Letture seriali: Do a Powerbomb! di Daniel Warren Johnson
Un urlo di battaglia lanciato con teatralità dal ring della Vita
Colpire Duro, Colpire al Cuore.
Volendo racchiudere in una sola frase l'intera poetica autoriale di Daniel Warren Johnson, per quanto riduttiva s'intende, penso che questa renda benissimo l'idea.
Ormai sono anni che questo valente fumettista ci delizia con le sue opere da autore completo. Penso a Extremity oppure alla Terra Morta di Wonder Woman. Ogni volta trova il modo di prendere una sua personale passione, tradurne l'anima sotto forma di Fumetto, imprimendogli potenza visiva e un sentimento autentico.
E questo ci porta a Do a Powerbomb, la sua ultima fatica, proposta inizialmente da Image Comics lungo 7 numeri, e ora da Saldapress con una delle loro edizioni cartonate di pregio, com'è giusto che sia per tanta bellezza.
Mi tradisco subito: amo DWJ, il suo stile, il suo modo di raccontare. E come già per quel gioiello purissimo di Murder Falcon (che i Saldatori hanno appena ristampato in versione Ultimate, con nuova copertina ed inediti contenuti), anche in questo caso, l'assunto di base è tanto assurdo quanto efficace, usando come Cavallo di Troia un particolare interesse dell'autore, qualcosa che da appassionato ben conosce.
Di là, era il Metal, con tutta la "colonna sonora" che si porta dietro, qui invece è il colorato, caotico, spettacolare mondo del Wrestling professionistico.
Non ne ha mai fatto mistero, sui suoi social, di questa passione, e da vero cultore, ha deciso che era il momento di prendere quella fascinazione e trasformarla in un racconto sul rapporto genitori e figli, unendo un sottotesto dai toni fantastici.
Yua Steelrose è una wrestler, ma anche una moglie e una madre. Conosce questo sport, ne conosce le regole e le rispetta, forte di un agonismo puro. A differenza del suo avversario, Cobrasun, che ricerca invece Potere, Status e Soldi, una trinità che sembra cucita addosso al personaggio perché, in cuor nostro, sappiamo che il Wrestling è anche e sopratutto messa in scena, finzione, coreografia ad uso e consumo del pubblico, che inneggia e tifa per il proprio beniamino.
Solo che la Vita ha sempre quel suo contorto senso delle cose, trova sempre il modo di scombinare le carte, e c'è una verità insindacabile, quanto dura da accettare. Non importa quanto ti prepari, non importa quanto l'esito sia predeterminato. Gli incidenti accadono.
E così, Yua Steelrose muore, improvvisamente e fatalmente, sotto gli occhi della figlia, Lona.
È lei la nostra protagonista, è lei che, una volta cresciuta all'ombra di una Leggenda come sua madre, vorrebbe seguirne le stesse orme come pro wrestler. Ma lo "Zio Blood" non vuole allenarla, fedele ad una promessa fatta a suo padre, che vorrebbe proteggerla da quel mondo, lo stesso che gli ha portato via l'amore della persona amata, e forse ora rischia di fargli perdere anche quello dell'adorata figlia.
Un incipit drammatico, ve lo concedo. Ma ecco che arriva la nota assurda, quella da comic book. Lona viene avvicinata da Willard Necroton, un negromante che le propone un patto diabolico, faustiano si potrebbe pensare: se Lona prenderà parte e vincerà al suo "Deathlife Tag Team Tournament", lui le concederà di riportare in vita Yua.
Willard è infatti un'anima condannata, che navigando nel vasto e multiversale mare, ha trovato un forte interesse negli incontri di Wrestling, qualcosa che a quanto pare accomuna molti popoli, e si possono trovare lottatori in ogni parte, luogo, tempo e spazio.
Lona vuole accettare, la posta in palio è di quelle irrinunciabili, ma ha bisogno di un partner, qualcuno che gareggi con lei. Decide così di chiedere all'unico che non le può dire di no: Cobrasun. Sì, proprio l'uomo responsabile della dipartita della donna che vuole salvare.
Insieme, i due entreranno in un reame infernale, dove i combattimenti sono reali, senza esclusione di colpi e senza alcun copione, dove tutti hanno qualcosa da perdere e una persona cara da riportare in vita. Non importa quanto sgargianti siano i costumi o altisonanti i nomi d'arte o surreali le loro fisionomie (penso agli Orangabang o ai Pizza Party).
Ognuno di loro è lì per vincere, e non intende arretrare di un solo passo, al pari di Lona e Cobrasun, che decidono di chiamare il loro team "Sun and Steel", Sole e Acciaio.
Quello che ne consegue, in un tripudio di ossa rotte, sangue a fiotti e denti digrignati con rabbia, non si può spoilerare, non si può anticipare, ma sappiate che lo straniamento della sorpresa e il suo significato più intimo, ripagheranno la scoperta, pagina dopo pagina, di come andrà a finire questa accesa, colorata e brutale competizione.
Quindi è tutto qui? Botte da orbi, Wrestling "indemoniato" con un tocco di Fantasy, e basta? Se conoscete già Daniel Warren Johnson, è sottinteso che la risposta sia un accorato "No", perché, come ormai nella sua piena cifra stilistica, Do a Powerbomb è una festa su più fronti.
Se amate il Wrestiling, come disciplina e come spettatori, ritroverete pose e mosse rese con un dinamismo fumettoso e fisico assieme, con quelle anatomie che sono proprie del disegnatore, studiate nel loro mostrare i muscoli e i nervi, nelle espressioni e persino nelle onomatopee, che sbucano dalla pagina, ne diventano parte, come fossero elementi della scena e non semplici rappresentazioni di suoni articolati, citando anche il mondo dei videogames.
Mentre, tutto attorno a voi, sembra di sentir risuonare sempre più forte il tifo del pubblico accorso per godersi un evento unico, di quelli che non si dimenticano facilmente.
Nel Wrestling domina lo spettacolo, e altrettanto si può dire dell'artista quando si siede al tavolo da disegno. Ogni tavola è Arte, ogni vignetta un momento sospeso nel tempo, prima del colpo fatale della successiva, in cui ti soffermi ad ammirare quanto impegno, tra matita e china, questo disegnatore sappia imprimere nei suoi lavori.
La violenza grafica è presente, il sangue si mischia all'inchiostro, eppure, per quanto brutali siano i combattimenti e devastanti i segni lasciati sui corpi, c'è questa sorta di contorta eleganza, di bellezza che non ti fa appunto distogliere lo sguardo.
DWJ conosce il Wrestling, ne subisce la fascinazione e l'incanto, trovando il modo di trascinare anche chi invece ne sa poco o nulla. Non è un compendio enciclopedico questo, eppure è palese che l'argomento non è estraneo a chi crede che un'idea ne ispiri un'altra, e possa sposarsi con un medium che ti permette le migliori follie così come di replicare momenti e coreografie iconiche, senza dimenticare un elemento chiave.
Esatto, il Cuore.
Si parla di eredità, in Do a Powerbomb, di legami tra figli e genitori, di volerli proteggere sin quasi a tarpare loro le ali, salvo essere lì quando finalmente decidono di volare.
La torsione dei corpi, il loro sferrare colpi violentissimi con la stessa veemenza di un anime, sono nulla, se non ci sono anche occhi che nascondono sentimenti, volti da cui partono nuvolette che sono rapide, efficacissime nel dire solo il necessario.
Solitamente, quando un disegnatore si cimenta anche con la sceneggiatura, è sempre un rischio, perché se con la matita è un fine cesellatore, con la penna possono succedere le cose più disparate, come dialoghi privi di ritmo o "spiegoni" interminabili.
Ecco, Warren Johnson ha invece quello straordinario dono della sintesi. A parlare per primi sono i disegni, che impattano sugli occhi, catturano l'attenzione, ma quando poi si vanno a leggere i balloon non si corre mai il pericolo che possa sfuggire all'amo, con il lettore che non stacca gli occhi dalla storia, la divora, salvo ritrovarsi alla fine con una strana pace, quella stessa di quando sei consapevole di aver acquistato un fumetto spettacolare.
Spettacolare nei toni, irruento nei modi, profondo nei significati: Do a Powerbomb è un urlo di battaglia lanciato con teatralità dal ring della Vita verso il Cielo beffardo, quel Destino che ci pone davanti a delle scelte, a delle decisioni e anche ai rimpianti, ai ricordi, al punto che persino sorridere può far male alle costole, spezzate da una gragnuola di colpi.
E a quel punto puoi solo arrenderti, oppure rialzarti, stringere i denti e colpire ancora più duro, usando tutto quello che hai, tutto quello che conosci, trovando una forza inattesa che non pensavi di possedere. Così il racconto diventa metafora, lezione che ti lascia dentro qualcosa, e alla fine, quando ormai sei vinto e convinto, l'ultima botta, quella del KO.
Di storie di lottatori, di confronti dentro e fuori dal ring, ne è pieno il cinema, ne è piena la narrativa, anche animata (devo davvero fare degli esempi?), e Do a Powerbomb sta lì, al loro fianco, con la stessa dignità, con lo stesso viso sanguinante, dove il sudore si mischia alle lacrime, con la stessa bellezza artistica e quel solco che sa scavare, sia in chi ama questi racconti, sia in chi apprezza questo autore, sia in chi prova ammirazione per le potenzialità della Nona Arte.
Daniel Warren Johnson ha affrontato per primo il nemico sul ring, l'ispirazione inafferrabile che si nasconde in tutte le belle storie. L'ha dominata armato di penna e matita, lo scontro è stato duro, ma bellissimo da guardare, con movimento, emozione, sino alla presa finale.
A quel punto, l'autore solleva una mano verso noi lettori, invitandoci a prendere il suo posto sul ring, per porci di fronte a quell'ispirazione, a quella storia e al suo messaggio. Potreste dubitare, rimanere titubanti sulle corde, ma fidatevi di lui, se non di questa mia recensione, e allungate quella mano in risposta: non ve ne pentirete!
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