Lagune, una Venezia distopica: intervista a Piero Macola

Tutti i canali, tutti i passaggi, tutte le isole


Alcuni mesi fa Coconino ha pubblicato in Italia, in contemporanea con l'edizione francese di Futuropolis, Lagune, volume firmato da Christophe Dabitch e Piero Macola che mescola in modo efficace la distopia al noir attraverso un racconto di formazione.

Ambientato in una Venezia isolata dall'esterno e governata da un regime poliziesco, in cui il traffico dei migranti sostiene un sistema criminale, è la storia del giovane Paolo, che va alla ricerca del padre scomparso in un labirinto di isole, isolette e basse maree.

Ne abbiamo parlato con Piero Macola, autore delle tavole acquerellate che donano grande atmosfera al racconto, parlando dell'opera, del suo lavoro e di Venezia.



Ciao Piero, grazie mille per averci concesso questa intervista. Parto subito col chiederti come nasce Lagune e il sodalizio con Christophe Dabitch.

Ci siamo conosciuti diversi anni fa. In quell’occasione avevo disegnato un suo reportage, una ventina di pagine pubblicate in un volume collettivo del nostro editore francese, in collaborazione con Amnesty International. Siamo diventati amici e, dopo un po’, ci è tornata la voglia di lavorare assieme. Questa volta su un progetto lungo.

Lagune è ambientato in una Venezia distopica e corrotta, presidiata dall’esercito che ha trasformato le dighe del Mose, bloccandole, in dei veri e propri muri. Ciò che è stato costruito per salvare la città dal diventare una moderna Atlantide diventa, in Lagune, una vera e propria gabbia di isolamento. Come nasce quest’idea?

L’idea iniziale era di avere come personaggio il figlio di uno scafista e di affrontare il tema della chiusura delle frontiere.
Io vivo a Parigi dal 2002, ma nel 2017-18 sono tornato per un anno a Venezia. Christophe ha proposto che la storia fosse ambientata lì. In quel periodo è venuto a trovarmi, siamo andati in giro in barca per la Laguna.
Abbiamo provato ad inventare un universo credibile, integrando a Venezia situazioni che sono attuali in molte zone di frontiera. L’idea di trasformare il Mose in un muro è stata una delle invenzioni che sono servite da punto di partenza. La costruzione delle dighe mobili è stata un progetto molto controverso, all’origine di un gigantesco sistema di corruzione. Per certi versi, il Mose porta in sé una forma di mostruosità, farne un muro che rinchiude la città non è, in fondo, un’idea così stravagante.

Il protagonista del fumetto, Paolo, è ignaro di tutto, proprio come noi lettori. Lui parte alla ricerca del padre, misteriosamente scomparso, finendo poi per scoprire tutto il marcio che da tempo si nasconde dietro la sua città. Organizzazioni criminali, spaccio di droga e traffico di esseri umani. Raccontaci perché avete scelto la Serenissima per parlare di queste tematiche, così delicate.

È la città dove sono nato e cresciuto. Quando Christophe ha proposto di ambientare la storia a Venezia, gli ho risposto: “Va bene, però Venezia non la si vede mai”. Quando è venuto a trovarmi, volevo mostrargli i luoghi periferici che amo, e soprattutto la laguna. Venezia si scopre dall’acqua. La laguna è un ambiente che frequento da quando ero ragazzino, è il posto dove da sempre proietto le mie avventure, vere o immaginarie.


Lagune non fa parte di quello che definiremmo come graphic journalism, però la sensazione che si ha leggendo, soprattutto una volta che tutte le carte vengono svelate, è quasi quella di un reportage: si sente che è scritto e disegnato con forte cognizione di causa. Christophe Dabitch, oltre ad essere uno scrittore, è anche un reporter, particolarmente attento ai temi delle migrazioni. Pensi che il fumetto sia un media ancora troppo sottovalutato nella sua funzione sociale? Cosa può dare in più la parte grafica rispetto ad un testo scritto (che sia un romanzo, un saggio o un articolo)?

Lagune affronta temi di attualità, ha una dimensione politica. Effettivamente c’è un approccio quasi da documentario. Però il registro è quello della fiction. La trama principale è quella di un figlio che cerca il padre, il racconto ha la struttura classica del romanzo di formazione.
Rispetto ad altre forme di scrittura, il fumetto ha una grammatica diversa. Il disegno è lo strumento per prendere per mano il lettore e accompagnarlo dentro storia. È la porta d’ingresso.

In Lagune mancano quelle “visioni da cartolina” tipiche di Venezia. Anzi, se vogliamo, la città per come la conosciamo noi “forestieri” rimane sullo sfondo. A essere protagonista è ciò che la circonda, la laguna per l’appunto. In un periodo storico in cui Venezia si sta svuotando, diventando sempre più solamente una città per turisti, tu ne restituisci l’immagine più verace possibile, che a tratti è anche quella più romantica. È un’esigenza esclusivamente narrativa, oppure c’è anche il voler omaggiare/ricordare i luoghi dove sei cresciuto?

Benché la storia sia ambientata in un futuro immaginario, la Venezia che disegno è senza dubbio quella che ho conosciuto e vissuto. Probabilmente è più simile alla città degli anni novanta che a quella attuale. La laguna è forse il posto dove preferisco essere al mondo, era importante per me provare a restituirla bene.

Vivi a Parigi da molti anni. Ti manca la tua città? Hai mai pensato di tornarci a vivere?

Mi manca quando sono lì, quando vado al mare a Malamocco, a camminare a Pellestrina, o in giro in barca, e mi dico che non c’è niente di più bello. In quei momenti, penso che dovrei tornare.
Invece nella morsa dell’organizzazione quotidiana non ho molto tempo per essere nostalgico.


Pensi che vedremo nuovamente Venezia anche in altre tue storie future?

Penso di sì, lo spero. E sarà sempre una Venezia periferica. Mi piacerebbe raccontare anche di Marghera.

Rispetto alle matite colorate/pastelli, per Lagune hai deciso di esplorare qualcosa di nuovo, optando per l’acquerello, una scelta che si è rivelata perfetta per rappresentare il paesaggio lagunare veneziano. Ti va di parlarcene?

Avevo voglia di cambiare. L’acquerello mi pareva adatto per una storia con tanta acqua. Non avendolo mai utilizzato prima, ho dovuto fare molte prove. Senza aspirare a virtuosismi, dovevo almeno arrivare a un controllo della tecnica sufficiente per mantenere una certa uniformità tra le pagine, nel tempo lungo della lavorazione del libro.
Speravo inoltre che l’acquerello mi permettesse di essere più veloce, rispetto alle matite colorate. In realtà non è stato così. La rapidità e solo in parte legata alla tecnica, è soprattutto una questione di testa.

Visto che per te si trattava di una nuova sfida, a quali autori hai guardato per ispirarti?

Gipi, Baru, Manuele Fior, Pascal Rabaté, David Prudhomme, Andrea Serio, Alessandro Sanna, Nicola Magrin…

Hai dichiarato di aver iniziato a pensare, assieme a Dabitch, a un nuovo progetto. Puoi dirci di che si tratta?

Con Christophe stiamo parlando di un altro fumetto, che lui sta cominciando a scrivere. È troppo presto per fare delle anticipazioni. Dovrebbe essere una specie di antiwestern.


Grazie mille per la disponibilità!
Grazie a voi.


Intervista a cura di Andrea Martinelli


Piero Macola, autore di fumetti e illustratore, è nato nel 1976 a Venezia e vive in Francia da vent’anni. Dal 2014 collabora con l’editore francese Futuropolis/Gallimard, per il quale ha pubblicato i graphic novel Les nuisibles; Kérosène; Le tirailleur e partecipato ad alcuni volumi collettivi. In Italia i suoi libri sono usciti per Coconino Press (Fuori bordo, Sola andata) e Oblomov (Gli indesiderati). Ha realizzato illustrazioni per riviste, manifesti, copertine e libri per ragazzi, tra cui Zanna Bianca di Jack London, Noi ragazzi della libertà di Gad Lerner e Laura Gnocchi, la collana di audiolibri di Leonardo Sciascia pubblicati da Emons. Collabora con i principali editori italiani e con riviste come Internazionale e Le Monde Diplomatique.



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