“La sala d’attesa“, il fantasy onirico di Ilenia Trano

Intervista a Ilenia Trano sulla sua opera d'esordio, pubblicata da Green Moon Comics


«In una città come Buiopesto, la sola cosa che puoi fare è alzarti la mattina, bere caffè, accendere la radio, infilare le cuffie e andare a lavoro. Quindi, l’unica cosa che puoi realmente fare è meditare di scappare via. Questa è la storia di come sono finita a bussare alle porte di una stazione morta a notte fonda. Questa è una storia che non ha nessun lieto fine. Non smettere mai di correre, gazzella.»

Questo è quanto viene riportato dietro
La sala d’attesa, opera d’esordio di Ilenia Trano, uscita per Green Moon Comics e in nomination per il Premio "Cecchetto" come artista rivelazione al Treviso Comic Book Festival 2023.
Si tratta di un fumetto singolare, per cui abbiamo deciso di fare alcune domande all’autrice per approfondirne la genesi e le tematiche e per conoscere meglio il suo percorso artistico.



Ciao, Ilenia! Innanzitutto ti chiedo di raccontarci un po’ di te e di come/quando hai deciso che quella del fumetto sarebbe stata la tua strada.
Salve, Audaci! Non credo ci sia stato un momento preciso della mia vita in cui abbia deciso di fare fumetti. Ho sempre disegnato e ho sempre amato scrivere, avvicinarmi al fumetto è stato naturale, era il mezzo che mi permetteva di unire le cose. Disegnare e raccontare.
Ma ad essere onesta, le storie di Casty e gli albi giganti di Dylan Dog della biblioteca vicino alla quale sono cresciuta, sono probabilmente la ragione reale.

La sala d’attesa della stazione di Buiopesto è un luogo singolare, di evasione, dove le persone sembrano cadere in una sorta di trance, senza accorgersi del tempo che passa. Anche la protagonista è una di loro, in fuga da un'esistenza grigia e monotona. Raccontaci come nasce l’idea per questo fumetto, che cosa volevi raccontare.
La sala d’attesa è una storia che nasce da un’altra storia (che prima o poi mi piacerebbe raccontare) e nasce dalla musica.
Io e una delle mie migliori amiche stiamo passeggiando a notte tarda attorno alla stazione di Porta Nuova a Torino, quando nel silenzio e nella quiete tipica solo di una certa ora della notte, passa di fronte a noi un unico vagone di un tram dalla quale proviene musica, fortissima. E dentro c’è gente che balla e beve e canta e a me subito sembra di essere davanti all’autobus giallo di Kill Your Boyfriend di Grant Morrison.
Il tram si ferma di fronte alla stazione, le porte si aprono e ci invitano a salire. Rifiutiamo l’invito, le porte si chiudono e il vagone riparte, ma quell’immagine non ha mai lasciato la mia mente, e si è evoluta nel tempo dentro la mia testa, fino a diventare La sala d’attesa. Un luogo fuori da qualunque luogo, una bolla in cui, come in quel vagone di tram che attraversava il silenzio della notte, il mondo non esiste. Ma ogni cosa ha un prezzo. Quel luccichio apparente e quella sensazione di sentirsi al sicuro dal mondo, chiede sempre qualcosa in cambio.


L’ambientazione è suggestiva. Una stazione è un luogo dove si è in costante movimento, mentre tu l'hai scelta come “punto d'arrivo”. Cosa ti ha spinto a scegliere questo setting per la tua storia?
Per ottenere un falso senso di libertà. Dalla stazione in teoria dovresti poter andare via, dovrebbe essere, come hai detto, non un luogo finale, ma un luogo di passaggio.
Il fatto che sia una stazione ad accoglierli, crea un falso senso di autonomia e libertà nella mente degli abitanti della sala d’attesa, che credono di poter andar via quando vogliono, ma che in realtà ne sono intrappolati.
C’è la falsa speranza che da La Fratellanza in 1984, il “‘Allora andiamo?’ ‘Andiamo.’ Non si muovono” di Waiting for Godot e c’è il teatro magico de Il lupo della steppa, nello stesso calderone. Cose che ho letto da ragazzina e che hanno formato il mio immaginario.

Nella protagonista c’è qualcosa di te? E in generale quanto c’è di Ilenia Trano in La sala d’attesa?
Tanto. Condividiamo la stessa rabbia verso le cose che ci sembrano ingiuste e quell’impulsività che ci porta a fare poi le scelte sbagliate. Iris è però più sfrontata di me, osa di più. Ad entrambe piacciono i concerti, ma solo a lei piace il bungee jumping.
Ne La sala d’attesa ci sono tutte le cose che mi hanno cresciuta. Le storie che ho amato e quello che ho odiato, i miei video musicali preferiti (come Ava Adore, potrei dire tossicchiando). C’è la musica dei My Chemical Romance che mi accompagna sin da quando ero ragazzina, i miei libri preferiti e la mia stessa paura dell’attesa. Il mio non avere pazienza di fronte ad essa. C’è la chiesa e l’iconografia religiosa di Romeo+Juliet, c’è Fury Road, Labyrinth, Il Corvo. Sono cose che in ogni modo possibile ho assorbito e fatto mie.


La colorazione è sicuramente uno degli aspetti che più mi hanno colpito. Ho ritrovato, così come nel tratto, Mike Mignola e anche qualcosa di Werther Dell’Edera. Parlaci delle tue influenze artistiche.
E ci hai azzeccato! Something is killing the children è subito diventata una delle mie serie preferite degli ultimi anni. Il tratto di Werther Dell’Edera è immediato e ipnotizzante. Ha quell’immediatezza che continuo a cercare personalmente nel mio di tratto, per non appesantire, lasciare a chi legge un senso di scorrevolezza, ma soprattutto per non distogliere l’attenzione da quello che voglio dire in una vignetta.
Negli anni in cui ho frequentato la Scuola di Comics, studiavo i disegni di Eduardo Risso e di Nicola Mari, che è stato di grandissima importanza per me, con il suo tratto sinuoso e quasi liquido. Studiavo le pose di Mike Mignola, come hai ovviamente notato, e soprattutto quelle di Gabriel Bá, che erano estremamente dinamiche, ma semplici allo stesso tempo. I suoi personaggi sembravano in perenne corsa.
Poi, se butto un occhio alla libreria, vedo Bleach di Tite Kubo e il primo numero di Monster Allergy disegnato da Alessandro Barbucci e non posso lasciarli fuori.

Ed extra-fumetto invece quali artisti pensi che ti abbiano influenzato maggiormente?
Tantissimi e molti li ho già citati. Sicuramente Gerard Way e i mondi che ha creato con la sua musica e i suoi fumetti e in cui ho vissuto per tutta l’adolescenza. La musica in generale ha una grande influenza sulle cose che butto giù, guardo spesso video musicali per trovare ispirazione o ascolto canzoni che richiamano certe immagini nella mia testa quando ho la famosa crisi da pagina bianca. Una grande influenza ha sicuramente avuto anche Il Doctor Who di Russell T Davies, ma in generale tutte le serie da lui sceneggiate, e gran parte delle serie tv inglesi. Tutta la produzione di Neil Gaiman, le storie di Tiziano Sclavi, tutti i miei film preferiti. Le mie serie preferite e quelle con la quale sono cresciuta, come Buffy e Angel.
E non posso non citare le serie di Cartoon Network, come Il laboratorio di Dexter o Billy e Mandy.


Sei in nomination per il Premio "Cecchetto" come artista rivelazione al Treviso Comic Book Festival 2023. Cosa rappresenta per te questa nomination?
Per me rappresenta molto. Raccontare storie è quello che ho sempre voluto fare, e se queste storie o se addirittura il mio modo di raccontarle cattura l’attenzione di qualcuno, questo ripaga tutto il lavoro fatto.

Vedi un futuro da artista completa oppure preferiresti collaborare con qualcuno? E nel caso, preferiresti farlo come sceneggiatrice o come disegnatrice?
Mi piacerebbe ovviamente lavorare ancora come artista completa, ma mi piace anche collaborare con altri (Correte a recuperare i due antologici di BandaBendata se non lo avete fatto, ho collaborato con loro ed è stata una delle mie più belle esperienze. E poi sono dei cuori di panna pieni di talento). Trovo che avere punti di vista al di fuori del proprio, aiuti sempre a conoscere cose nuove e a vedere altre angolazioni di uno stesso punto.
Ma ancora non ho capito se mi piace più scriverle o più disegnarle, le storie. Lo realizzerò probabilmente col tempo, ma non è questo il giorno.

Hai già nuovi progetti in cantiere?
Sì! Inizio tante storie e tendo a finirne poche, ma sì, ne ho un po’ di cose in cantiere, devo capire quale possa funzionare e quale no.
In ogni caso so che resterò in giro ancora per un bel po’.

Grazie mille per la disponibilità e per aver risposto alle nostre domande.

Intervista a cura di Andrea Martinelli
(con il contributo del Sommo Audace)





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