In attesa del prossimo temporale. Il gioiello di essenzialità di Andrea Ferraris
“…ma il tempo è spesso un fatto che si apprezza sempre dopo.”
Con questa frase di Vinicio Capossela inizia Temporale di Andrea Ferraris, un piccolo decamerone di frammenti – quindici, per l’esattezza – che racconta un’estate come tante di un gruppo di amici, di “uomini comuni dalle vite straordinarie”, per usare le parole dell’autore, che spendono le proprie giornate all’insegna della frivolezza di un “uischi” dalla dubbia pregevolezza, di un tavolo sghembo e di un mazzo di carte stropicciate, o in attesa che il primo acquazzone di stagione trasformi, come ogni volta, un sogno del futuro in una guglia del passato.
Spok, Ufo, Keegan, Onda, Bomba, Rumba, Pongo, Sara, Spadino,
Barba, Vollo… niente più che semplici anime che vivono i loro giorni in equilibrio
sul bordo di un marciapiede, erranti nelle periferie salvaguardate dai campi e
da fitti boschi abitati dalle più oscure entità, che, come un rimorso
malcelato, si manifestano informi dentro suoni indecifrabili.
Che poi è proprio questa l’essenza della periferia, no?
Lontano dall’impeto delle città, dove tutto deve succedere, e all’ombra
dei profili delle colline dove, più che il silenzio, vige il timido e sporadico
tintinnio della noia, sporcato dal grigiore del fumo di sigaretta o dal segnale
altalenante di un televisore preistorico: è qui che tutto è plausibile che
succeda, da un rapimento alieno ad un cane parlante che afferma di essere
stato in un’altra vita un pesce, da una volpe fantasma a un bacio proibito.
L’umiltà della propria banalità è quel che infine rende
unico e speciale, essendo proprio il nostro lato più mediocre a meglio
caratterizzarci, a differenza dell’effimerità di ciò che è un sistema, la cui
struttura organica impone cambiamenti che infine si riducono solo a un presente
persistente: Temporale racconta sì un presente, che però parte dalla
coscienza di un passato, quello del suo polifonico cast, per proiettarsi
verso un futuro che è irresoluto alla prima pagina, e che infine è ricordo acre
all’ultima, romantica visione di queste vignette.
Ferraris in tal senso crea un’opera che nella sua modestia trova non solo dignità, ma soprattutto grandezza, strutturando queste piccole storie – già di per sé brandelli di realtà – in una griglia semplice e diretta, onesta come delle vecchie istantanee a colori, dalle cui rughe trapela tutto quell’indicibile sforzo messo in atto per catturare un istante che non c’è più: Temporale è orgogliosamente fumetto nel raccontare la stasi attraverso la staticità, senza ambire ai voli pindarici delle griglie esplose o alla frammentazione sequenziale di un movimento epicizzato. Un pesce fuor d’acqua in un mare in tempesta, ma proprio per questo un animale raro.
Senza ambizioni di stravolgimenti, ma piuttosto con il solo – e letale – amore per il racconto della propria storia, questo fumetto si nutre delle stramberie di quei sorrisi cagionevoli che lo abitano, in un centone che vive delle sue stramberie, di un sapore che è fellinianamente grottesco e spensierato, irresponsabile e fanciullo, e che si realizza in forme e lineamenti dolenti, che allungano i volti, riducono i tratti fisici alla singola linea – come se dentro di questa ci fosse un mistero da scoprire – in un impeto che ricorda gli sguardi assenti de Les demoisellses d’Avignon e di quella produzione quasi arcaica del primo e neonato cubismo.
Il tutto accompagnato dal lavoro di Daniela Mastrorilli ai colori, forse l’elemento più dirompente di questo fumetto, che già nelle prime tre vignette dettano il regime cromatico, evocano l’animo sfuggente della sopracitata fotografia dismessa che a stento trattiene un momento in fuga nei ricordi, con una sensibilità tonale che, se nelle ombre individua la tangibilità del vissuto, nella palette espansa emana quell’intastabilità essenziale dell’espressionismo astratto e, suggestivamente, del lavoro di autori come Mark Rothko, che proprio nella rappresentazione delle emozioni più basilari ha trovato le sue fortune autoriali.
Insomma, Temporale, edito da Oblomov Edizioni in
un comodissimo formato 21x30 cm, si addentra nei territori di un’Italia
singolare e sola, in procinto di scomparire all’ombra della frenesia di quella
novità che cancella, elide, ingloba senza pietà, cercando di ritagliare un
piccolo angolino d’ombra anche alla semplicità caduca di certi momenti che
ognuno di noi è sempre meno educato a trattenere, e che invece dovremmo
forse ricordare e nascondere gelosi in uno dei più remoti anfratti del
portafoglio.
Una lettura posata, una tregua dal mondo, per sciogliere i
muscoli e distendere le ossa all’abbraccio di cromie intime ed essenziali, in
attesa del prossimo temporale.
Japo Corradini