Essentials: Weapon X di Barry Windsor-Smith

Un'arma che è un pezzo di storia del fumetto americano

A volte una banalità è così tanto cementificata nel nostro inconscio collettivo che tirarla fuori e metterla in bella mostra risulta quasi una mossa sovversiva.  Quindi, inizierò con forse una delle più grandi banalità del mondo tondo: l'amore, a volte rende ciechi.

Se siete ancora qui, dopo aver controllato di non star leggendo una frase da cioccolatino, l'esser fuori prospettiva quando si parla di quello che si ama è un fattore che credo sia noto a tutti, e nei fumetti questo capita molto spesso. 

E una grande verità, che spesso ignoriamo perché siamo distratti da quanto ci siamo divertendo, è che sapere la soluzione di un mistero a volte livella a zero tutte le altre scelte narrative presenti all'interno di un'opera a fumetti. 

Tu, autore, puoi fare quello che vuoi, voi appassionati che siete presi dalle minuzie narrative potrete urlare fino a svenire, ma gran parte dei lettori, di fronte ad una domanda senza risposta, si concentrerà solo su quello. Non parliamo di qualcosa di razionale, parliamo proprio di un bisogno animale.

Così, quando Chris Claremont metterà le mani sugli X-Men nel 1975, si troverà in mano sì alcuni personaggi con molte avventure alle spalle, ma anche un quintetto di mutanti con cui poteva fare tutto quello che voleva, visto che di loro non si sapeva quasi nulla. 

E proprio uno di quei mutanti, tale Logan alias Wolverine (nome di una specie animale che in italiano viene chiamata “Ghiottone”, e mi uccide nel cuore non si stata usata come traduzione), diventerà il centro focale di questa narrazione fatta di mistero. 

Bassetto, tarchiato, creato da Len Wein, Herb Trimpe e John Romita Sr, Logan era un burbero canadese di bassa statura, dotato di misteriosi artigli forgiati con l'indistruttibile metallo adamantio, e solo in seguito ci verrà rivelato essere un mutante. 

Anche il potere speciale di Wolverine, quello che lo rendeva degno di far parte degli X-Men, non era chiaro fin dall'inizio: secondo i suoi creatori gli artigli alle sue mani venivano dai suoi guanti, e anche Claremont sembrava un po' incerto nelle sue prime apparizioni, e giocherà molto su questa ambiguità.

A volte Logan dimostrava un fiuto straordinario, a volte ricordava fatti storici importanti a cui aveva preso parte... insomma, il suo carisma e l'alone di segreti che lo permeava lo rese in poco tempo un pilone portante del gruppo, e della Marvel tutta.

Ma la questione restava in sospeso: chi era Wolverine? Cosa faceva? Quali erano le sue origini?

Nel 1991 Barry Windsor-Smith, autore britannico con alle spalle molteplici opere di grandissimo livello, decise che forse era ora di rivelarci almeno una cosa su questo personaggio, ovvero come mai possedesse artigli di adamantio. 

Esatto, non il vero nome del personaggio, non chi fosse il suo primo amore, ma un dettaglio, un dettaglio sicuramente misterioso ed affascinante, ma che veniva ribadito ad ogni singola uscita a fumetti con potenza martellante. 

Aprivi un albo, ed era pieno di: “Attento Wolverine!” “Non ti preoccupare cocco! Il mio scheletro è fatto di adamantio”, “Oh No! Hanno colpito Wolverine” “Il suo scheletro è fatto di adamantio, si riprenderà!” e così via, ad libitum sfumando. 

L'idea era ovviamente quella di dover fare dei riassunti in breve su cosa potesse fare ogni singolo membro del casa allargato della serie, nel caso un neofita si fosse avvicinato ad un albo degli X-Men senza avere a disposizione nessun'altra informazione, ma il concetto restava quello: quello scheletro era sotto gli occhi di tutti, e al contempo nessuno ci faceva più caso.

Se non appunto, Winsdor-Smith che scriverà, colorerà, inchiostrerà e lettererà da solo (con un aiuto di Jim Novak sull'ultimo punto) per dare vita sulla testata antologica Marvel Comics Presents un arco narrativo chiamato solo Arma X.

La nostra storia inizia con una breve narrazione da parte di Logan, che ci racconta di come non abbia grande direzione nella vita, solo per venire poi rapito da un progetto segreto canadese guidato da un individuo misterioso noto solo come “Il Professore”, il cui scopo è quello di creare un nuovo step nell'arte della guerra, creando tutta una serie di soldati invincibili con scheletri indistruttibili.

Logan sarà scelto come cavia e, con grande sorpresa del Professore e del suo entourage, si rivelerà un soggetto molto più predisposto di altri, poiché in possesso di un fattore di guarigione mutante che ha permesso al nostro non solo di sopravvivere al dolorosissimo processo ma, in qualche strano modo, anche di sviluppare la possibilità di far uscire coltelli dalle mani. 

Anni dopo ci verrà rivelato che in realtà Wolverine già possedeva il potere di generare artigli d'osso, che il metallo aveva solo ricoperto e non generato, ma questo contava poco e niente nella storia di Windsor-Smith: quello che contava era l'arma. 

Vedete, quando si dice che per anni Wolverine era stato una delle punte di diamante della Marvel tutta, si dice che bastava mettere il personaggio in copertina per vendere più copie di qualunque albo mai pubblicato. La stessa Marvel Comics Presents aveva al suo interno più storie di Wolverine di qualsiasi altro personaggio, ma in questa storia Logan sembra quasi un oggetto di scena. 

L'autore ci mostra come l'equipe di scienziati non sia per nulla interessata a chi ci sia fuori da quello scheletro di metallo, sono gli unici a parlare, sono gli unici ad interagire per tutta la prima parte della storia, mentre sullo sfondo la loro arma viene forgiata fra dolori atroci e sofferenze oltre l'umano. E questo importa sì a parte del progetto, che dopo ogni esperimento diventa sempre più restio a seguire gli ordini del Professore, e al tempo stesso sempre più spaventato da questa creatura che diventa sempre meno umano, sempre meno animale, e sempre più macchina. 

Il tratto leggero di Windsor-Smith crea per tutta la narrazione uno strato di tensione estremo: da un lato le espressioni di tutti i personaggi che si muovono all'interno della vicenda risultano potentissime nel loro realismo, dall'altro la regia della tavola diventa quasi claustrofobica mettendo assieme un'impalcatura artistica che stringe sempre di più quando sono gli uomini di Arma X a parlare, per poi dare un sacco di respiro al corpo martoriato di Logan, creando una perfetta discrepanza fra quello che vedono i membri dell'equipe di scienziati e quello che sente il nostro protagonista. 

L'angoscia che trasmette questo corpo distrutto e poi ricostruito, ogni singolo rigolo di sangue, ogni cicatrice ti resta infissa nella fronte, anche se sai che sparirà nella vignetta dopo per cause narrative ed artistiche. Nel rappresentare la sofferenza, il dolore, la paura, Windsor-Smith usa tutto uno stile particolare, che riesce a cristallizzare perfettamente una fluidità del corpo umano e delle anatomie che diventa così reale da fare proprio spavento.

E quando la bestia si scatena, l'uso dei colori filtra la violenza, il sangue, e rende possibile vedere su pagina splash page di una rara potenza, dove si vedono tutte le influenze del primo Windsor-Smith, quando era ancora un Kirbyano di ferro, in una pagina dove Logan torreggia sopra i corpi a brandelli della sicurezza che ha cercato di fermarlo, quella composizione così piena e così dinamica che era tipica del lavoro del Re, ma elevato per un pubblico che voleva la naturale evoluzione del classico stile di supereroi.

L'autore ha raccontato spesso quanto sia debitore all'arte classica, e ai grandi del fumetto americano come Wally Wood, e proprio queste influenze si notano ogni qual volta Logan viene liberato dalla sua prigione e lasciato libero di muoversi per le pagine. La sua aura ferina, il suo corpo scolpito, torreggiano all'interno di ogni pagina, ogni movimento perfettamente calibrato, e ogni colpo sferrato: pura e semplice energia che viene scatenata. 

Il nostro non parla, la sua voce annullata dagli esperimenti, che sia sotto controllo mentale (dandoci l'ormai classica immagine del personaggio vestito solo con un elmetto che aiuta Arma X a controllarle la sua mente), che sia libero di muoversi per il laboratorio in cerca di risposte. 

Come in un classico film dell'orrore, dove l'uomo deve fuggire dal mostro, ma con tutta una serie di sfumature che vanno dal banale al post-moderno. Mostro come governo, come destino, come quello che siamo quando si spengono le luci e nessuno ci guarda, se non noi stessi. 

E in tutto questo, la storia si muove su più livelli, i comprimari iniziano a prendere sempre più vita, conosciamo meglio il Professore, il dottor Cornelius e Carol Hines, un po' i nostri occhi oltre il vetro del laboratorio. 

E per quanto ci sembri di poter capire tutto, gran parte dell'arte di Windsor-Smith non solo come illustratore, ma anche come sceneggiatore, è quella di non darci mai veramente tutte le informazioni, ma di lasciarci un po' sulle spine, col fiato sospeso.

Perché certo, Arma X ci racconta come Wolverine abbia ottenuto l'adamantio (che, strana coincidenza, Windsor-Smith aveva disegnato nella sua prima apparizione a fumetti in Avengers 66) e di come mai abbia gli artigli (più o meno) ma questo era solo un pretesto. 

Ancora non sapevamo nulla del personaggio: ci si sarebbe potuti (e si può) approcciare a questa storia anche senza sapere chi fosse Wolverine e si avrebbe comunque davanti un qualcosa di magico. 

Una storia che riesce a bilanciare tutta una serie di livelli di lettura che farebbero girare la testa ad un autore medio, e non è che siano facilissimi da seguire anche per il lettore. 

Il tutto, per parlare di dolore. Il dolore di non essere visti per quello che si è, il dolore di essersi persi, il dolore vero, fisico, che non ci lascia mai e non importa quanto in fretta si possa guarire, alla fine il dolore ritorna. Raccontare una storia così, con questo stile, dove uno dei personaggi più famosi di tutti i tempi è sì protagonista, ma in un modo quasi accessorio, proprio per dare l'idea che non si parli della storia di un essere vivente, ma della storia di un'arma, era tutto lì, nel titolo.

Certo, soffriamo per quest'uomo che viene portato sempre più indietro, sempre più in giù tanto che arriva a chiedersi di essere morto, ma non possiamo non staccare gli occhi da questo gruppo di uomini che non riescono, non vogliono, oppure semplicemente non sanno vedere oltre il loro obbiettivo. 

Questa estrema vulnerabilità di Wolverine, che per tutto l'albo è in trappola eppure riesce a mostrarci la canonica serie di lotte che sono cifra stilistica del fumetto di supereroi, è straziante, quasi tranchant, ma nel senso letterale della parola: ti taglia sotto la pelle, tanto è forte questo contrasto fra una delle armi più pericolose mai create, e un uomo che semplicemente passava di lì per caso, e il destino ha deciso di sputargli in faccia. 

Una storia dove la speranza non c'è, e se c'è è morta come Wolverine, di cui se sappiamo, sappiamo che troverà una famiglia, un futuro, un posto nel mondo, ma sappiamo anche bene che porterà nel corpo e nell'anima i segni di questo cambiamento. 

Se si volesse fare una sovralettura, sul Wolverine oggetto, si potrebbe anche vedere questa storia un po' come una crudele parodia della saturazione del personaggio, che veniva usato alla bisogna per qualunque cosa, proprio come se fosse un oggetto di scena e non un qualcosa di importante per la casa editrice, ma questa è una cosa che butto lì, e che possiamo lasciare in un cassetto.

Quello che non possiamo ignorare è tutto il lavoro fatto da Barry Windsor-Smith in questa saga, che è rimasta nel cuore di molti per plurimi motivi, molti dei quali ho provato a catturare fra le pagine di questo articolo, e molti dei quali mi sono sfuggiti, o non sono riuscito ad incatenare per bene. 

Ed è strano, di nuovo, perché l'amore rende ciechi, ma personalmente non ho mai amato il personaggio di Wolverine. Certo, avere i coltelli nella mani è molto fico, ma come si può guardare qualunque altra cosa quando a fianco del piccoletto col passato oscuro c'è l'unico X-Man che ha il cuore e l'anima di un perfetto moschettiere? 

Eppure... eppure questa storia non lascia indifferenti, e riesce senza problemi a scavalcare quel bisogno umano di sapere di più, di rivelare quello che c'è nascosto, che non va via, e non andrà mai via, ma per un secondo, per un attimo, ti rapisce, e ti chiude in una stanza dove ci siete tu, ed un esperimento atto a creare in laboratorio un'arma potentissima e senza pietà, che ti colpirà lasciandoti dei segni nel cuore per sempre.

Un'arma che possiamo chiamare un pezzo di storia del fumetto americano.

Non ho mai amato Wolverine, eppure eccomi qua, a parlare di fumetti essenziali, che tutti dovrebbero leggere una volta nella vita. 

Perchè Arma X è la migliore in quello che fa. Ma quello che fa non è sempre piacevole.

Giovanni Campodonico

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