Letture / Visioni seriali: The Killer
L'Insostenibile Routine dell'Essere un Assassino.
D'Autore, verrebbe da aggiungere: questa sarà una Lettura Seriale un po' diversa dal solito, ma solo un po', perché stavolta vi parlerò di The Killer, il bel fumetto di Alexis "Matz" Nolent e Luc Jacamon, proposto da Oscar Mondadori nella sua etichetta INK in versione cartonata integrale, che comprende i primi cinque album della serie (Long feu, L'engrenage, La dette, Les liens du sang, La mort dans l'âme), da cui David Fincher ha tratto il suo ultimo film, che trovate ora su Netflix.
Perciò, impossibile per me non inserire, tra le righe di questa recensione, anche un piccolo confronto con l'adattamento cinematografico, per capire come le due visioni della storia possano avere sia punti in comune che differenze, e come l'occhio autoriale dietro la macchina da presa abbia preso e reso "suo" il personaggio.
Andiamo perciò ad incontrare il nostro protagonista: lo troviamo seduto, in attesa. Un uomo in apparenza normale, come mille altri potreste incontrarne, ma inevitabilmente non è così.
È lui stesso a presentarsi, lo fa con una voce fuori campo che ci illustra il suo "modo di lavorare" (non penso ci sia bisogno di spiegare ulteriormente di quale mestiere si tratti), i piani per il futuro come quella graziosa casetta in Venezuela in cui un giorno vorrebbe ritirarsi definitivamente, una volta messa da parte la cifra di tre milioni di dollari, incarico dopo incarico.
E soprattutto, la sua visione del mondo: qualcuno potrebbe accusarlo di cinismo, ma la verità è che il Nostro (che rimarrà volutamente senza nome per tutto il resto della storia) è forse qualcosa di meglio, o forse di peggio, a seconda della prospettiva: lui "non si cura, ma guarda e passa", per citare impropriamente il Sommo Poeta.
Non ha una bella opinione del genere umano, conscio, grazie al suo lavoro, delle nequizie e delle brutture di cui sappiamo macchiarci. Cambia solo il conto in banca, tra chi è costretto ad uccidere sporcandosi le proprie poco professionali mani, e chi invece può permettersi di pagare qualcuno come lui.
Ma mentre i giorni trascorrono lentissimi, e la vittima designata continua a non farsi vedere in quell'appartamento costantemente tenuto d'occhio, ecco che il protagonista si sbottona quel tanto che basta da percepire una piccola crepa, che noi lettori, con identica pazienza, inizieremo man mano a sfruttare per comprenderlo meglio.
Perché questo lavoro, per quanto ben pagato, per quanto con dei suoi "vantaggi", come gli orari flessibili e il potersi permettere di girare per il mondo (se gli chiedete di cosa si occupa, vi risponderà che smista gli aiuti per conto di un'associazione umanitaria - ironico), è anche un condannarsi ad una vita di solitudine, al non potersi fidare di nessuno perché lasciar avvicinare qualcuno, oltre che ai prevedibili rischi, significa anche desiderare una stabilità impossibile da ottenere, a meno di non tagliare di netto, se non proprio bruciare, qualsiasi ponte passato.
Così ti ritrovi costantemente solo, con te stesso, i tuoi demoni e i fantasmi di chi hai ucciso, forse gli unici che possono dire di conoscerti davvero, perché sempre pronti a tormentarti se gliene concedi l'opportunità, anche solo per un attimo.
Pensieri che corrono velocissimi, come proiettili, in una mente oziosa che continua ad aspettare, sinché qualcosa cambia, qualcosa che fa capire che ci siamo, che l'obiettivo è vicino. Fucile carico, mirino puntato, respiro che si ferma per un secondo, lo stesso che serve per premere il grilletto al momento giusto, quello perfetto per uccidere.
E lo stesso che serve al destino per far spostare una nuca e così farti sbagliare bersaglio, costringendoti a gettare alle ortiche ogni prudenza e con rapidità compiere una strage, e scappare cercando di non dare nell'occhio. Calma, nessuno ti ha visto, se sei abbastanza veloce, puoi ancora farcela. Forse.
È cosi che inizia The Killer, e in una certa misura, è cosi che inizia anche il film con Michael Fassbender, ma penso, anche solo da questa mia breve sinossi, che abbiate intuito qualche piccola differenza tra i due assassini, quello cartaceo e quello invece su pellicola.
Ma ci arriveremo più avanti, per ora, rimaniamo sulle tracce del Nostro, con Jacamon e Matz che ci portano in Venezuela, dove c'è quella sua casetta e, scopriamo, anche una compagna, una bellezza del luogo, nulla di impegnativo, quanto basta per sentire sulla sua pelle il sapore del sole, del mare, del sesso e della vita.
Venezuela, terra magica, ricca di natura, di predatori e prede, da dove son passati Bolìvar e Aguirre, il Santo e il Diavolo. Una terra che è un rifugio sicuro. Forse.
Perché qualcuno è sulle tracce del Nostro, qualcuno potrebbe aver seguito un'intuizione ed esserglisi messo alle costole sin da Parigi, e ora è lì, in paziente attesa di prenderlo all'amo. Ma sapete cosa si dice dei predatori e delle prede.
Il Poliziotto e l'Assassino. Solo uno uscirà vivo da quella selva oscura, così selvaggia e aspra e forte.
Inutile dirvi chi. E a quel punto, servono risposte, e Edouard è l'uomo giusto a cui chiederle: socio, amico, consulente, banchiere. Lui si occupa di trovare i contratti e gestire i soldi. Una persona di fiducia su cui puntare, e grazie alla quale comprendere cosa è andato storto in questa faccenda, prima ancora che i proiettili iniziassero a fischiare.
Ora, se continuo così, finisce che vi racconto tutto, e voi il fumetto non lo comprate, il che sarebbe un vero delitto, proprio perché la capacità affabulatoria di Matz e l'arte di Jacamon valgono ogni centesimo, ogni pagina di questo affascinante thriller.
I due insieme ci regalano un personaggio sfaccettato, meno glaciale di quanto vorrebbe apparire, un uomo che, lungo questa intricata partita a scacchi col destino, riscoprirà valori che pensava di aver dimenticato, stringerà rapporti e cambierà prospettive, anche di vita, e attraverso quel mestiere che si è scelto, e che iniziava a stargli stretto, troverà modo di ridefinire sè stesso.
La sceneggiatura di Matz è quello che si potrebbe definire un meccanismo ad orologeria, dove ogni aspetto della trama è curato, ogni colpo di scena ragionato e calato come un asso sul tavolo, in una vicenda che ha i tratti del noir, sapendo anche come, con misura, inserire l'azione, il dramma, e persino una sorta di sarcastico umorismo.
Puntando tutto sul suo personaggio principale, qualcuno che vive di quella stessa forza di tanti altri antieroi neri, non solo della Nona Arte, quei volti del Male che dovrebbero ripugnarci, ma da cui invece siamo sempre sottilmente attratti, figure che odorano di polvere da sparo e morte, ma che dietro quella pelle dura, celano sentimenti umanissimi, che ce li fanno apparire empaticamente più vicini a noi di quanto vorremmo ammettere.
I loro pensieri sono così distanti dai nostri? Forse sono gli stessi che, in momenti diversi della vita, ci attraversano tutti, solo da una diversa prospettiva.
Così, quella donna, che pensavamo più passatempo che una passione, si dimostra una compagna da desiderare al nostro fianco, pronti a vendicarla perché si è guadagnata la nostra fiducia e perché ha saputo guardare dentro di noi, e vedere una bontà e un rispetto di cui molti non sarebbero capaci.
Così, quel trafficante, inizialmente una palla al piede imposta da un boss locale, diventa quasi un amico, anzi sempre più senza il "quasi".
Vivere nell'ombra, diventarne parte e muoversi attraverso di essa, in fuga ma senza sentirsi braccati, quanto piuttosto essere chi dà la caccia, per poter ricominciare.
La voce narrante è sempre quella del protagonista, ricca di sfumature, capace di evolvere e diventare tridimensionale, mai esagerata ma sempre coi piedi piantati tra realtà e fantasia, tra desiderio di scrittura di genere e volontà di dare al lettore un'esperienza narrativa forte, non scontata, ricercata ma al tempo stesso mai noiosa o artefatta.
È il suo carattere a predominare, più che i delitti in senso stretto, seppur mai assenti lungo tutto il volume, e i cadaveri disseminati fanno il paio con la bellezza di luoghi meravigliosi, donne stupende e sensuali, e una narrazione che non solo guarda al cinema, ma un poco desidera abbandonarsi ad esso. E qui entra in gioco la matita di Jacamon, da sola puro piacere visivo, quel tipo di fascinazione che ti costringe a tenere gli occhi fissi sulla tavola.
Per scorgerne la pienezza e pulizia del tratto, le influenze (potreste rivederci anche un po' dei nostri Palumbo e Manara, quest'ultimo nel tratteggio delle figure femminili e dei loro volti) ma sempre all'interno di uno stile che rimane personalissimo, con trovate che diventano un modus operandi per descrivere certi elementi, la violenza in primis.
Quando il protagonista si lascia andare all'efferatezza, la matita di Jacamon esegue una propria danza di morte, il disegno si spezza, si infrange come frammenti di uno specchio, e altrettanto fanno le figure, che si scompongono, si moltiplicano, assumendo bellezza e tingendosi di colori accesi, dove domina il rosso, quello del sangue e della furia.
Ecco, la tavolozza. Se ne occupa lo stesso artista, con una cura che conferisce vertigine ad ogni tavola, i toni sono peculiari per ogni ambiente, per ogni situazione, dal lussureggiante verde di una altrettanto lussureggiante giungla alle luci vermiglie di un ristorante di classe, dal blu notte di un ricordo, al caleidoscopio di un locale notturno.
E a quel punto, si aprono le sfumature, la cromia cerca ogni volta nuove ed inedite essenze, restituendo sempre sensazioni precise, intense, ricercate. Riflessi puntuali, che colpiscono la retina, lasciando una traccia non facilmente cancellabile.
La tavola non è mai rigida, non segue mai le sue stesse regole, alle volte, i confini neanche esistono, sempre ricercando il ritmo, la cadenza, lo spettacolo che incolli il lettore alla poltrona, desideroso di perdersi non solo nella storia, ma anche nell'Arte di chi sa come padroneggiare il disegno e metterlo a totale servizio della sceneggiatura.
Ne deriva perciò un'affascinante lettura di genere, cruenta eppure drammatica, sostenuta eppure in grado di seguire i suoi tempi, le sue riflessioni, i propri dettami che possono essere infranti, rivisti, ridefiniti, perché a questo Killer non basta sopravvivere, non basta che i giorni sul calendario avanzino senza sosta, non più. Vivere, e desideroso di farlo.
Un racconto che guarda a Hollywood, ne subisce il richiamo e altrettanto fa il grande schermo, e qui veniamo all'adattamento firmato David Fincher.
Non stupisce che il regista americano ne sia rimasto colpito, e d'altronde, lui e Matz si conoscono da tempo, avendo lavorato insieme per adattare un altro noir, un vero Classico, la Dalia Nera di James Ellroy (da noi edito da Einaudi, e oggi fuori catalogo, ma che magari potreste aver la fortuna di trovare in qualche mercatino dell'usato).
È interessante però come Fincher, e lo sceneggiatore Andrew Kevin Walker (anche lui vecchia conoscenza del cineasta, avendo scritto Se7en), decidano di approcciare questa figura senza nome, come ce lo restituiscano secondo la loro personale visione.
Leggere il fumetto e rapportarlo alla pellicola permette sicuramente di cogliere dei paralleli: l'incarico andato a farsi benedire, il "buen retiro" tropicale, la bellissima compagna e il desiderio di vendicarla che si unisce a quello di rimanere in vita, trovando i propri cacciatori e mandanti, prima che siano loro a trovare lui, ribaltando i ruoli.
Ma nella versione interpretata da Michael Fassbender a dominare è il modus operandi, piuttosto che i dilemmi personali. C'è sempre quella sottile noncuranza nei confronti del mondo e delle altre persone, ma l'assassino prezzolato del film è una figura altamente metodica (anche troppo), calcolatrice, di quelle che tengono conto di ogni variabile, di ogni elemento, per fare in modo che tutto vada liscio come l'olio.
Glaciale, come il ghiaccio che tintinna in un bicchiere di whiskey, ma fortemente restio a sciogliersi, e nonostante alcune sequenze in cui sembra dimostrare uno scorcio di umanità, la sua freddezza è sempre costante, salvo di fronte alle botte, non solo del destino.
Questo Killer non è un uomo solo che rifugge la solitudine, è un calcolatore che vede la sua lavagna di equazioni venire cancellata, costretto a riscriverla di volta in volta, a seconda del suo nuovo obiettivo, pieno di rifugi e trucchi ai quattro angoli del globo.
Quello di Jacamon e Matz è un assassino a cui basta un'arma e la propria capacità di sapersi nascondere in bella vista, quello di Fincher ha depositi, passaporti falsi senza soluzione di continuità (e tutti con nomi che richiamano personaggi delle vecchie sit-com), targhe di ogni potenziale stato e quel look da turista tedesco a cui nessuno si sogna di chiedere alcunché.
Forte sopratutto di due cose ben distinte: il talento registico di Fincher, il suo saper muovere con maestria la camera e mantenere sempre una compostezza, dell'immagine e della messa in scena, che esaltano il genere sino a scardinarlo. E appunto la volontà del film di togliere fascino alla figura dell'assassino prezzolato, provando a ridefinirla e disumanizzarla, per poi consegnarcene un nuovo paradigma che potrebbe (o no) ritornare con nuove storie.
C'è una sequenza, nel fumetto, che continuava a tornarmi alla mente mentre guardavo il film su Netflix: il protagonista è su un aereo, e sta dialogando con Mariano, il nipote del boss di cui vi ho parlato righe fa. Quet'ultimo si lamenta di come il cinema dipinga i loro lavori. Lui è un trafficante, e nonostante siano (cito) "dei commercianti, e nella realtà più numerosi e popolari dei killer" vengono sempre descritti come "bastardi, canaglie, gente orribile".
Mentre gli assassini come il Nostro, vengono ritratti come "strafighi, alla moda, tipi speciali". Ne consegue un dialogo tra i due che si conclude con una risata e un sorriso.
Lo stesso sorriso che subentra quando capisci come Fincher tolga al proprio protagonista tutta la patina "eroica" della sua figura "professionale" per restituirci un uomo al limite del maniacale, freddo al punto da non avere quasi espressioni, come se stesse imponendo a sé stesso una parte da recitare, con la sottile convinzione che sia quello a permettergli di uscire sempre dall'impiccio, più che le proprie capacità.
L'azione è calibrata al minimo (e l'unica scena di lotta vale la visione per efficacia), i pensieri del protagonista sono mossi, più che dal dubbio e da sentimenti personali, dal voler di continuo mettere lo spettatore in una situazione da "mostra e dimostra".
Non è John Wick, non veste completi eleganti e di sicuro, non ha questo amore per i cani che permetta allo spettatore di parteggiare per lui. Eppure porta a casa il risultato, solo che il suo modo di fare è... qualcuno desideroso di azione dura e pura potrebbe definirlo "noioso", se davvero vogliamo dare un valore a questa cosa.
Quello dipinto da Fincher è un noir meno "romantico" e più pratico, più compassato e meno sanguigno, votato alla mera consapevolezza che anche quello dell'uccidere è un mestiere come un altro, come un contabile che al posto della calcolatrice, usa la pistola.
La regia, da questo punto di vista, è tecnicamente impeccabile: altrettanto metodica per certi versi, professionale, fredda nelle sue atmosfere, e capace di catturare, se non proprio di intrattenere, per poi concedersi i giusti virtuosismi nei territori più inattesi, come quelli musicali.
La colonna sonora di Trent Raznor e Atticus Ross riesce ad evocare quelle stesse sensazioni di rottura che Matz rappresentava in quello "specchio rotto" di cui accennavo prima.
Solo che per il personaggio di Fassbender, più che in personali esplosioni di violenza, la rottura è rappresentata dalle variabili inevitabili, quelle che possono mettere a repentaglio qualsiasi piano, seppur eseguito al millesimo.
Due personaggi rappresentati in apparente antitesi dalla trama stessa, che inevitabilmente non corrisponde più all'originale a fumetti dopo il primo quarto.
Eppure, in qualche modo, queste due visioni d'autore della pratica più antica del mondo (l'uccidere) vivono della stessa forza, quella di un protagonista diverso da tanti altri che lo hanno preceduto, feroce nel suo essere senza particolari scrupoli e rimpianti.
Differenti però nel modo in cui il personaggio raggiunge le proprie epifanie. In questo, e forse è inevitabile sia così, il Fumetto batte il Cinema di diverse lunghezze.
Per quanto ami ricercare sempre, vista la natura della rubrica, paralleli e modi in cui medium diversi possono evocare lo stesso spirito di una determinata storia, è indubbio che Le Tueur di Jacamon e Matz avrebbe meritato, per sua stessa natura narrativa, il piccolo schermo piuttosto che il grande, quella cadenza seriale di crescita e di maturità che il protagonista necessita per arrivare davvero allo spettatore.
Nella versione cinematografica, non tutti gli spettatori potrebbero essere interessati invece ad un potenziale ritorno di questo Killer.
Non penso stupisca, quindi, se, pistola alla tempia (metafora a cui non ho voluto sfuggire, sorry), ammetto di preferire di gran lunga la versione fumettistica, il Killer delle nuvolette parlanti, piuttosto che quello di Michael Fassbender, che rimane comunque un'ottima prova d'attore, su questo penso e spero non ci siano particolari obiezioni.
Premere Play è sicuramente più immediato, ma permettetemi di consigliarvi, con assoluta confidenza, di dare una possibilità al Fumetto, di recuperare e fare vostro questo volume e calarvi in un'altra storia, con un diverso sentire ed agire.
Con un Assassino dal quale, stavolta, non vorrete avere scampo!