Plastic Girl - La terrorizzante solitudine secondo Furuya
Esistono autori che con la loro sperimentazione sono in grado di mettere in dubbio i confini del medium fumetto. È il caso di Usamaru Furuya, autore di Plastic Girl, volume di recupero da poco introdotto nel mercato italiano da Coconino Press, che aveva già pubblicato, tra gli altri, l’inquietante Palepoli e l’onirico Garden. Plastic Girl si inserisce nel filone di storie della prima fase del lavoro di Furuya, una serie di opere sperimentali legate a doppio filo al sottogenere weird.
Il volume racconta la storia della nascita di una ragazza, un personaggio senza nome, la nostra Plastic Girl, per l’appunto: è la sua voce a guidarci per tutta la lettura dell’albo. Una voce che grazie all’impianto visivo del volume ci sembra lontana, un richiamo distante, distaccato, perso chissà dove, un rantolo della coscienza che prova a raggiungere il lettore.
“Mio padre mi ha bendata, così non avrei potuto fare deviazioni. Mia madre mi ha messo i tappi alle orecchie e imbavagliata, così che non potessi né sentire né raccontare brutte storie. Mio padre mi ha proibito di sorridere, così che non potessi avere sogni e speranze. Mia madre mi ha dato la vita, così che potessi addossarmi tutti i suoi peccati”
Così inizia questo viaggio onirico nella coscienza di una ragazza che esplora un mondo nuovo e che è, al tempo stesso, impossibilitata a vivere veramente. Attraverso la negazione e l’impossibilità di trovare una direzione, una via d’uscita, fin dalla prima pagina siamo in trappola, nella vita. Lo scollamento si fa sempre più grande man mano che proseguiamo nella lettura. I genitori hanno rotto questa ragazza, che non sa più come ricomporsi, una bambola disarticolata, che si chiede che forma avere per assomigliare agli altri, senza mai trovare una risposta.
Da questo momento il lettore viene catapultato in una dimensione dietro l’altra in cui la storia cambia, si cancella, si sovrappone, si contraddice, fino a perdere di vista la stessa protagonista che la vive.
Precipitiamo in un inconscio che prova a trovare una forma, laddove forma mentale e fisica si sovrappongono e la stortura mentale porta alla mutazione fisica. L’offuscamento mentale fa precipitare in un'oscurità in cui le forme sono indistinguibili e le pulsioni fisiche, le voglie, i desideri, prendono una forma tanto reale quanto inquietante. Non importa cosa facciano i genitori, sono figure distanti, a malapena proprietarie di un volto, non sono raggiungibili, non capiscono, non sanno comunicare e allo stesso tempo sembrano delusi dalla sola esistenza della protagonista.
L’impianto grafico di Plastic Girl è squisitamente legato al mondo del Gekiga. La libertà espressiva è assoluta, a partire dalla gabbia composta in modo da far sembrare ogni pagina costituita da texture diverse: le vignette si posano su dei sacchi di juta, sul tessuto, su lastre di metallo e altro ancora. Viene utilizzato ogni tipo di materiale, si passa da un tipo di disegno classico al dipinto ad olio fino all’incisione su legno. Il tratto cambia di conseguenza, ma non solo, cambiano anche i materiali: sotto gli occhi ci passano dei collage, delle fotografie, alle volte degli elementi ricavati con ferro saldato e ceramica.
Ecco allora che Plastic Girl si presenta anche come un contenitore grafico che accompagna perfettamente la frammentazione della persona che sta raccontando. Mille sfaccettature visive oltre che narrative di un essere che prova ad essere senza riuscirci, perché non sa cosa essere né di cosa dev'essere fatto.
Oltre al notevole impianto grafico ritroviamo i temi tipici dell’autore: la figura della donna, per esempio, sempre molto centrale nelle narrazioni di Furuya; la nascita come fonte di angoscia, come un “venir buttati nel mondo” che coincide col dolore. Il male mentale che diviene male fisico, tangibile, ma allo stesso tempo il corpo come elemento mai unitario, mai percepibile nella sua interezza e dunque illusione primaria: i sensi ci ingannano, il corpo diventa nostro nemico invece che nostro alleato, è una trappola che consiste nel dover essere usato per forza, il primo inganno che si pone fra il pensiero puro e il mondo reale.
La Plastic Girl di Furuya ci inquieta, è orrorifica in ogni suo momento, sola e rassegnata, non esiste che per due pagine e dopo appena un paio cade in un nuovo supplizio.
È molto importante sottolineare che non siamo di fronte a quel tipo di fumetto in cui è sempre più facile imbattersi, soprattutto nel panorama indipendente, ovvero quel tipo di lavoro che nasconde dietro la sua volontà sperimentale una totale mancanza di volontà espressiva o narrativa. Plastic Girl è una piccola magia da questo punto di vista: si tratta di un fumetto di cui è molto complesso raccontare la trama, ma allo stesso tempo la trama c’è ed è palpabile, una storia dolorosa di cui conosciamo solo il centro, la polpa, i cui contorni ci sembrano sfocati. Può ricordare, per certi versi, film come Eraserhead - La mente che cancella di David Lynch o molti lavori di David Cronenberg: anche in questi casi sappiamo perfettamente di cosa trattano queste narrazioni, ma raccontarlo a qualcuno è estremamente complesso.
Più di tutto, ciò che colpisce il lettore e lo addolora immensamente per tutta la durata dell’albo è la sensazione di solitudine, di impotenza nei confronti della protagonista della storia. Siamo lettori spaesati fra le pagine di Furuya, impressionati da ciò che vediamo, ma anche impossibilitati a distogliere lo sguardo, attirati come siamo dall’orrore che l’autore architetta sulla pagina.