Il (caro) prezzo per essere invisibili: la trilogia di Baru sull'integrazione
Baru, pseudonimo di Hervé Barulea, è un grande fumettista. Padre nobile del graphic novel d’oltralpe, le sue intenzioni sono chiare fin dalle prime pubblicazioni sul periodico francese Pilote.
"Avrei potuto scegliere la politica, ma ho preferito puntare sul mezzo espressivo. L'arte era da sempre lontana dal mio ceto, così come il cinema, quasi inarrivabile, e la letteratura, legata in modo conflittuale con la scuola. All'inizio degli anni settanta il fumetto era stato preso per il bavero, ribaltato, rivisto e ristrutturato. Avvicinarmi ancora a questo linguaggio ha rappresentato una sorta di riappacificazione."
Questo dichiarava nel 2001 ad una conferenza tenuta all’allora edizione del Lucca Comics. Riappacificazione: la concezione del fumetto stava cambiando. Sempre arte popolare ma che finalmente reclamava il suo spazio per raccontare qualcos’altro che non fossero le avventure di Tintin e Spirou. In questa nuova concezione di fumetto Baru trovò il linguaggio espressivo perfetto per le sue intenzioni di critica sociale. Fu uno dei primi grandi autori che vide nella nona arte questa potenzialità. La trilogia di A caro prezzo, edita da Oblomov, non fa eccezione.
I titoli di un’opera a volte, volutamente, si limitano ad essere evocativi. Un nome, un luogo, un’azione. Altre volte, invece, racchiudono il significato dell’opera stessa: il prezzo da pagare per l’integrazione è caro, salatissimo. È una strada lastricata di persecuzioni, ghettizzazioni, discriminazioni e, purtroppo, di morti.
Proprio coi morti Baru ci tiene ad aprire il primo dei tre volumi. Il bianco e nero acquerellato scandisce, come se fosse un reportage (cosa che farà più volte nel corso dell’opera), gli avvenimenti svoltisi tra il 16 e il 17 agosto 1893 ad Aigues-Mortes, nell'attuale regione francese Occitania, che videro l'assassinio di diversi immigrati italiani (in prevalenza piemontesi) per mano sia di abitanti del luogo che di operai provenienti da altre zone della Francia. La raccolta del sale in agosto ad Aigues-Mortes fu a lungo appannaggio di molti contadini dell’Ardèche. La Francia dell’epoca viveva un periodo di forte recessione. Quando manca il lavoro le tensioni sociali aumentano, e spesso a farne le spese sono i più deboli. Gli italiani furono i capri espiatori.
Quelli ci rubano il lavoro! Rubano il lavoro alla nostra gente! Un slogan che non passa mai di moda.
Un vero e proprio massacro per cui gli esecutori rimasero totalmente impuniti.
Da qui inizia, se vogliamo, il fumetto vero e proprio. Teodorico Martini, che divenne Teo e infine Theo, alterego di Baru, ci racconta la storia della sua famiglia, di origini italiane emigrata in Francia all’inizio del novecento. L’evento che lo porta a riflettere sul cammino tortuoso che i suoi genitori (e i nonni prima di loro) dovettero affrontare per integrarsi in Francia è la demolizione dell’altoforno dove i membri della sua famiglia aveva consumato la loro vita, lavorando senza sosta per costruire un futuro migliore.
Presi qualche foglio e cominciai a raccontarli com’erano, alla fine del pranzo della mia comunione, una domenica di giugno del 1961, quando non erano ancora anziani, vecchi o morti, anche se qualcuno lo era già. […] All’inizio erano solo piccoli appunti per i miei futuri nipotini, […] perché conoscessero il prezzo che tutti loro avevano pagato perché noi… diventassimo trasparenti.
La voce narrante di Teo è sospesa nel bianco tra una vignetta e l’altra, ad accompagnare i ricordi che si sovrappongono e mescolano l’un l’altro, assieme a testimonianze, documenti, articoli, libri, fotografie e locandine cinematografiche.
Una narrazione che volutamente, tra la miriade di parenti che compone la famiglia Martini, fa perdere le coordinate al lettore, mantenendo l’attenzione su ciò che Baru vuole veramente sottolineare. Questo infatti non è un semplice racconto autobiografico, bensì un racconto generazionale. L'autore parla non solo dei suoi genitori e dei suoi nonni ma di quelli di tutti gli italiani emigrati in Francia per cercare lavoro.
Tra contrapposizioni politiche (comunismo e fascismo), la miseria del lavoro operaio, la fatica, le difficoltà nell’integrarsi, nell’adattarsi ad una nuova vita, nel rinunciare all’idea che mai sarebbero potuti tornare a casa, ciò che emerge è un quadro completo e densamente sfaccettato. Un quadro che Baru dipinge senza mai trascurare le note più colorite, divertenti, il folklore, restituendo un racconto che al dramma umano mescola perfettamente ironia e vivacità.
Il tutto viene condito da squisiti cameo di Baru stesso, disegnati in maniera abbozzata, con linee nere su sfondo bianco a dare i contorni di cose e persone, dove di fatto ci racconta del processo di accumulo di informazioni per il fumetto. In uno di questi, al termine del primo volume, confessa a un'amica:
Lo sai che sono un cantastorie! Quindi un “bugiardo” di professione!
Quanto è veramente importante che quello che Baru ci racconta riguardo alla sua vita sia o meno reale? Non è forse più importante il significato, il messaggio dietro a ciò che viene raccontato? Non è importante che Bella Ciao non sia veramente stato un inno partigiano. Non è importante da dove ha veramente origine questo canto popolare. Ciò che conta è quello che comunica, quello che trasmette. Così è A caro prezzo. Baru gioca coi suoi ricordi così come quelli di suoi amici, fondendoli a storie di personaggi storici realmente vissuti, il tutto romanzato ad arte. Lo fa in nome di un messaggio, di un’ideale, quello dell’uguaglianza, che oggi come non mai ha bisogno di essere difeso con tutte le nostre forze.