Boxers & Saints: destini intrecciati sullo sfondo della rivolta
Nelle campagne cinesi di fine Ottocento, un giovane ragazzo di nome Piccolo Bao assiste alle crescenti comparsate di missionari o soldati stranieri e – soprattutto – cristiani, che si rendono protagonisti di episodi sempre più spregevoli di violenza, furto o prevaricazione. Educato al rigore ed all’obbedienza, Piccolo Bao tende ad osservare a distanza questi avvenimenti, talvolta più stupito che frustrato dalla grottesca natura dei fatti. Questo stallo però dura fintanto che l’irruenza straniera non va ad intaccare la propria famiglia: il ragazzo “non ci sta più” e – semplificando gli eventi della narrazione – decide di impugnare la spada, scoprendo man mano di poter divenire la guida militare e spirituale di minuto gruppo di Boxers, plebei addestrati al kung fu, che tramite la rievocazione di antichi dei del folklore cinese assumono impensabili poteri con cui combattere l’invasione dei cosiddetti “diavoli stranieri”.
Nonostante la partenza dal basso, questo piccolo gruppo nato sotto il nome de Società della Grande Spada presto si trasforma in un vero e proprio esercito, la Società del Pugno Retto e Armonioso, che espande sempre più le sue ambizioni di liberazione fino all’attacco militare alla capitale Pechino, epicentro del via-vai che ha permesso la contaminazione straniera del suolo cinese: poco importa se sulla strada per lo sterminio degli invasori tocchi anche passare sopra i corpi di migliaia di “diavoli subalterni”, compatrioti convertitosi al cristianesimo.
Dall’altra parte, nel frattempo, una giovane ragazza senza
nome – o meglio, chiamata Ragazza-quattro in assenza di idee
migliori – scappa dal patriarcato violento del suo villaggio per ripararsi in
una limitrofa comunità cristiana (dove peraltro, oltre ad essere desiderata,
otterrà un vero nome, Vibiana), presto itinerante nello scappare
e nascondersi dalla Società del Pugno Retto e Armonioso, che nel frattempo
continua le sue stragi di cristiani cinesi e occidentali senza molte
distinzioni: in questa fuga, Vibiana si troverà costretta a scegliere fra le
sue due anime, fra appartenenza e fede, sopravvivendo fino all’epilogo del
racconto, quando le strade dei due protagonisti infine si incontreranno.
Ora: tutto ciò vi ricorda niente?
Sì ok, grazie, la guerra. Ma se andassimo un po’ più nello
specifico?
Se sostituissimo, per esempio, la parola “Cina” con la
parola “Palestina”? O il nome “Società del Pugno Retto e Armonioso” con
“H4m4s”?
Per carità, lungi da noi Audaci voler gettarsi in un
dibattito sull’attuale situazione in Medio Oriente, ma è innegabile che, pur
essendo questa rievocazione delle ribellioni Boxer un modo per criticare le
ostilità belliche in senso lato, ci siano degli allineamenti notevoli
specificamente con il momento presente. E allora, visto che arriviamo da un
periodo come quello natalizio fatto di grandi ritrovi famigliari dove – molto
probabilmente – un qualche parente in malafede ha distrutto l’atmosfera d’amore
e pace lanciando l’argomento in mezzo alla tavola come una teglia fumante di
lasagne senza la sottopentola, la domanda sorge spontanea: come si è svolto il
dibattito?
Probabilmente la vecchia guardia dei genitori e degli zii,
dei nonni e di qualche cugino over 30 in cerca di un posto nel tavolo dei
grandi, si sarà schierata per Israele e per la “democrazia” occidentale, per
l’ordine e per le infrastrutture, mentre la nuova guardia dei figli e dei
nipoti, oltre che di qualche cugino over 30 che non ha ancora accettato di
dover cambiare tavolo, si sarà schierata per la Palestina e per la lotta
anti-establishment contro un’invasione illegittima di territori rubati. Più o
meno eh.
In ogni caso, il dibattito è nato dal momento che si sono opposte due diverse fazioni. Il problema, però, è proprio questo: la faziosità. Gene Luen Yang scrive dieci anni fa un fumetto che rispecchia in maniera incredibilmente adiacente non solo la condizione bellica in cui versa ora una parte di mondo, ma anche la dinamica per cui tale condizione viene dibattuta, in quanto, verbalmente, segue le stesse meccaniche.
Uno scontro parte dall’allineamento con ideali, il che
prevede una rinnegazione di quelli altrui in funzione della supposizione di
possedere una verità, se non universale, per lo meno più accettabile di altre.
Dal lato opposto la stessa dinamica genera l’impatto: le due posizioni si
scontrano, nello scontro estremizzano la propria prospettiva pur di ottenere
terreno sull’avversario ed ecco che in un battito di ciglia siamo entrati nel
campo dell’ideologia, fondamentalmente compromettendo il discorso che,
ciononostante e anzi, proprio in funzione della crescente bellicosità figlia
dell’estremizzazione, cercherà il più possibile di protrarsi con il fine di
stremare il proprio nemico (non più avversario, badate bene).
Quello che facciamo noi oggi, tutti i giorni da ormai
qualche mese, è una mera (e anche paracula, diciamocelo) astrazione di ciò che
avviene sul campo di battaglia. È esattamente lo stesso meccanismo. E lo
facciamo senza renderci conto – o più realisticamente senza ammetterlo – che ci
troviamo in un cul de sac invalidato in partenza: l’ideologia è ontologicamente
fallace, parziale, e pur partendo da quest’evidente parzialità avanza
pretese di unanimità che, bidimensionalizzando la realtà circostante e
crogiolandosi in questa auto-narrazione, inevitabilmente non possono che
condurre ad uno scontro, parlato, armato o di qualsivoglia altra natura.
Non è questione di aver o meno ragione. Il problema è che siamo incapaci di applicare uno sguardo olistico sulle cose e non siamo in grado di capirlo: illudendoci di avere abilità che non ci appartengono, caschiamo nel tranello dello scontro. Boxers & Saints si prefigge esattamente l’obiettivo di smontare questa prospettiva ego-riferita e guidarci nell’aprire lo sguardo. Come ci riesce (perché sì, ci riesce.)?
Qui sta la questione cruciale: non è tanto che Boxers
& Saints racconti entrambe le parti di uno scontro, ma piuttosto che il
racconto sia completo solo una volta presa visione di tutt’e due queste
parti.
Questo fumetto è diviso fisicamente in due metà, e
l’una racconterebbe una storia monca senza l’altra. A prescindere da qualsiasi
questione morale, l’evento, il fatto, acquista senso solo nella sua eterogeneità,
ma proprio grazie ad essa diventa una storia omogenea, compiuta.
E non finisce mica qui, perché questo fumetto alza ancora di
più l’asticella in funzione del fatto che Yang non si cimenti in un
graphic journalism come può essere, per esempio, quello di Quaderni Ucraini,
ma riesca a posizionarsi con adamantina neutralità all’interno di uno scontro
dalle radici ideologiche alquanto complesse raccontando una storia fittizia,
emotiva ed intima, con due diversi protagonisti che crescono e cambiano nel
corso del tempo, e che prima ancora di una morale, seguono una via fortemente
sentimentale: cedere al fascino delle proprie creature è un rischio ancora più
alto, quando si raccontano questo tipo di storie.
Boxers & Saints è perciò un perfetto ibrido fra l’osservazione saggistica ed il romanzo storico, che tramite dei personaggi estremamente umani e veritieri, ed accompagnandoli ai propri demoni o spiriti – letteralmente, non ricostruisce soltanto l’assurdità che sottende la nascita di un conflitto, ma scava fino alle radici di questioni universali come fede e coscienza.
Il tutto accompagnato da una regia e da un montaggio maturi
ed esperti, propri solo di un maestro, che sfruttano a seconda delle situazioni
il dinamismo e le forme della griglia senza mai esasperare questa sua
ricercatezza, aprendo l’immagine solo quando strettamente necessario e
prestandosi spesso alla guida dei colori, che saturano nei momenti di epicità e
de-saturano in quelli di dramma e mestezza. Un flusso dinamico ma costante, che
sfrutta ogni mezzo che il fumetto può fornire (dalla forma della vignetta all’onomatopea
o alla rappresentazione scritta del linguaggio, qui usata per questionare il
grande tema dello “straniero” e dell’invasione) per raccontare una storia sì
drammatica, ma che necessitava vitalmente di oculatezza per mantenere
quell’imparzialità che è il suo più grande pregio.
Inevitabile però anche una menzione d’onore per Tunué e
per il cofanetto dentro cui questo fumetto si presenta che, colorandosi con
delle cromie e delle forme che manderebbero in brodo di giuggiole qualsiasi
designer, sintetizza perfettamente la morale alla base del racconto, facendo sì
che la compresenza contigua di entrambi i volumi di cui la storia si compone
sia fondamentalmente obbligata, pena un vuoto altrimenti incolmabile,
esattamente come succede una volta iniziata la lettura.
Natale è passato ma, qualora foste in ritardo o in crisi per qualche regalo dell’ultimo minuto, questo fumetto potrebbe agilmente battere l’operato di buona parte degli altri parenti e amici, tanto per presenza fisica, quanto per potenza narrativa. E, come dicevamo in apertura, è forse anche un buon modo per placare in partenza i dibattiti politici scaturiti malignamente dal parente infame che da un paio d’ore ormai è lì lì che si sfrega le mani sotto il tavolo.
Japo Corradini