Ai Weiwei, la Cina, l'arte e l'attivismo - Intervista a Elettra Stamboulis e Gianluca Costantini

Dialogo su un graphic memoir che parla di diritti umani e riflette sul ruolo dell’arte e dell’artista nel mondo

Attraverso i dodici segni dell’oroscopo cinese, presenti in molte sue opere, e alle caratteristiche umane a essi associate, Ai Weiwei, artista e dissidente politico, racconta la sua storia intrecciandola a quella della Cina. Nasce così Zodiac, un libro in cui la biografia è solo la base, il mezzo da cui partire per parlare di diritti umani e per riflettere sul ruolo dell’arte e dell’artista nel mondo.

Per questo lavoro, pubblicato in Italia da Oblomov Edizioni, Ai Weiwei ha scelto di collaborare con Elettra Stamboulis (ai testi) e Gianluca Costantini (ai disegni), che abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare in occasione dell’ultimo Lucca Comics & Games.

Elettra e Gianluca, il vostro percorso è fortemente legato all’attivismo. L’incontro con l’arte di Ai Weiwei, e poi con Ai Weiwei stesso, deve essere stato un momento importante.

Gianluca Costantini: Assolutamente sì, anche perché Zodiac nasce proprio da questo incontro. Mi pare il 2014 l’anno in cui inizio a conoscere il lavoro di Ai Weiwei. Sia io che Elettra partiamo come dei semplici fan, se vogliamo. A riguardo fa molto ridere il fatto che in Cina ci sia addirittura un termine specifico per identificare i seguaci di Ai Weiwei: gli Ai-fan. Da qui comincio a scoprirlo sempre di più attraverso le sue mostre. Nel frattempo, lavorando molto su Twitter sia come artista che come attivista, inizio a imbattermi anche nell’attivismo di Ai Weiwei, non solo nella sua arte, ma proprio nel suo “fare le cose”.

Arriviamo così al 2015, momento in cui inizio a seguirlo molto più intensamente dopo la sua scelta di dedicarsi al problema dei migranti nel Mediterraneo. Tra le tante cose che fa si reca, ad esempio, sull’isola di Lesbo (per documentare e denunciare l’arrivo di migliaia di migranti, n.d.r.). Sul tema organizza incontri e realizza anche diverse opere d’arte. In quel momento inizio a disegnarlo, focalizzandomi su ciò che fa giorno per giorno, per poi pubblicare il tutto su Twitter. Accade così che Ai Weiwei inizia a interagire con me, in principio solo con dei retweet per poi arrivare anche a scrivermi dei messaggi. Ti confesso che ero molto diffidente. Non pensavo nemmeno che fosse lui. Credevo si trattasse di qualcuno che voleva spacciarsi per Ai Weiwei, anche perché all’epoca aveva tantissimi profili sui social, ma quello di Twitter si è rivelato essere l’unico ufficiale.

Passa un altro anno fino a quando, nel 2016, mi chiede di incontrarci a Firenze, in occasione di una sua mostra a Palazzo Strozzi. Assieme a me venne pure Elettra. Quello è stato il primo vero incontro al di fuori dal web con Ai Weiwei, il momento in cui la nostra relazione è diventata reale. Detto ciò, devo dirti che il mio rapporto con lui, nonostante lo abbia conosciuto di persona, è rimasto, e rimane, per lo più virtuale. Soffrendo di una dislessia importante mi risulta molto difficile parlare in inglese. Infatti, sebbene online interagiamo moltissimo, quando ci vediamo parliamo poco, o niente. Qui entra in gioco Elettra (ridono, n.d.r). In effetti io e lei abbiamo, con Ai Weiwei, due relazioni molto differenti, come se fossero due binari paralleli. È una cosa curiosa.

Elettra Stamboulis: Sì, io sono quella che parla le lingue (ridono, n.d.r). Con Ai Weiwei è vero, ho fatto la voce di Gianluca, ma poi ho finito per essere anche la voce di Ai Weiwei. L’incontro con lui è stato un vero e proprio privilegio, perché si è fidato di noi. Anzi, ci ha scelto. Devi immaginare che Ai Weiwei è una vera e propria fabbrica, un’industria che tiene impegnate una quantità enorme di persone. A Berlino il suo studio è una ex birreria, per capirci. E non contiene nemmeno tutto il suo materiale. Ecco perché il fatto che ci abbia scelto lo ritengo un grande privilegio. Ai Weiwei mi ha consegnato i suoi pensieri e in un certo senso la sua vita, la possibilità di usarla come strumento per avvicinare le persone al tema dei diritti umani. Il libro, Zodiac, mi preme sottolinearlo, parla soprattutto di questo.


Hai detto che Ai Weiwei vi ha scelti. Raccontatemi come è successo, quando e come l’idea di Zodiac prende vita.

Elettra: Quando siamo andati alla mostra a Firenze, al termine dell’incontro con lui ci ha chiesto che cosa volessimo fare insieme. Noi non sapevamo come rispondere, anche perché non ci eravamo presentati per proporre un progetto. Volevamo solo conoscerlo. A quel punto ho guardato Gianluca e, in italiano, gli ho detto: “Senti, io gli dico che vogliamo fare un libro!”. Anche perché mica sappiamo fare altro! Ai Weiwei rimase intrigato dall’idea di fare un fumetto. “Interessante, non ci avevo mai pensato, i fumetti sono una bella cosa…”: questo ci disse. Ci consigliò anche il suo disegnatore di fumetti preferito, un artista cinese che Gianluca ha poi studiato minuziosamente e di cui, tra l’altro, ha riprodotto per intero alcune tavole all’interno del libro. Un'operazione molto delicata che ha richiesto impegno e cura.

Contrariamente al pensiero comune, che vede i cinesi soltanto come bravi imitatori (tant’è che usiamo il termine “cinesata” come sinonimo di tarocco), copiare l’arte, riprodurla, per loro è qualcosa di molto importante e delicato. Abbiamo così cominciato a studiare questa tradizione figurativa molto lontana dalla nostra, ma nel frattempo nessuna risposta arrivava. Passa così un anno quando, improvvisamente, ci scrive l’assistente di Ai Weiwei, che noi pensiamo essere Ai Weiwei stesso (ridono, n.d.r),  per sapere se fossimo disponibili a incontrarlo a Berlino. Non la più comoda delle opzioni, ma per i cinesi l’Europa, si sa, è come se fosse un paesello. Ci rechiamo dunque nella capitale tedesca, e lì Ai Weiwei ci racconta che, solo in quell’anno, aveva ricevuto almeno tre proposte per realizzare un libro a fumetti, ma che per questo progetto non si fidava di nessuno, se non di noi. Ci ha poi chiesto di leggere un testo tratto da un libro a cui stava lavorando, Humanity. Nel farlo avevamo, dietro di noi, uno degli enormi simboli dello zodiaco cinese, concepiti da Ai Weiwei, realizzati con i mattoncini LEGO. Proprio riguardo allo zodiaco, a un certo punto ci ferma per chiedere a Gianluca di quale segno fosse. Purtroppo, oltre a essere dislessico, Gianluca non sa praticamente niente di astrologia. Mi ricordo che mi guardò stupito per poi rispondere “Sagittario”, ma ovviamente voleva sapere il segno dello zodiaco cinese! Ai Weiwei ha poi proseguito dicendo di essere del gallo, e il gallo pensa di avere sempre ragione, anche se qualche volta non ce l’ha. Gli dissi che anch'io sono del gallo. Quello è il momento in cui ho pensato che lo zodiaco potesse essere il collante, l’elemento che facesse da unione. Dopotutto, è un qualcosa che prescinde dalla provenienza delle persone, dalla lingua, un qualcosa di molto più umano di tanti altri aspetti culturali.

Passerei al processo di realizzazione del libro. Com'è stato lavorare con Ai Weiwei? Prima dell’intervista, mi avevate accennato al fatto che, a livello narrativo, vi ha dato quasi troppa carta bianca, per evitare di influenzarvi in qualsiasi modo, senza nemmeno farvi leggere l’autobiografia che stava scrivendo. Al contrario, per quanto concerne il segno, il disegno, la sua presenza è stata maggiore.

Gianluca: Le prime prove che facemmo per il libro erano un qualcosa di molto lontano da ciò che poi è diventato, sia per quanto concerne la struttura della storia che lo stile di disegno. Inizialmente avevo pensato a un segno molto più grosso, più spesso. A lui però non piacque.

Elettra: C’erano troppi neri.

Gianluca: Qua entra in gioco il fumettista che prima ha citato Elettra. Ai Weiwei mi ha spedito una quantità enorme di materiale da studiare, e mi diede da fare, come prova, il disegno di una montagna. Feci moltissimi tentativi. A me sembravano praticamente tutti uguali, anche se, a guardare bene, c’erano sempre delle piccole differenze. Dopo infinite prove, siamo finalmente arrivati a ottenere il segno giusto. Volendo parlarne ulteriormente, come avrai sicuramente notato, nel libro non ci sono campiture nere. Lo ha anticipato Elettra prima: Ai Weiwei non le voleva assolutamente. Nella sua visione, il nero doveva essere raggiunto solo dall’intreccio delle linee, come nel disegno rinascimentale. Il libro infatti è molto “bianco”, molto più di quanto si è abituati a vedere normalmente, anche rispetto alla linea chiara francese, cosa che rimanda con forza all’atmosfera tipica dell’arte orientale. Una volta concepito il segno, Ai Weiwei mi ha lasciato carta bianca. Non mi ha praticamente mai corretto nessun disegno, se non in pochi casi, ma sempre a livello di contenuto, mai di stile o di composizione della pagina.

Elettra: Io mi sento un po’ come il protagonista del film Le vite degli altri. Ormai ho realizzato diversi libri in cui racconto la storia di qualcun altro. È un po’ sfiancante, poiché per farlo bisogna riuscire a immedesimarsi, a comprendere un punto di vista che non è il tuo, il tutto per immaginare cosa può aver detto, fatto e pensato, in questo caso, uno degli artisti contemporanei più importanti a livello mondiale. Con Ai Weiwei devo dire che sono stata fortunata, essendo la sua vita cartografata direttamente nelle sue opere. Inoltre, lui parla sempre molto di sé, nelle interviste così come nei cataloghi delle sue mostre. Per il libro, ho fatto molto cut-up, recuperando frasi da lui pronunciate per inserirle nella mia storia. L'obiettivo era renderla il più autentica possibile, così come il suo parlato e il suo modo di fare. È una procedura che ho già sperimentato in passato, ad esempio in occasione del libro Diario segreto di Pasolini, che ho costruito utilizzando quasi unicamente parole di Pasolini stesso, per una storia che però, ovviamente, non ha mai scritto. Questa strategia ha senz’altro contribuito al fatto che Ai Weiwei non mi abbia, in sostanza, mai corretto niente, ma, a voler essere onesti, è un comportamento che rappresenta la naturale conseguenza della sua arte concettuale. Nel libro, a un certo punto, nel capitolo dedicato al segno del cavallo, Ai Weiwei dice che sono animali che bisogna lasciare liberi di correre nell’arte. Sta facendo un discorso metaforico, che però torna sempre nella sua poetica. Nell’arte è il processo che conta. Il risultato è importante, sicuramente, ma deve venire da sé. Non si possono mettere delle briglie, perché a quel punto diventa qualcosa di diverso, nel peggiore dei casi arte di regime o di propaganda.

Ho trovato molto interessante lo stile di scrittura di Zodiac, soprattutto per come sono state inserite nella narrazione le opere d’arte di Ai Weiwei. Nel descriverle, il libro non è mai troppo esplicito, ma dà sempre sufficienti input in modo da generare nel lettore una naturale curiosità. Io stesso sono andato a informarmi, a leggere articoli e interviste ad Ai Weiwei, per provare a comprendere maggiormente il significato della sua arte. Come avete detto prima, il libro parla principalmente di diritti umani, e lo fa attraverso la storia di Ai Weiwei e della Cina stessa, ma vi chiedo: uno degli obiettivi di Zodiac era, in effetti, proprio far scoprire, anche ai più dubbiosi (o ignari), il valore dell’arte concettuale, nello specifico di Ai Weiwei?

Elettra: Innanzitutto grazie, perché questo è un bellissimo complimento. Con i libri a fumetti si corre spesso il rischio di essere troppo didascalici, cosa che io non vorrei mai essere. Il fumetto è come la poesia, ma in generale come ogni forma d’arte: non deve dirti tutto, deve suggestionare. Diversamente scriverei un saggio sul tema dei diritti umani o sull’arte di Ai Weiwei, sulla politica, cose che faccio in altri contesti. Per i fumetti, invece, devo adottare un approccio diverso, altrimenti il rischio è di essere troppo didattici ed eccezionalmente noiosi. Se riesco a suggestionare, a stimolare il lettore a scoprire qualcosa di diverso, di nuovo, allora posso dire che il risultato è raggiunto. Nel caso di Zodiac, per arginare i temi, che sono tanti, bisognava lavorare con una scatola narrativa ben congegnata fin dall’inizio. La forma definitiva è quella che vedi nel libro: dodici storie da dodici pagine, ciascuna dedicata a un breve lasso di tempo della vita di Ai Weiwei. Nello specifico, ogni racconto ha una durata di circa un paio di giorni. Il libro infatti non è propriamente una biografia dell’artista. In Zodiac vengono raccontati i momenti in cui Ai Weiwei si pone una domanda precisa: Should I stay or should I go? Dovrei rimanere o devo andarmene?

Ne abbiamo parlato prima: il tema dei migranti lo ha colpito duramente, e questo perché è lui stesso, in primis, a essere un migrante. Ovviamente, Ai Weiwei è ben consapevole di non poter assolutamente comparare la propria condizione a quella di chi affida la propria vita a un barcone. Tuttavia, le difficoltà che si nascondono nello scegliere se partire o meno sono le stesse, così come lo sono anche le domande che ci si pone in quel momento, almeno le più profonde. Il congegno narrativo così pensato per Zodiac ci ha permesso di presentare molteplici tematiche, che si toccano tra loro senza però mai raccontarsi troppo approfonditamente, lasciando al lettore il compito di cercare ciò che gli interessa, di colmare le sue lacune. A te il fumetto è servito come spinta per recuperare l’arte di Ai Weiwei, poiché era ciò che conoscevi meno, ma se, per esempio, il lettore viene dal mondo dell’arte contemporanea, potrebbe accadere il contrario. In questo caso noi speriamo, con Zodiac, di fargli scoprire innanzitutto quello che si può fare attraverso il fumetto, cosa non sempre scontata. In secondo luogo, che non ci può essere arte o espressione culturale sconnessa dall’attivismo, perché un artista che non è un attivista, come dice Ai Weiwei, è un artista finito.

Mi collego a questa tua ultima frase proprio per parlare, in chiusura, di uno dei temi più importanti del libro, già in parte trattato e accennato fino a questo momento. “Un artista che non è un attivista non è un artista”: questo pronuncia Ai Weiwei stesso nelle battute finali del dodicesimo e ultimo capitolo del libro. Vi chiedo di dirmi di più.

Gianluca: Io sono della stessa linea. Ai Weiwei, a riguardo, si è espresso anche molto più duramente, arrivando a dichiarare che un artista che non è un attivista è un artista morto. Ultimamente gli sento dire spesso che un artista che deve dire di essere un attivista non è un artista.

Dovrebbe essere implicito.

Gianluca: Esattamente. Detto ciò, le parole così come i pensieri di Ai Weiwei non sono come il marmo. Presto potrebbe cominciare a contraddirsi e a contraddire quello che è scritto in questo libro, perché il suo senso critico è comunque in continua evoluzione. Un costante processo di autoanalisi sempre collegato a ciò che succede nel mondo, che a sua volta cambia costantemente. Ultimamente in peggio. Ai Weiwei, come anche io, è concentrato sul presente più che su quello che è accaduto in passato.

Vorrei comunque precisare una cosa: noi siamo artisti anche al di fuori dal nostro attivismo. Produciamo sculture, libri, installazioni. Tutto però rimanendo sempre concentrati sulla realtà che ci circonda. Per me, infatti, essere attivista va al di là di ciò che faccio nella mia arte. Anche l’atto stesso di lavorare, di parlare con Ai Weiwei riguardo a tematiche urgenti e importanti, lo considero attivismo. Farò un esempio banale: se lui fa un post sulla Palestina, io rispondo e condivido. Magari ne faccio pure uno a mia volta, e in questo caso sarà Ai Weiwei a commentare. Lo scopo è quello di creare un vortice nel quale, grazie alla condivisione, possano aggregarsi sempre più persone e artisti. Può sembrare una metafora strana, ma gli attivisti cercano di essere come un albero. C’è chi è una piccola foglia, una piccola radice, e chi invece è un ramo o un tronco, come Ai Weiwei, che io chiamo “il boss” per scherzare. Anche questo è fare attivismo.

Intervista a cura di Andrea Martinelli, realizzata dal vivo durante Lucca Comics & Games 2024


Ai Weiwei

Ai Weiwei è uno degli artisti viventi più importanti del mondo. Nato nel 1957 a Pechino, in Cina, è un artista concettuale e attivista per i diritti umani, che ha prodotto una gamma sfaccettata di opere e installazioni tra scultura, architettura, fotografia, video, pittura, scrittura e social media, esponendo nelle maggiori istituzioni e musei del mondo. Il carattere spesso provocatorio e sovversivo della sua arte, così come la sua schiettezza politica, hanno innescato varie forme di repressione da parte delle autorità cinesi. Le memorie dell’artista “1000 anni di gioie e dolori” sono state pubblicate nel 2021 e hanno ricevuto la menzione speciale della giuria al premio Terzani 2024 con la motivazione: “Menzione Speciale ad Ai Weiwei per il suo memoir di testimonianza sulla condizione degli intellettuali in Cina: un accorato appello a proteggere a ogni costo ormai anche nell’Occidente ‘democratico’ – il diritto alla libertà dell’espressione artistica e di ogni altro tipo di espressione”.

Elettra Stramboulis

Elettra Stamboulis è una curatrice d’arte e sceneggiatrice di origini greche. Ha scritto numerose graphic novel e articoli sui fumetti che sono stati pubblicati in molte lingue. È specializzata in fumetti basati sulla realtà e ha curato mostre europee su Joe Sacco e Marjane Satrapi. Come curatrice, il suo lavoro è dedicato alla promozione degli artisti a rischio e recentemente ha curato mostre di opere di Zehra Doğan, Badiucao e Victoria Lomasko.


Gianluca Costantini

Gianluca Costantini è un fumettista italiano, giornalista a fumetti e attivista. Ha contribuito a numerose pubblicazioni ed è autore di diversi romanzi grafici. È noto per i suoi disegni legati alle campagne per i diritti umani in tutto il mondo. Collabora con organizzazioni come il CPJ Committee to Protect Journalists, ActionAid e SOS Méditerranée. Nel 2019 ha ricevuto il Premio Arte e diritti umani da Amnesty International.


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