Un viaggio poetico tra luci e ombre: René∙e - Addormentata nel bosco di Elene Usdin

Alla ricerca di un retaggio culturale sottratto

Ciò che Joe Sacco aveva fatto col suo Tributo alla Terra, Elene Usdin lo fa nel suo René∙e Addormentata nel bosco. La storia delle Residential Schools in Canada è una parentesi buia e troppo sconosciuta dell’umanità, soprattutto in Italia. Un vero e proprio genocidio culturale di cui furono vittima più di 150 mila bambini indigeni, portati via dalle loro famiglie per essere “educati” all’interno di un sistema scolastico sponsorizzato dal governo e amministrato per lo più dalla Chiesa. I bambini furono forzati a tagliarsi i capelli, a dimenticare i loro usi e costumi, a non parlare nella loro lingua. Impossibile tenere il conto delle molestie e degli abusi, nonché delle morti. Un orrore che vide la fine solo a pochi anni dall’inizio del XXI secolo, che non deve cadere nel dimenticatoio, essere ignorato. Quello che negli Stati Uniti fu realizzato spargendo sangue e morte, in Canada è stato portato a termine in maniera più subdola ma non per questo meno meschina. Joe Sacco, col suo solito stile, in Tributo alla Terra ci regala una vera e propria inchiesta giornalistica. Elene Usdin invece, nel suo René∙e - Addormentata nel bosco, sceglie una via alternativa, più poetica, eterea.

René è un bambino aborigeno canadese strappato alla famiglia d’origine, che vive con una madre adottiva fredda e distante. Il suo unico amico è un coniglio di pezza. Un giorno questo sparisce e René, proprio come Alice nel paese delle meraviglie, si mette in viaggio alla sua ricerca. Scoprirà così un mondo coloratissimo, fantastico, popolato da strane creature, animali e presenze. Un mondo che si rivelerà essere ben più affine a René di quello da cui proviene.

Nel viaggio dipinto da Elene Usdin il protagonista viene a contatto con tutto ciò che pensava di aver dimenticato: le sue radici, miti e leggende aborigene. Tutto ciò che il sistema canadese cercò di cancellare. Tra tutte le creature incontrate da René la più suggestiva è probabilmente il Mangialuce, il creatore del mondo sotterraneo che stiamo esplorando. Un tempo era lui a gestire il susseguirsi di giorno e notte, ma quando l’uomo inventò prima il fuoco e infine l’elettricità fu costretto a fuggire, creandosi un regno nascosto. Un regno nel quale si sono rifugiati anche gli Aaron, splendide creature che sembrano uscite direttamente da un film di Miyazaki, così come tante altre, nascoste nell’oscurità in modo che nessuno possa trovarle. Lontane dalla modernità, dal progresso. Tutto spazzato via da quella che viene definita, volgarmente, civiltà. Ma le creature che incontra René, così come le loro parole e i luoghi che abitano, non sono solo simbolo di quel retaggio culturale sottratto, ma anche metafora della vita del protagonista (e in senso più largo della sua famiglia). Tutto ciò risulterà chiaro solo arrivati alla fine del fumetto.

Leggendo una seconda e terza volta si possono cogliere tutti gli elementi, tutti i presagi sparsi dall'autrice, rivelando una struttura narrativo/visiva molto più elaborata di quanto si sarebbe mai potuto immaginare. Ad una prima impressione è infatti impossibile non lasciarsi trascinare dal mondo surreale di Elene Usdin. Pagina dopo pagina si va incontro ad una sorta di perdita sensoriale, grazie ad un uso oculato dei colori, del tratto, ma anche delle vignettature. Un sogno che si fa allucinazione, dove poco importa il fatto di non capire esattamente ciò che sta accadendo. Impossibile non perdersi in questa miscela perfetta di acquerelli, tempere, matite colorate. Tecniche diverse che si fondono nel nome della suggestione, creando un qualcosa di unico, che nella sua estetica pesca a piene mani da oriente come da occidente, dal già citato Hayao Miyazaki ad Alejandro Jodorowsky, ringraziato anche dall'autrice stessa a inizio volume.

René∙e - Addormentata nel bosco è un fumetto splendido. Un racconto che partendo dalla tragedia dei popoli indigeni canadesi (in particolare si parla della retata degli anni sessanta, espressione utilizzata per riferirsi alla politica promossa dal governo del Canada, durante gli anni ‘60, di togliere i bambini aborigeni alle loro famiglie per darli in affidamento o in adozione) diventa un inno al diritto di essere diversi, alla fluidità di genere, una rivolta contro il consumismo e il conformismo.

Andrea Martinelli




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