Essentials: Wonder Woman di Gail Simone
Chi è Wonder Woman? La risposta in un lungo ciclo di storie, una summa perfetta dell'essenza del personaggio
A livello iconico infatti, Wonder Woman è spinta come parte dei tre personaggi più forti della DC Comics, è stampata su tonnellate di merchandising, ha avuto un telefilm popolarissimo, è apparsa al cinema in film solisti e di gruppo, e già prima del boom dei supertizi anche l'uomo della strada sapeva chi fosse... ma spesso i suoi stessi autori non avevano idea di cosa avevano per le mani.
Già con l'uscita di scena dei Marston e Byrne dalla sedia delle idee per le storie, il personaggio vivrà diverse ere, raramente interconesse, fatte di rilanci, reboot, cancellazioni e tutta una slerfa (che è un'unità di misura ligure, utile anche per la focaccia) di grandi autori, di nomi grossi a cui veniva affidata la serie nella speranza che il grande pubblico se ne appassionasse, attirato però forse più dal nome che da Wonder Woman in sé.
E per carità, di idee ce ne sono state tante, tantissime: dalla visione emotiva di Phil Jimenez a quella eroica di Greg Rucka, passando anche per le ottime trovate di George Pérez e di quel grandissimo artigiano di William Messner-Loebs.
Ma oggi voglio parlarvi in questa rubrica (che si chiama Essentials e che parla quindi di storie essenziali, storie che dovrebbero bastarvi per capire perché i fumetti sono così belli e così interessanti) di un lungo ciclo scritto da una certa Gail Simone.
Leggere questi trenta numeri vuol dire perdere la testa per questa donna che può fare meraviglie, che può ucciderti con ogni arma del cosmo, eppure dimostra sempre come la sua arma più grande sia l'amore.
E in un turbinio di segni e parole, di idee e concetti che vanno dal bizzarro al così trasformante per il personaggio da farmi chiedere ogni giorno perché non si usi più in un medium che tende a riciclare persino le virgole, quasi tutto viene rivelato quando le Amazzoni si muovono per salvare il mondo, e nella migliore trazione dei supergruppi, hanno un urlo di guerra. E quell'urlo è “Amazzoni, Difendiamo”.
Spero mi perdonerete se mi vengono le lacrime agli occhi, quando vedo un concetto che fa il giro e torna alla base di quello che doveva essere il personaggio, e di come si sia davvero riusciti a declinarlo in una modalità così semplice ma così devastante.
E tutta questa fusione perfetta di concetto e sostanza, di opposti che si sfiorano e che si dimostrano a tratti non così diversi come vorremmo pensare, come tutte le grandi ricette, migliora poi con un poco di spezia.
Perché l'amore è un'arma a doppio taglio, e Diana in questo ciclo soffre come tutti noi. Soffre perché trova l'amore, e lo perde, soffre perché non trova più se stessa in un mondo che cambia, soffre perché ha questo cuore enorme, forse fra i più grandi di tutto il suo universo, e la sua più grande maledizione è che, sebbene nel cuore voglia essere una diplomatica e trovare un equilibrio fra se stessa, forse questo equilibrio non ci sarà mai.
Ron Randall non lavora moltissimo sulla serie, più che altro aiuta in qualche numero, ma dimostra un dinamismo che raramente ho visto in fumetti di supereroi coevi.
Chris Batista è un disegnatore interessante, un mix perfetto di chi lo ha preceduto, forse meno personale, ma che riesce molto bene a mimetizzarsi con i suoi compagni di lavoro non facendo sembrare troppo lo stacco fra un numero e l'altro.
Nicola Scott, mi ha rubato il cuore anni fa, sempre in coppia con Gail Simone, e mi ruba il cuore anche a questo giro, potrei stare ore ed ore a scrivere dei giudizi tecnici, ma se osservate la scena “Dell'elefante nella stanza”, poi non ve la scorederete mai più. Una delle tavole più potenti del ciclo, e della carriera di un'artista di prima fascia del mondo del fumetto americano.
E tutto poi si conclude con George Pérez, e sarebbe facile dire che tutto si conclude con quello di cui è forse il più grande maestro della storia, una scena di gruppo con quasi tutte le supereroine DC Comics che caricano il nemico, ma tutti sappiamo che Pérez era anche un maestro dei momenti più teneri del fumetto, e giustamente, qui ci sono ambo le anime del personaggio, perché non dovremmo avere anche ambo le anime di chi lo disegna?
Però torniamo all'inizio di tutto, torniamo alla domanda, chi è Wonder Woman? Chi è questo personaggio nato per essere un modello da seguire, un modello educativo per i giovani (e non lettori)?
Diana l'Amazzone, la Wonder Woman, l'eroina, la principessa è fondamentalmente un personaggio fatto di moltitudini inserito in un mondo fatto di moltitudini dove non può fare altro che continuare a camminare un passo alla volta, sapendo benissimo che la sua lotta non finirà mai. Non solo la sua lotta contro il male, ma quella lotta contro se stessa, contro la propria natura e la propria cultura, che si uniscono per formare quel bellissimo costume colorato che chiamiamo la nostra personalità. Perché per quanto si possa pensare di essere perfetti, di essere meraviglie, in questi 30 numeri Diana sbaglia, cade, e si ferisce. Ma ogni volta che lo fa, c'è sempre qualcuno che le tende la mano per farla rialzare, come lei ha fatto dozzine di volte con lui o lei, in un circolo virtuoso fatto di quell'amore potentissimo di cui persino gli dei temono il potere.
C'è un mantra, molto bello, che Wonder Woman ed i suoi alleati usano nei momenti più bui, che recita più o meno così: “Abbi speranza, fidati per amare, combatti con onore, ma combatti per vincere”. E tutto queste parole, che vengono ripetute ciclicamente, abbastanza da diventare parole chiave ma fortunatamente non troppo da diventare un tormentone, sottolineano in un modo netto e preciso non solo l'idea del personaggio, non solo le idee che gli autori vogliono dare, ma anche il perché bisognerebbe provare a leggerlo.
Perché “popolare” non significa “conosciuto”, certo ormai più o meno la storia di Wonder Woman la conosciamo tutti, anche i lati più “oscuri” (le prime storie del personaggio avevano ogni tanto dei toni un poco feticisti, ma neanche così scabrosi vi dirò), e avere quindi una mezza idea di cosa sia Wonder Woman, non riesce a far capire perché ancora siamo qui a parlarne.
Non è solo marketing, non è solo anzianità di servizio, è che abbiamo di fronte un classico della cultura pop, la cui essenza più assoluta è racchiusa in questi trenta numeri, che oltre ad essere un saggio magistrale su chi sia Wonder Woman, sono anche un fumetto divertentissimo, fidatevi di me, e ve ne innamorerete per sempre.
Più ci rifletto, più mi rendo conto che “popolare” e “conosciuto” non siano poi realmente sinonimi. Non me ne voglia la Crusca, ma quando si parla di icone della cultura, popolare e non, sapere di chi o cosa si stia parlando non significa averne fatto esperienza.
Allo stesso modo di come io sappia benissimo chi sia Micheal Jordan, senza averlo mai visto giocare una volta nella mia vita a basket, ho una certa sicurezza nel pensare che gran parte del mondo tondo abbia idea di chi sia Wonder Woman, senza averne mai letto una singola storia, neanche per sbaglio.Quando William Moulton Marston, Elizabeth Holloway Marston, Olivia Byrne e Harry G. Peter inventarono il personaggio la loro idea era molto semplice: si voleva dare ai giovani americani un modello femminile forte che potesse reggere il confronto con lo strapotere di Superman, secondo una comunque complessa scelta puramente pedagogica (e già qui, sapete che mi hanno conquistato per sempre), ma ovviamente non pensavano di riuscirci così bene.
A livello iconico infatti, Wonder Woman è spinta come parte dei tre personaggi più forti della DC Comics, è stampata su tonnellate di merchandising, ha avuto un telefilm popolarissimo, è apparsa al cinema in film solisti e di gruppo, e già prima del boom dei supertizi anche l'uomo della strada sapeva chi fosse... ma spesso i suoi stessi autori non avevano idea di cosa avevano per le mani.
Già con l'uscita di scena dei Marston e Byrne dalla sedia delle idee per le storie, il personaggio vivrà diverse ere, raramente interconesse, fatte di rilanci, reboot, cancellazioni e tutta una slerfa (che è un'unità di misura ligure, utile anche per la focaccia) di grandi autori, di nomi grossi a cui veniva affidata la serie nella speranza che il grande pubblico se ne appassionasse, attirato però forse più dal nome che da Wonder Woman in sé.
E per carità, di idee ce ne sono state tante, tantissime: dalla visione emotiva di Phil Jimenez a quella eroica di Greg Rucka, passando anche per le ottime trovate di George Pérez e di quel grandissimo artigiano di William Messner-Loebs.
Ma oggi voglio parlarvi in questa rubrica (che si chiama Essentials e che parla quindi di storie essenziali, storie che dovrebbero bastarvi per capire perché i fumetti sono così belli e così interessanti) di un lungo ciclo scritto da una certa Gail Simone.
Pubblicato per la prima volta nel 2008, e dipanatosi dal numero 14 al numero 44 (più un paio di speciali) della terza serie di Wonder Woman, questo ciclo presenta una caterva di disegnatori fra cui citiamo Bernard Chang, Aaron Lopresti, Chris Batista, Terry Dodson, Travis Moore, Ron Randall, Nicola Scott e George Pérez, che, sebbene abbiano tutti uno stile piuttosto diverso, riescono lo stesso a creare una sensazione di omogeneità una volta approcciatisi alla lettura del ciclo per intero.
La nostra storia parte da una premessa già inserita da autori precedenti, che vede Diana, principessa delle Amazzoni, lavorare sotto copertura per un'agenzia di spionaggio americana, e al contempo cercare di tornare alla sua natia Isola Paradiso, visto che gli dei greci le hanno tolto la benedizione che le permetteva di trovarla. Da questa premessa tutto sommato complicata, nascerà una lunga avventura fatta di tradimenti, genocidi, fight club sotterranei, controllo mentale, relazioni fallite, squali giganti, complotti internazionali, gorilla albini soldato che però si può tradurre in un semplice domanda: chi è Wonder Woman?
La nostra storia parte da una premessa già inserita da autori precedenti, che vede Diana, principessa delle Amazzoni, lavorare sotto copertura per un'agenzia di spionaggio americana, e al contempo cercare di tornare alla sua natia Isola Paradiso, visto che gli dei greci le hanno tolto la benedizione che le permetteva di trovarla. Da questa premessa tutto sommato complicata, nascerà una lunga avventura fatta di tradimenti, genocidi, fight club sotterranei, controllo mentale, relazioni fallite, squali giganti, complotti internazionali, gorilla albini soldato che però si può tradurre in un semplice domanda: chi è Wonder Woman?
La Simone riesce, in questi 30 numeri, a creare una summa perfetta di chi sia Wonder Woman, andando sia a pescare a piene mani dal grande affresco del cosmo DC, ripescando personaggi o situazioni dimenticate, sia creando nuovi personaggi e concetti così interessanti da domandarci perché nessuno ci avesse mai pensato prima, sia fondamentalmente costruendo una personalità di Diana solida e duratura.
Attraverso tutta una serie di piccoli gesti, di singole parole, l'autrice gioca sulle origini di questa bimba creata dal fango e benedetta dagli dei, questa bimba senza padre ma con un'isola intera di madri, che crede talmente tanto nella verità e nella diplomazia da farne una missione di vita continua, alternandola dall'essere comunque uno degli esseri più potenti a livello di forza fisica e tattica sul nostro pianeta.
Ve lo spiego meglio raccontandovi le prime pagine del primo numero: Diana deve combattere una truppa addestrata di super-gorilla albini progettati per uccidere Superman, che la vogliono usare come pratica prima di uccidere l'Uomo d'acciaio, e dopo averli pestati come zampogne, la principessa gli tende la mano, e chiede loro di unirsi a lei, perché ha visto nel loro cuore il loro vero valore. E i gorilla sapienti assassini non solo accettano, ma per tutti questi trenta numeri seguono Diana con una lealtà disarmante, perché anche loro hanno visto quello che c'è nel suo cuore, e ne sono talmente ammirati che non potrebbero fare altro che seguirla persino all'inferno.
Parliamo forse di una scelta ridicola? Certamente. Di una premessa tonta come poche? Ma certo, ma è proprio questo spingere sul medium che rende questo ciclo così interessante.
Cercare il realistico, voler la verosomiglianza nel fumetto di supereroi, è un desiderio sicuramente legittimo, ma che manca un poco il punto del genere: se il limite è il cielo, perchè fermarsi sulla strada?
Ve lo spiego meglio raccontandovi le prime pagine del primo numero: Diana deve combattere una truppa addestrata di super-gorilla albini progettati per uccidere Superman, che la vogliono usare come pratica prima di uccidere l'Uomo d'acciaio, e dopo averli pestati come zampogne, la principessa gli tende la mano, e chiede loro di unirsi a lei, perché ha visto nel loro cuore il loro vero valore. E i gorilla sapienti assassini non solo accettano, ma per tutti questi trenta numeri seguono Diana con una lealtà disarmante, perché anche loro hanno visto quello che c'è nel suo cuore, e ne sono talmente ammirati che non potrebbero fare altro che seguirla persino all'inferno.
Parliamo forse di una scelta ridicola? Certamente. Di una premessa tonta come poche? Ma certo, ma è proprio questo spingere sul medium che rende questo ciclo così interessante.
Cercare il realistico, voler la verosomiglianza nel fumetto di supereroi, è un desiderio sicuramente legittimo, ma che manca un poco il punto del genere: se il limite è il cielo, perchè fermarsi sulla strada?
Soprattutto quando dietro le fantasticherie, dietro le sciocchezze, c'è un mare di passione, un oceano di cuore, puro e semplice cuore, di amore verso il medium e verso il personaggio, così forte che il personaggio stesso lo ridà indietro a chi legge.
Leggere questi trenta numeri vuol dire perdere la testa per questa donna che può fare meraviglie, che può ucciderti con ogni arma del cosmo, eppure dimostra sempre come la sua arma più grande sia l'amore.
E in un turbinio di segni e parole, di idee e concetti che vanno dal bizzarro al così trasformante per il personaggio da farmi chiedere ogni giorno perché non si usi più in un medium che tende a riciclare persino le virgole, quasi tutto viene rivelato quando le Amazzoni si muovono per salvare il mondo, e nella migliore trazione dei supergruppi, hanno un urlo di guerra. E quell'urlo è “Amazzoni, Difendiamo”.
Spero mi perdonerete se mi vengono le lacrime agli occhi, quando vedo un concetto che fa il giro e torna alla base di quello che doveva essere il personaggio, e di come si sia davvero riusciti a declinarlo in una modalità così semplice ma così devastante.
“Difendiamo”, una parola durissima da fuori ma accogliente dentro, un concetto incarnato da sempre dalle persone che più ci vogliono bene, un qualcosa che va oltre la protezione morbosa, che racchiude quel senso di lotta profonda che come diceva Paulo Freire è sempre foriera di speranza, e al contempo stesso è rassicurante come un abbraccio.
E tutta questa fusione perfetta di concetto e sostanza, di opposti che si sfiorano e che si dimostrano a tratti non così diversi come vorremmo pensare, come tutte le grandi ricette, migliora poi con un poco di spezia.
Perché l'amore è un'arma a doppio taglio, e Diana in questo ciclo soffre come tutti noi. Soffre perché trova l'amore, e lo perde, soffre perché non trova più se stessa in un mondo che cambia, soffre perché ha questo cuore enorme, forse fra i più grandi di tutto il suo universo, e la sua più grande maledizione è che, sebbene nel cuore voglia essere una diplomatica e trovare un equilibrio fra se stessa, forse questo equilibrio non ci sarà mai.
A livello grafico, tutto inizia con Terry Dodson, maestro assoluto della linea morbida, di questi corpi che sembrano usciti da un sogno, e che nel parere di chi scrive ci dona forse una delle più grandi introduzioni mai fatte di Wonder Woman nella sua storia, con questa inquadratura progressiva che ci mostra prima tutti i fronzoli dell'amazzone, per poi mostrarcela in tutta la sua regalità.
Bernard Chang è più solido, più granitico, ma le sue scene d'azione sono fenomenali, le sue botte sono devastanti, si sentono attraverso le pagine, ogni colpo ti fa vibrare le mani e distogliere lo sguardo.
Aaron Lopresti è forse l'artista più classico, il più pulito di tutta la compagnia. Ogni sua pagina ad un primo impatto ha un che di generico, un qualcosa che ti fa dire “Ah, vabbeh certo, questo è un fumetto americano”, eppure c'è sempre un qualcosa che ti cattura in questa apparente semplicità, c'è sempre un guizzo di emozione in uno sguardo, un'attenzione nei volti, un capello che oscilla nel vento che ti fa tornare su quelle pagine ancora, ancora e ancora.
Bernard Chang è più solido, più granitico, ma le sue scene d'azione sono fenomenali, le sue botte sono devastanti, si sentono attraverso le pagine, ogni colpo ti fa vibrare le mani e distogliere lo sguardo.
Aaron Lopresti è forse l'artista più classico, il più pulito di tutta la compagnia. Ogni sua pagina ad un primo impatto ha un che di generico, un qualcosa che ti fa dire “Ah, vabbeh certo, questo è un fumetto americano”, eppure c'è sempre un qualcosa che ti cattura in questa apparente semplicità, c'è sempre un guizzo di emozione in uno sguardo, un'attenzione nei volti, un capello che oscilla nel vento che ti fa tornare su quelle pagine ancora, ancora e ancora.
Ron Randall non lavora moltissimo sulla serie, più che altro aiuta in qualche numero, ma dimostra un dinamismo che raramente ho visto in fumetti di supereroi coevi.
Chris Batista è un disegnatore interessante, un mix perfetto di chi lo ha preceduto, forse meno personale, ma che riesce molto bene a mimetizzarsi con i suoi compagni di lavoro non facendo sembrare troppo lo stacco fra un numero e l'altro.
Nicola Scott, mi ha rubato il cuore anni fa, sempre in coppia con Gail Simone, e mi ruba il cuore anche a questo giro, potrei stare ore ed ore a scrivere dei giudizi tecnici, ma se osservate la scena “Dell'elefante nella stanza”, poi non ve la scorederete mai più. Una delle tavole più potenti del ciclo, e della carriera di un'artista di prima fascia del mondo del fumetto americano.
E tutto poi si conclude con George Pérez, e sarebbe facile dire che tutto si conclude con quello di cui è forse il più grande maestro della storia, una scena di gruppo con quasi tutte le supereroine DC Comics che caricano il nemico, ma tutti sappiamo che Pérez era anche un maestro dei momenti più teneri del fumetto, e giustamente, qui ci sono ambo le anime del personaggio, perché non dovremmo avere anche ambo le anime di chi lo disegna?
E davvero, 30 numeri sono tanti, forse tantissimi per alcuni standard, e i momenti da citare, da raccontare sono innumerevoli, dalla ciocca di capelli della sorella di Wonder Woman, a Black Canary vera amica di tutti, a Nemesis la spia, a Steve Trevor ed Etta Candy vecchi soldati, passando poi ovviamente per Diana che combatte un demone con la diplomazia... forse.
Però torniamo all'inizio di tutto, torniamo alla domanda, chi è Wonder Woman? Chi è questo personaggio nato per essere un modello da seguire, un modello educativo per i giovani (e non lettori)?
Diana l'Amazzone, la Wonder Woman, l'eroina, la principessa è fondamentalmente un personaggio fatto di moltitudini inserito in un mondo fatto di moltitudini dove non può fare altro che continuare a camminare un passo alla volta, sapendo benissimo che la sua lotta non finirà mai. Non solo la sua lotta contro il male, ma quella lotta contro se stessa, contro la propria natura e la propria cultura, che si uniscono per formare quel bellissimo costume colorato che chiamiamo la nostra personalità. Perché per quanto si possa pensare di essere perfetti, di essere meraviglie, in questi 30 numeri Diana sbaglia, cade, e si ferisce. Ma ogni volta che lo fa, c'è sempre qualcuno che le tende la mano per farla rialzare, come lei ha fatto dozzine di volte con lui o lei, in un circolo virtuoso fatto di quell'amore potentissimo di cui persino gli dei temono il potere.
C'è un mantra, molto bello, che Wonder Woman ed i suoi alleati usano nei momenti più bui, che recita più o meno così: “Abbi speranza, fidati per amare, combatti con onore, ma combatti per vincere”. E tutto queste parole, che vengono ripetute ciclicamente, abbastanza da diventare parole chiave ma fortunatamente non troppo da diventare un tormentone, sottolineano in un modo netto e preciso non solo l'idea del personaggio, non solo le idee che gli autori vogliono dare, ma anche il perché bisognerebbe provare a leggerlo.
Perché “popolare” non significa “conosciuto”, certo ormai più o meno la storia di Wonder Woman la conosciamo tutti, anche i lati più “oscuri” (le prime storie del personaggio avevano ogni tanto dei toni un poco feticisti, ma neanche così scabrosi vi dirò), e avere quindi una mezza idea di cosa sia Wonder Woman, non riesce a far capire perché ancora siamo qui a parlarne.
Non è solo marketing, non è solo anzianità di servizio, è che abbiamo di fronte un classico della cultura pop, la cui essenza più assoluta è racchiusa in questi trenta numeri, che oltre ad essere un saggio magistrale su chi sia Wonder Woman, sono anche un fumetto divertentissimo, fidatevi di me, e ve ne innamorerete per sempre.