione piuttosto rara e privilegiata. Negli US non c’è un vero mercato per questo genere ed è strano, perché in Italia e in Europa esiste un mercato anche per persone che hanno più di 40 o 50 anni. Qui i libri per adulti funzionano molto bene! È un contesto molto diverso.
Joe Sacco, autoritratto.
Ci sono artisti europei che conoscevi e che stai seguendo in questo momento?
Sì, ma faccio un po’ fatica a ricordare i nomi al momento. Sto viaggiando da due mesi: sono stato un mese in Francia, due settimane in Spagna, nei Paesi Baschi, e circa dieci giorni in Germania prima di arrivare in Italia, circa una settimana fa, credo... sto perdendo la cognizione del tempo (sorride; n.d.r).
Comunque, in ogni Paese sto scoprendo nuovi libri e opere che mi entusiasmano. Però è difficile per me fare nomi precisi in questo momento. Un problema è che non posso acquistare libri e portarli con me, dato che sto viaggiando leggero e senza una meta fissa. Ho solo una valigia da cabina e non posso accumulare libri, non avendo dove metterli dato che non ho una casa in cui tornare. Però c’è davvero tanto che mi emoziona: la varietà di talenti e stili che sto vedendo è straordinaria. Così, spesso mi rifaccio agli artisti europei che mi hanno influenzato per primi circa vent’anni fa: uno di questi è Edmond Baudouin, che è anche qui al Lucca Festival. Ora ha 82 o 83 anni, è uno dei grandi maestri del fumetto francese e, davvero, è forse il creatore di questo tipo di fumetto letterario e underground. Forse è stato il primo a esplorare questa strada? Non saprei a chi altro attribuire questo merito.
È un maestro vivente e per me una grande fonte di ispirazione. Infatti, stiamo collaborando ad un libro. Dieci anni fa abbiamo lavorato per circa sei mesi su un progetto comune, che poi ho abbandonato perché mi ero perso in un mio blocco creativo. Non riuscivo a vedere la trama del libro prendere forma e così ho rinunciato, ma ora stiamo riprendendo il progetto.
È la prima cosa a cui mi dedicherò una volta terminato questo tour: riprendere la collaborazione con Edmond Baudouin.
Com'è stato per te, abituato a lavorare in solitudine, collaborare con un altro autore?
È davvero strano e difficile, perché sono un editor e critico molto severo, soprattutto nei confronti del mio lavoro. Non sono per nulla indulgente verso me stesso, ed è strano estendere questa ipercriticità a qualcun altro, poiché mantengo lo stesso sguardo editoriale estremamente critico anche quando collaboro. È anche una sfida, perché Edmond non parla inglese e io praticamente non parlo francese. Conosco quel poco di francese che mi permette di cavarmela quando viaggio, ma niente di più. Quindi, vorremmo creare un libro che catturi proprio il fatto che non parliamo la stessa lingua, nonostante abbiamo trascorso mesi viaggiando insieme.
Ora, se riprendiamo il progetto, abbiamo il vantaggio di poter usare Google Translate, ma è anche molto artificiale e non coglie appieno la realtà di come abbiamo viaggiato insieme per due mesi, cercando di comunicare senza una lingua comune. Siamo stati costretti a comunicare attraverso i disegni, con molti schemi e schizzi. Questa sarà la sfida più grande e l’aspetto più importante del libro: riuscire a esprimere cosa significa comunicare quando non si condivide una lingua.
Forse sarà una sorta di taccuino di schizzi. Abbiamo già centinaia di pagine di disegni; è solo che sto ancora cercando di trovare la storia. Dov’è la storia in tutto questo? Non lo so. Penso, però, che Edmond non se ne preoccupi tanto. Lui lavora in modo molto più improvvisato e non si preoccupa se le cose non hanno un inizio, una parte centrale e una fine concreti. Il classico finale francese…