Fantasmi di famiglia - Una storia sulle storie, tra memoria e folklore

Il fumetto d’esordio di Licia Cascione per Ottocervo

La parete con le foto di Lina, Francesco, Michele, Chiara, Anna, mamma e papà – nascosto dietro un bel mazzo di margherite – rimanda a quelle belle “case vecchie” di una volta. Perché al centro di Fantasmi di famiglia di Licia Cascione, edito da Ottocervo, ci sono una famiglia e una casa.


La storia inizia con un terribile incidente. La morte di Michele, il più grande dei figli, viene raccontata nelle tavole iniziali caratterizzate da una palette di colori uniforme a segnare la sera che sopraggiunge. Vignette in cui l’unica tenue luce proviene dal sole che tramonta, dalla sigaretta accesa e dalla luna che si alza in cielo sono una prova di bravura dell’autrice esordiente. E mentre Michele cerca di liberare i lacci di una scarpa dai binari del treno, un mena men pronunciato al posto di altre parole meno efficaci colloca geograficamente, senza alcun dubbio, Fantasmi di famiglia in Puglia.
Inoltre, annunciato dal fischio di un treno in corsa, fa la sua comparsa l’elemento soprannaturale rappresentato da lunghe braccia spettrali.

Un piccolo paese della Puglia, fantasmi, creature mistiche e folklore sono una parte importante di questo racconto in cui fatti realmente accaduti – la Seconda guerra mondiale e il dopoguerra – si mescolano a storie inventate.
I personaggi parlano una lingua che sembra un mix sapientemente elaborato di italiano e dialetto e usano modi di dire tipici riuscendo a connotare correttamente la storia e l’ambientazione.

Leggende di paese che scavano nel territorio, come il mazzamariello, malefico folletto che entra nelle abitazioni per fare brutti scherzi – che vive dentro casa, tutto verde e rugoso e ha un cappello rosso – e la malombra, lo spirito maligno che entra in casa, sposta mobili e oggetti producendo rumori sinistri e terrorizza chiunque incroci il suo cammino. Folklore e realtà, tra incredulità e superstizione, si mescolano con grande equilibrio: che cavolate… fate della casa, malombre, folletti dal cappello rosso che fanno le trecce ai cavalli e che ti paralizzano nel sonno. E poi vanno in chiesa e dicono che al di fuori di Dio non esiste nulla.


Molto bella ed efficace l’idea di interrompere la narrazione a fumetti con pagine scritte a mano, che fungono da didascalia e fanno di Anna, la più piccola, la voce narrante dell’intera storia e quella che per prima ammette che tutte le case vecchie sembrano vive. Porgere il saluto alla casa, anche se vuota, è una conseguenza del vivere la casa come un’entità, perché se facciamo le brave la casa ci protegge.

La morte, che ha segnato pesantemente la vita di questa famiglia, è resa personaggio e diventa la Signora Morte, una signora gentile dai lunghi capelli – la padrona di casa ovunque vado – che accompagna per mano chi deve andare a est, ovest, su o giù.

Le pagine con la fine della guerra e tutta la famiglia al mare, sono caratterizzate dalla scomparsa dei toni cupi e da colori vividi e luce intensa. La vita della famiglia continua – nel dopoguerra – con i più grandi costretti ad emigrare all’estero in cerca di fortuna, matrimoni, nuove nascite e aria di futuro, senza dimenticare mai chi non c’è più.


Una storia che parla al cuore e alla memoria di ognuno di noi, che racconta storie ascoltate mille volte da nonni e genitori e che riconcilia con un passato e tradizioni locali divenute ormai merce rara.

Francesca Capone

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