Un fumetto per elaborare un trauma: intervista a Bryan Talbot

Conversazione con l'autore britannico su La storia del topo cattivo, di recente tornato in libreria per Tunué


La storia del topo cattivo di Bryan Talbot è un racconto di "forza, dolore e sopravvivenza" dedicato al percorso di crescita della giovane protagonista dopo una storia di abusi. Da tempo fuori catalogo in Italia, il fumetto Premio Eisner nel 1996 è tornato con una nuova edizione edita da Tunué, con traduzione di Omar Martini, prefazione di Neil Gaiman e postfazione della giornalista e scrittrice Jennifer Guerra.
In occasione di Lucca Comics & Games 2023 abbiamo avuto il piacere di dialogare dal vivo con Bryan Talbot sui temi, ancora tristemente attuali, che caratterizzano l'opera.

Ciao Bryan, innanzitutto grazie per averci concesso questa intervista. Tunué ti porta in Italia in occasione della ripubblicazione de La storia del topo cattivo. Ne “La Coda del topo”, al termine del fumetto, ci racconti di come, da scelta casuale iniziale, la tematica dell’abuso sia diventato il fulcro della tua graphic novel. Da espediente a soggetto vero e proprio. Raccontaci per bene di questo “cambio di rotta”: ti sei sentito in dovere di trattare l’abuso col rispetto che merita dopo aver letto numerosi libri a riguardo?

Inizialmente, come riportato al termine del libro, doveva essere solo un espediente, un plot device. Avevo bisogno di trovare un motivo per far sì che Helen, la protagonista, lasciasse la casa dei suoi genitori. Senza rifletterci troppo ho subito pensato all’abuso infantile, purtroppo una delle principali cause che spinge i ragazzi anche in tenera età a scappare dalla propria  famiglia. Diversi di questi mi è capitato di vederli in carne e ossa a chiedere elemosina in giro per sopravvivere, come accade all’inizio del libro per Helen nella metropolitana di Londra.

A questo punto quando venne il momento di mettersi a scrivere mi resi conto che io di abuso infantile non sapevo nulla e quindi giustamente mi sono messo a fare delle ricerche. Ho letto diversi libri ma in realtà ne basta uno: la storia è sempre la stessa così come lo sono le modalità (come aggiunge lo stesso Talbot nella postfazione del volume: "Il totale egoismo dell’aggressore è il denominatore comune. Le conseguenze psicologiche possono durare per tutta la vita: i bambini si fanno carico della cattiveria."; n.d.r.).

Mi resi conto che la tematica era troppo importante e delicata per essere trattata con leggerezza: non era qualcosa che poteva rimanere ai margini della storia. Doveva diventare il topic principale attorno al quale costruire il libro. È veramente straordinario vedere come a volte le storie ti portano dove non avresti mai pensato di andare.

Sì, è incredibile scoprire come certe cose nascano per caso. Hai raccontato che i design di alcuni personaggi della tua storia sono basati su persone reali. Perché hai avuto bisogno di “vederli” prima di poterli disegnare? Avevi dei problemi nel visualizzarli?

Non è che non riuscissi a visualizzarli, avevo già degli sketch e delle idee in mente. Ciò di cui avevo bisogno è che i loro design fossero il più reali possibile. Io sono sempre stato un disegnatore di fantasy e  fantascienza e come tutti i miei colleghi ci piace inventare,  osare,  ma in questo caso dovevo staccarmi da ciò che ero abituato a fare. Ho quindi guardato a molti artisti europei specializzati nel disegno realistico come Vittorio Giardino e Frank Hampson e ho notato come alcuni di loro utilizzassero riferimenti fotografici e disegno dal vero per realizzare i loro personaggi. Devo dire che ha funzionato.

L’idea per Helen mi venne in mente vedendo una ragazza chiedere l’elemosina nella metropolitana di Londra. Dopo aver fatto uno sketch veloce per immortarlarla, guardandolo mi saltarono in mente le descrizioni della sedicenne Beatrix Potter. La scrittrice era tremendamente timida, cosa che ho rivisto nella ragazza della metropolitana: è così che mi venne in mente di inserire Beatrix Potter nel libro!

Anche per il personaggio di Ben avevo già un’idea in testa. Durante una conferenza sul fumetto che tenni in un college trovai il mio riferimento. Fu una coincidenza assurda, visto che il ragazzo non era nemmeno venuto ad assistere alla mia lezione sui fumetti ma stava semplicemente camminando nei corridoi. Appena l’ho visto gli ho chiesto subito di fermarsi per fargli delle foto. Alle sue perplessità ho risposto mostrandogli la sceneggiatura e la descrizione del personaggio di Ben: capelli ricci, giacca di pelle, erano due gocce d’acqua. La cosa più assurda è che anche lui si chiamava Ben: un segno del destino!

La cosa che apprezzo di più della tua storia è la delicatezza, ma allo stesso tempo la chiarezza, con cui hai raccontato un argomento così pesante. Hai lasciato spazio alle vittime e alle loro testimonianze, soprattutto nelle parole finali della protagonista. E a proposito di Helen: all’inizio, non sapendone nulla, il lettore non riesce bene a capirne il sesso. È una scelta voluta?

In realtà no, ma non sei il primo che me lo dice. È un qualcosa che mi hanno fatto notare diverse persone poco dopo l’uscita del libro. Per me come detto prima la cosa fondamentale era che fosse il più reale possibile. Ti dico una curiosità: una volta un editore mi ha detto “molti fumettisti il personaggio di Helen lo avrebbero fatto somigliare alle loro ragazze, fidanzate, invece tu lo hai fatto somigliare a tua figlia”. 

Da dove nasce il titolo del fumetto? Perché hai scelto proprio i topi come presenza costante nel processo di guarigione di Helen?

Innanzitutto noi abbiamo sempre avuto ratti domestici. Nel corso degli anni siamo arrivati ad averne fino a otto contemporaneamente. Un giorno uno di questi ha combinato qualcosa che non vi racconto. Vi dico solo che è stato  molto furbo, ma anche cattivo. Quando l’ho ripreso gli ho detto “Tu, topo cattivo!” e lì ho pensato: questa cosa che sto dicendo assomiglia proprio al titolo di una storia di Beatrix Potter! Ecco quindi come è nato il titolo.

I topi sono creature da tutti ingiustamente demonizzate, a partire dal fatto che sono creduti essere sporchi quando in realtà sono animali molto puliti. Sono stati accusati negli anni di aver portato molte malattie, di essere animali pericolosi, aggressivi, quando in realtà è rarissimo che un topo attacchi una persona. Helen è il topo cattivo. Si sente colpevole, messa da parte. Viene demonizzata, ma senza alcun motivo poiché è lei ad essere la vittima. L’associazione mi è quindi sembrata perfetta.


Che cosa è significato per te sapere che il tuo libro viene utilizzato in molti centri di assistenza per gli abusi sui minori? Pensi che il fatto di essere un fumetto giochi un elemento fondamentale? 

È il libro che sono più fiero di aver disegnato e sapere che viene ancora stampato nel mondo mi rende molto felice. Per La storia del topo cattivo ho scelto di reinventare il mio stile, in modo da rendere la storia appetibile anche per coloro che non conoscono il linguaggio del fumetto, che non sono abituati a leggerne. Volevo che raggiungesse chiunque. Ancora oggi ricevo messaggi ed email di persone che hanno subito abusi dove mi dicono che questo libro le ha aiutate molto e questo mi rende estremamente fiero.

Oggi le cose in parte sono cambiate, in parte no. Sui media tradizionali così come su internet il tema degli abusi sessuali non è più un tabù, e sicuramente rispetto a decenni prima è più facile, o meglio meno difficile, per una vittima denunciare. Nei film, nelle serie tv, nei fumetti invece è ancora un tema raramente affrontato o anche solo nominato. Come te lo spieghi?

Credo che sia per una questione di imbarazzo. È un qualcosa che ancora oggi crea molto disagio, si preferisce non pensarci. Penso sia per questo. Ai tempi in cui ho realizzato La storia del topo cattivo l’aspetto drammatico era che le persone che avevano subito degli abusi pensavano di essere le uniche al mondo. Non sapevo che in realtà ce n’erano tante altre che come loro avevano vissuto lo stesso orrore. Oggi come dici tu, fortunatamente, le cose sono cambiate: l’argomento non è più un tabù e le vittime possono non sentirsi più sole.

Grazie mille per la disponibilità Bryan, ti auguro una buona permanenza a Lucca e ancora complimenti per il tuo lavoro.

Intervista a cura di Andrea Martinelli, realizzata dal vivo durante Lucca Comics & Games 2023. Traduzione consecutiva di Martina Fermato




Bryan Talbot

Bryan Talbot è un artista e scrittore di fumetti britannico. La sua carriera inizia sulla rivista British Tolkien Society negli ormai lontani anni ’60. Le avventure di Luther Arkwright è uno dei suoi libri più noti che segnerà l’immaginario internazionale dei graphic novel, insieme a Nemesis the Warlock, Judge Dredd, Batman e La storia del topo cattivo con cui ha vinto il Premio Eisner nel 1996, l’UK Comic Book Award for Best New Publication e il Don Thompson Award for Best Limited Series e ripubblicato nel 2023 dalla Tunué.

Post più popolari