HPL: Una mappatura dei confini dell’uomo, attraverso Lovecraft
Dove finisco io? E dove iniziano gli altri? È una domanda, questa, che ha molto a che fare con il motivo per cui l’uomo produce l’arte, in tutte le sue forme. Siamo esseri dotati di linguaggio e secondo alcuni grandi pensatori questa è per certi versi una condanna che ci allontana dalla verità, per altri è ciò che più ci avvicina al divino.
Una cosa è certa: l’artista si pone sempre la domanda riguardo al confine della sua ontologia, perché ha a che fare più degli altri con il mondo del linguaggio. L’artista, forse, diventa tale proprio perché ossessionato da questa incognita, l’arte altro non è che un tentativo di definire i propri confini nei confronti del mondo esterno. Utilizza il suo linguaggio cercando di rimodulare continuamente quel confine, è un maniaco degli altri, ossessionato da loro, dal confine che rappresentano rispetto a lui, e viceversa. Allo stesso tempo li subisce. Si dice gli artisti abbiano una pelle più sottile rispetto alle persone comuni, facendo riferimento alla loro sensibilità e alla loro conseguente vulnerabilità.
Ogni artista poi - e questo è comune a ogni essere umano - ha una sua visione di quell'“altro” che gli sembra di scorgere e percepire. Probabilmente è là che nasce quello che comunemente chiamiamo immaginario. Un immaginario non è soltanto una questione estetica, la restituzione da parte dell’artista delle sue letture o visioni. È un modo che questo genere di persone ha di osservare il mondo, un modo di codificare quello che viene percepito da qualcosa che non sono i sensi comuni, ma quella sensibilità che in modo particolarmente sviluppato li attraversa. Il pubblico sembra percepire questa visione, ed è affascinato dal fatto che un altro essere umano possa percepire un mondo così diverso da quello che i suoi occhi, invece, osservano.
Su questo e molto altro si interroga HPL di Marco Taddei e Maurizio Lacavalla, pubblicato da Edizioni BD. Il fumetto racconta una biografia di H. P. Lovecraft reinterpretata e personale, fortemente intrapsichica, in cui i fatti storici passano per le visioni dell’autore e il suo filtro oscuro sulla realtà. Vediamo infatti una sorta di biografia distorta dell’autore, laddove la distorsione è quella dello sguardo che egli stesso ha sul mondo, la sua sensibilità.
Il rapporto con la madre e il padre, la visione del mondo e soprattutto l’isolamento dagli altri, la solitudine, l’impossibilità per un ragazzo con quel tipo di sensibilità di ricercare quel “confine” di cui gli artisti hanno bisogno.
L’Howard raccontato da Taddei è un ragazzino che schifa la sua biologia, la realtà materiale, e ricerca disperatamente di capire il Non-essere più puro, di dargli una forma. Vediamo una madre ossessiva e protettiva, un padre andato via troppo presto. La famiglia e la casa sono una prigione e allo stesso tempo una dipendenza dolorosa, la biologia stessa è un dolore, un qualcosa a cui pensare. Tutto ciò che ha Lovecraft è la sua scrittura, quella cosa che lo aiuta a comprendere quali sono i suoi limiti, che lo porta ad esplorare la profonda oscurità di se stesso, che proietta, poi, sul mondo che percepisce. La sceneggiatura è volutamente ariosa: lasciando spazio alle immagini, Taddei riempie le tavole di un silenzio pesante, quello di una quotidianità che nella sua totale regolarità diviene mostruosa, lasciando al lettore un senso di ansia e oppressione.
Anche le tavole di Lacavalla ci gettano in questo senso di inquietudine. Capiamo fin dal primo momento di star osservando il reale da un punto di vista che non ci è familiare. Siamo scomodi, in questo mondo di bianchi e neri netti in cui sia i bianchi che i neri pieni rappresentano dei vuoti che vanno a formare le immagini. I personaggi sono proprio questo, sagome, ricordi rarefatti, di cui non è facile trovare le espressioni del viso, la cui umanità si appiattisce, schiacciata da questa sensazione di vuoto perenne.
La costruzione della tavola disgrega spazio e tempo, che sono sospesi, lasciandoci davanti a un mosaico il cui unico legante è la vita stessa dell’autore. Da un momento all’altro il protagonista si ritrova di fronte ai suoi mostri, e questi momenti sembrano essere sì, terrorizzanti ma, allo stesso tempo, rivelatori. Eccola la realtà, che finalmente si mostra per quella che è, fatta di mostri tentacolari e visioni alienate, mentre il piccolo Howard diventa Lovecraft, lo scrittore misterioso, l’artista dagli occhi spenti, che scrive per sopravvivere.
HPL è un esperimento riuscito, in cui ancor prima che la vita di Lovecraft si respira lo spirito delle sue narrazioni, il mondo altro che poteva scorgere dietro l’illusione del reale, e che ci ha mostrato attraverso le sue opere. La parola stessa viene scomposta da Lacavalla, che non a caso si occupa non solo dei disegni ma anche del lettering. L’estetica della parola infatti viene resa importante da degli stratagemmi che è meglio non rivelare per non rovinare la sorpresa al lettore, ma che rendono il mondo dello scritto e quello dell’immagine molto vicini, fino a farli scontrare.
Se cercate una biografia, una sorta di documentario sullo scrittore, HPL non è il fumetto che fa per voi.
Se siete fan non solo di Lovecraft ma di tutto quello che il suo immaginario ha rappresentato, allora affrettatevi a leggere questo fumetto inquietante e ricercato, che con la scusa di osservare l’orrore di quel ragazzino chiamato Howard, invece, scruta nella mente del lettore.
Alessio Fasano