Ducks, una storia di perdita e di rinascita
“Posso avere delle opportunità o posso avere casa mia, ma non entrambe. E, in una maniera o nell’altra, tutto questo sarà doloroso.”
Kate ha 21 anni, una laurea in arte appena conquistata e un debito studentesco da ripagare. È il 2005 e tra le tante cose che non ha ancora imparato ce n’è una che invece le è chiara da sempre: lì, nella sua bella isola di Capo Bretone, nel Canada atlantico, non c’è lavoro. Non per una ragazza che vorrebbe solo estinguere il suo debito e non pesare sulla famiglia, che vorrebbe rendersi indipendente e vivere la sua vita facendo quello che ama. Dalla sua terra, che un tempo vedeva partire merci dirette in tutto il mondo, adesso vanno via solo persone, uomini e donne che abbandonano la propria casa per provare a sbarcare il lunario altrove.
E così fa Kate, decide di partire, andare a lavorare, ripagare il suo debito per poi cambiare pagina e dedicarsi davvero all’arte. Il lavoro più remunerativo che riesce a trovare è alle sabbie bituminose, nell’Alberta del nord. In quel periodo la possibilità di spremere il petrolio dalla terra pare infinita e senza conseguenze, non è ancora arrivato il momento di pensare all’ambiente e alle popolazioni indigene a cui quella terra è stata rubata. Il lavoro si prospetta duro ma in poco tempo Kate potrebbe raggiungere il suo obiettivo e, armata di forza di volontà e fiducia in sé stessa, si imbarca in aereo con una buona dose di entusiasmo.
Inizia così il suo racconto, un memoir che in più di 400 pagine racconta dell’esperienza di una ragazza giovanissima in un luogo in cui la natura è inospitale e l’ambiente di lavoro è forse il più maschilista e misogino tra tutti quelli possibili. Nei due anni passati in Alberta del nord, Kate lavora per due diverse compagnie estrattive, cambiando mansione e colleghi più volte ma rimanendo sempre invischiata in un ambiente chiuso e asfissiante, in cui il solo fatto di essere una giovane donna la costringe a sopportare molestie verbali e fisiche praticamente ogni giorno, anche da uomini che hanno il doppio dei suoi anni.
Denunciare, capisce presto, è impossibile: alle poche donne presenti è chiesto di essere “gentili”, cioè di sopportare – e di farlo anche con un sorriso, grazie – le “attenzioni” degli uomini, giustificati dal fatto di essere lontani da casa, dalla famiglia e dall’abbraccio di una donna da troppo tempo. Uomini resi brutali dal lavoro e dalla solitudine, da una vita che è pura sopravvivenza giorno dopo giorno. Kate sa che, se si lamentasse, se confessasse tutto quello che ha subito, rischierebbe di vedere licenziati i suoi molestatori e, per questo, di essere costretta a fuggire dalla vendetta dei loro colleghi. Inizia a trovare un motivo per giustificarli, per assolverli, per addossarsi la colpa di quello che subisce, fino ad arrivare quasi al punto di perdere sé stessa.
Tra le righe leggiamo la denuncia ambientalista contro le compagnie petrolifere, quasi un parallelo tra lo stupro della terra che lә canadesi hanno lasciato che si compiesse pur di raggranellare qualche soldo e quelli che subisce lei durante la sua permanenza nelle sabbie bituminose. E mentre chi lavora nel campo dell’estrazione inizia a vedere i primi sintomi delle malattie che saranno l’inevitabile conto da saldare per aver lavorato anni e anni in ambienti insalubri, si leva il grido di protesta delle popolazioni indigene derubate della loro terra e della loro identità, e insieme quello dellә ambientalistә e dellә animalistә, soprattutto dopo l’incidente con le anatre a cui il volume deve il titolo.
Ducks è un memoir intenso e intimo dove nulla viene taciuto, in cui il blu monocromo delle pagine sa evocare la bellezza dei paesaggi dell’estremo nord e, allo stesso tempo, la fredda inospitalità delle strutture di metallo e cemento e la triste, lenta disperazione che pervade l’animo dell’autrice/protagonista, fino al momento in cui l’arte, il disegno e i fumetti non ricominceranno a donarle un barlume di speranza. L’opera di Beaton è anche una denuncia a un sistema oppressivo, coloniale e misogino che non risparmia niente e nessuno in nome del profitto, che distrugge vite proprio come distrugge l’ambiente, un sistema che si autoalimenta ma in cui tuttә sembrano condannatә alla sconfitta.