Tra distopia e interiorità: David Rubin, "Il fuoco" e il suo mondo

Il fumettista spagnolo ci racconta dell’opera più complessa che abbia mai scritto e dell'esigenza di dare voce a chi spesso non ne ha


Chiudiamo in bellezza le interviste audaci da Lucca Comics & Games 2023 con il nostro dialogo con David Rubin.
Tunué ha da poco pubblicato in Italia Il fuoco, la sua storia d'ambientazione sci-fi distopica che racconta dell'architetto-superstar Alexander Yorba, con la responsabilità di far sopravvivere l'umanità a un'imminente catastrofe. 
Come suggerisce il suo collega Paco Roca, è straordinario il modo in cui Rubin riesca a delineare “una trama umana che corrisponda alla grandiosità dell’ambientazione fantastica”: sonda gli abissi interiori, le conseguenze della fama e della disgregazione dei rapporti sociali svelando al contempo le ipocrisie di un mondo votato all'autodistruzione in una narrazione saldamente (e tristemente) ancorata nel presente.
Ne abbiamo parlato con l'autore, divagando anche su temi personali ed esistenziali.


Ciao, David. Innanzitutto grazie mille per averci concesso questa intervista, è veramente un onore.
Grazie mille a voi! Sono molto affezionato al Lucca Comics, ogni anno l’esperienza è sempre migliore. Un ringraziamento va anche necessariamente a Tunué, che come sempre rende il tutto molto piacevole.

Tunué ti porta in Italia in un momento importante: non solo pubblica il tuo nuovo fumetto, Il fuoco, ma anche Miti del Nord di Neil Gaiman, dove sei coinvolto per la parte grafica in un team a dir poco eccezionale. Per questa intervista ci concentreremo su Il fuoco: da dove e come nasce il soggetto di questa graphic novel? Che cosa volevi raccontare?
Il fuoco è l’opera più complessa che mi sono trovato a scrivere. Ha richiesto molti anni per prendere forma, quasi dieci, ma alla fine ce l’ho fatta. Ciò che mi interessava era creare una storia che mettesse a disagio il lettore, che lo facesse quasi stare male. Volevo porre domande scomode, che spingessero chi legge a riflettere sul presente e soprattutto su se stesso. Molte volte ho pensato che non sarei riuscito a realizzare ciò che avevo in testa, che non si capisse quello che volevo dire. Molte volte ho pensato di sbagliare. Fortunatamente invece Il fuoco sta avendo un grande successo, con molti lettori che mi hanno confessato di aver iniziato ad approcciarsi al mondo del graphic novel proprio da questo mio fumetto. Mi ha sorpreso non poco il fatto che sia stato così apprezzato anche da chi non è abituato al linguaggio della nona arte. La cosa mi ha reso molto felice e orgoglioso.


Leggendo Il fuoco sono rimasto colpito dal comparto grafico. Rispetto ad altri tuoi lavori hai optato per una vignettatura più regolare e schematica, composta da layout molto fitti con primi e primissimi piani alternati a splash page. Mi ha incuriosito l’utilizzo che fai degli spazi bianchi per “tagliare in verticale” sfondi che di fatto sono illustrazioni uniche, facendo, se presenti, muovere solamente i personaggi tra una vignetta e l’altra. Ti chiedo di parlarci di questa scelta e più in generale di come gestisci la regia delle tue tavole.
In passato, da L’Eroe a Grand Hotel Abisso, ho spesso giocato con il fumetto, alternando differenti tipologie di ritmo e, conseguentemente, di paneling. Ero spesso incline a sfoggiare la mia tecnica, a realizzare tavole eccentriche, estrose. Per me fare fumetti era un po’ come suonare rock’n’roll. Con Il fuoco invece, mi resi conto che non potevo assolutamente agire allo stesso modo. Dovevo essere più chiaro e conciso in modo che i lettori si focalizzassero su quello che avevo da dire.
Per questo motivo ho deciso di raccontare attraverso una gabbia più semplice e con un ritmo più sostenuto, con molte più pause. Quando, nella domanda precedente, ho accennato alla complessità e alla difficoltà del realizzare Il fuoco intendevo proprio questo. Nel fumetto c’è stato un enorme lavoro nell'alternare splash page a layout specifici e studiati, in modo tale da definire al meglio il ritmo interno della narrazione. Tutto questo deriva in parte da un autore italiano, Gianni De Luca, anche se però la sua impostazione era più teatrale, in parte da quanto ho appreso visionando le pellicole di quello che è uno dei miei registi preferiti, Andrej Tarkovskij.

In realtà non è la prima volta che guardo al cinema russo. Anche i lavori di Ėjzenštejn, caratterizzati da un montaggio aggressivo, rapido, sono stati fonte di ispirazione per mie opere precedenti come L’Eroe o Beowulf. Rispetto a quest’ultimo, Tarkovskij aveva uno stile meno graffiante. La sua regia era più sostenuta, lenta, calma, osservatrice. Ciò che più mi colpisce del suo cinema è come riuscisse a creare diversi piani all’interno di una medesima sequenza, senza il bisogno di fare tagli, muovendo lentamente la camera quasi senza farlo percepire allo spettatore. Il suo modo di lavorare mi ha ispirato moltissimo ed è dal suo cinema che ho preso il secondo spunto fondamentale per delineare il mio stile ne Il fuoco. L'obiettivo, come detto prima, era di porre totale attenzione su ciò che accade in ogni vignetta e non su quello che ne sta al di fuori.


Sempre riguardo al tuo stile di disegno, voglio chiederti: quando indossi le vesti di autore unico, parti fin da subito con l’idea in testa di come realizzare il comparto grafico o lo sviluppi solo una volta che hai chiaro come e cosa vuoi raccontare?
Quando inizio a mettere giù le basi per una storia parto sempre da un bozzetto molto veloce, in generale di cinque o sei pagine. Ho bisogno di trasporre graficamente tutte le idee che ho in mente, per capire cosa funziona meglio, cosa mi da più stimoli, come veicolare ciò che voglio raccontare. Quando finalmente mi è chiara la strada migliore, allora mi lascio andare, senza pensarci troppo: lascio che la mia mente vaghi, mi faccio guidare dalla fantasia. È questo il modo con cui poi faccio maturare le mie storie. 

Il fascino dei tuoi protagonisti è veramente qualcosa di singolare. Sono eroici ma drammatici al tempo stesso. È una caratteristica che ho trovato in tutto quello che ho letto di tuo. Ti chiedo di parlarci del processo creativo che ti porta a definire il tuo protagonista.
Per creare i miei personaggi, soprattutto i protagonisti delle mie storie, penso prima di tutto a me stesso. Devono rappresentare una parte di me. Io voglio parlare di ciò che conosco, di ciò che sono e che mi preme esprimere. Negli ultimi anni ho accumulato troppo testosterone nei miei fumetti: l’unica protagonista femminile l’ho realizzata per un fumetto americano, The Rise of Aurora West. Per questo nelle mie prossime opere vorrei smarcarmi da quella che ormai è diventata la mia zona di comfort. Mi piacerebbe buttarmi e concepire storie che ruotino attorno a protagoniste donne. Sono conscio che spesso, quando un uomo si lancia in operazioni di questo tipo, i personaggi che vengono fuori sono una versione travisata della femminilità. Ecco, io non voglio questo. Voglio dare voce a una visione femminile diversa da quella che sono abituato a vedere, anche grazie all’aiuto di figure femminili che sono state molto importanti nella mia vita, mia figlia in primis.

A me non è mai piaciuto disegnare donne in pose avvenenti, provocanti, così come non mi è mai piaciuto realizzare scene erotiche per far provare piacere al lettore. Come avrai notato anche leggendo Il fuoco, ogni volta che disegno una scena di sesso il mio scopo è tutt’altro: sono spesso fatte per generare ansia, tristezza, terrore, disgusto. A proposito ricordo ancora oggi l’enorme polemica che ci fu in America ai tempi dell’uscita del secondo libro de L’Eroe. Mi riferisco, come immaginerai, alla scena di violenza domestica che vede protagonista Eracle e sua moglie. Certo, è una sequenza brutale, ma è anche, purtroppo, verosimile. Per me fu difficilissimo disegnarla, provai molto dolore, ma era qualcosa a cui dovevo e volevo dare spazio. Coi miei nuovi personaggi vorrei fare proprio questo, dare voce a chi spesso non ne ha.

Ti racconto infine questo episodio. In Spagna qualche mese fa ho rinunciato a tre nomination per Il Fuoco alla 23esima edizione dei premi della critica di un importante editore, Dolmen Editorial. Il motivo è  semplice: non c’erano donne tra i finalisti, nonostante io avessi letto nel corso dell’anno diverse opere di autrici che avrebbero potuto qualificarsi perfettamente. Ovviamente mi ha fatto molto piacere ricevere quelle nomination, ma ho deciso di portare avanti una battaglia. Ho voluto mettere in evidenza una problematica di cui tutti siamo a conoscenza, ovvero la poca importanza che si dà alle autrici donne. Alla domanda “qual è il fumetto migliore che hai letto quest’anno?” in pochi risponderebbero qualcosa scritto da una donna. Purtroppo c’è una tendenza, anche incosciente, maschilista, di dimenticare le fumettiste. Si tende quindi spesso, purtroppo, a trascurarle quando si parla di nomination e premiazioni. Dopo questa mia decisione non ho rilasciato nessuna intervista: volevo evitare che il focus si spostasse su di me. Ho preferito fare un passo indietro, rinunciare a un privilegio per lanciare un messaggio.


Concludo questa intervista spostando il focus sui finali dei tuoi lavori. Sotto un certo punto di vista si assomigliano un po’ tutti, o meglio, in tutti c’è una costante. Senza fare spoiler, i tuoi fumetti si chiudono sempre col protagonista che esegue una sorta di volo, di ascesa. Ti chiedo di parlarcene.
Non ci avevo mai pensato ma sì, in effetti è  una costante. Nello specifico quasi sempre il binomio è ascesa e distruzione. I protagonisti delle mie storie affrontano vite complesse, difficili. Il loro è un percorso di redenzione, o meglio, di purificazione, di sacrificio. Se dovessi dare una spiegazione a tutto ciò, oggi, su due piedi, potrei forse trovarla nell’educazione cattolica ricevuta da bambino. Oggi sono ateo e così sto educando mia figlia, senza imporle nessuna religione, ma certi rituali come la messa alla Domenica, le infinite processioni o anche, banalmente, il “complesso della colpa” sono ancora insiti in me. 
Se c’è però una cosa positiva che continua ad affascinarmi del mondo cattolico è l’immaginario: adoro entrare nelle chiese, anche solo per osservare i quadri sacri, che spesso, tra l’altro, narrano di avvenimenti tragici, terribili. Credo, riassumendo, che si tratti di una sorta di vissuto che mi porto dietro da sempre e che, in maniera inconscia, restituisco attraverso le mie storie, soprattutto nei finali.


Grazie mille per la disponibilità e per le tue parole, David, e ancora complimenti per il tuo lavoro. Non vedo l’ora di leggere altro di tuo.

Intervista a cura di Andrea Martinelli, realizzata dal vivo durante Lucca Comics & Games 2023.
Traduzione di Aurora Galbero



David Rubín
Nato a Ourense in Spagna nel 1977, è uno scrittore e fumettista dal tratto dinamico ed esplosivo. Autore di innumerevoli libri, Tunué ha pubblicato: Dove nessuno può arrivare, La sala da tè dell’orso malese, L’Eroe, Beowulf, Grand Hotel Abisso e nel 2023 Il fuoco. Il suo stile di disegno fortemente influenzato dai maestri americani, Kirby in particolare, gli ha permesso di iniziare proficue collaborazioni con case editrici statunitensi, per cui sono usciti The Rise of Aurora West, The Fall of the House of West. Rubin ha anche disegnato una delle storie di Miti del nord di Neil Gaiman, pubblicato in Italia da Tunué.

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