Letture seriali: I Maestri dell'Orzo di Jean Van Hamme e Francis Vallès

Quando la Storia diventa storia, rimanendo Maiuscola

Doveva succedere, prima o poi.

Di parlarvi de I Maestri dell'Orzo, intendo. Perché, in una rubrica che s'intitola Letture seriali, che ricerca quell'intersezione tra Fumetto e ben altra "serialità", è quasi doveroso parlare di un'opera la cui nascita e sviluppo passa dal piccolo schermo, si fa Bande Dessinée e poi ritorna a quel televisore verso cui era destinata.

E per quanto questo mio spazio su Gli Audaci sia forse troppo umile per contenere i nomi di due autentici Maestri, non del luppolo ma della Nona Arte, come Jean Van Hamme e Francis Vallès, questo Viaggio nel Tempo merita di essere consigliato, una volta di più a chi già lo conosce, ma mai abbastanza per chi invece non sa chi siano gli Steenfort.

A darmene l'occasione, il corposo balenottero edito da Mondadori qualche tempo fa nel suo catalogo Oscar INK, e che raccoglie l'intera saga.

Corposo e Completo, aggiungerei, perché questo volume cartonato contiene anche il "Capitolo VIII", la sfiziosa appendice, tra metanarrazione in prosa e scene inedite, dedicata alla traduzione di questa epopea in un libro.

Ma non corriamo, camminiamo piuttosto, come in una placida domenica tra le vie di Dorp, il teatro principale della nostra vicenda, che ha inizio nel lontano 1854.

Quella de I Maestri dell'Orzo è una storia che parla di Famiglia e di Birra. L'universalità della prima che s'incrocia con la tradizione della seconda, sullo sfondo della grande Storia.

In una torrida estate nelle ardenne belghe, il giovane frate Charles sta facendo il bagno nel fiume. Il casuale incontro con la bella Adrienne cambierà la sua vita, facendogli conoscere l'Amore e capire la sua vera vocazione, la stessa per cui era così apprezzato, e tollerato, al monastero, nonostante il suo scarso impegno nell'imparare le Scritture e il latino.

Charles conosce la birra, come si realizza e cosa serve per renderla particolarmente pregiata e gustosa, un segreto che sarà destinato a tramandarsi di generazione in generazione.

Un segreto che sarà la chiave di volta del suo successo, perché lasciata, obtorto collo, la vita da monaco e fuggito con Adrienne, Charles tornerà a Dorp, nel Brabante, suo paese natale, ritrovando un vecchio amico, Franz, e con lui produrre una birra così buona da attirarsi le antipatie prima e le attenzioni poi, del signorotto locale De Ruiter, sino a quel momento monopolista nella produzione della tanto diffusa bevanda alcolica.

Ha così inizio un grandissimo racconto popolare, una storia che si svolgerà lungo generazioni, accompagnandoci sino ai giorni nostri, un caso più unico che raro nella Storia del Fumetto, e che si mette sullo stesso piano della grande tradizione di romanzi come I Buddenbrook di Thomas Mann, dove il protagonista non è solo uno, ma un'intera famiglia, con i loro caratteri, i loro volti destinati ad invecchiare, i loro corpi destinati a morire (non sempre per cause naturali) ma il loro ricordo pronto a definire la rotta dei discendenti.

È questo a rendere I Maestri dell'Orzo un'opera così importante. Il modo in cui rende appassionante quella che sarebbe la cronistoria di una famiglia, un excursus delle vicende umane e fallibili di persone la cui fortuna, spesso benevola se non di quando in quando beffarda, risiede nella produzione, artigianale prima, industriale infine, della birra.

Due cose in apparenza semplici, quasi scontate e per nulla idealmente interessanti che, unite insieme, si trasformano in un'epopea che non si riesce a posare sino all'ultima pagina, rispettosa di un genere che ha sempre conosciuto ben altra fortuna in altri medium.

In varie forme e desinenze, infatti, il racconto familiare ha sempre avuto una particolare attrattiva verso il pubblico televisivo, e per fare un esempio, senza andare troppo a scomodare il passato, penso oggi al meritato plauso che ottiene una serie come Succession, con al centro la sua complessa(ta) Famiglia Roy e l'impero multimiliardario che ne muove i destini, i rancori e i sentimenti, quelli sempre immutati nel tempo.

E come ho scritto all'inizio, è proprio per il piccolo schermo che nasce Les Maîtres de l'Orge, e concedetemi, quasi come un Inception, un piccolo excursus storico all'interno di un excursus su una serie che parla di Storia: siamo nel 1980, e la TV nazionale del Belgio ha intenzione di produrre uno sceneggiato di grande respiro in collaborazione con la propria omologa francese. Commissiona così a Van Hamme l'ideazione e la sceneggiatura di questa potenziale epopea, e così nasce la Famiglia Steenfort. Solo che, tra il dire e il fare c'è il solito mare tumultuoso di mezzo, e che qui fa rima con "privatizzazione della TV belga".

Il progetto viene così accantonato, ma non l'idea che, messa nell'altrettanto proverbiale cassetto, verrà tirata fuori dallo scrittore una decina di anni dopo, ed eccoci, nel 1992, alla pubblicazione del primo volume de I Maestri dell'Orzo, per i disegni di Vallès.

Un'opera atipica, se si considerano le precedenti di Van Hamme, titoli come Thorgal, XIII e Largo Winch (bazzecole, insomma, detto con ironia), ma che proprio il grande successo di queste, gli ha consentito di poter realizzare, e ancora una volta la maestria della sua penna non ha lasciato dubbi.

Perché questa non è una vicenda che tocca solo una particolare famiglia, ma un'intera cittadina, Dorp, e di riflesso un intero paese, con le sue rivoluzioni, le Grandi Guerre e tutta una evoluzione di usi e costumi che ha segnato il passare del Tempo.

Non è un caso, infatti, che ogni "volume" si apra con una panoramica dall'alto di Dorp, che ce ne mostra i cambiamenti e l'ampliamento, a cui poi fa seguito un'enorme didascalia che ci riassume i fatti salienti dal Libro di Storia, per così meglio concentrarsi sulla propria, di storia, e questa alternanza di maiuscola e minuscola, l'avrete ormai capito, è l'ossatura principale su cui poggia tutta l'epica degli Steenfort.

Non manca infatti nulla, e Van Hamme stesso si premura affinché sia così, abile manipolatore di quella malleabile materia che sono le parole. I dialoghi sono puntuali, precisi, dicono solo quello che devono e lasciano fuori particolari indizi, a cui il proseguire con la lettura darà necessaria soddisfazione. I personaggi cambiano, invecchiano sotto i nostri occhi (cosa rara nel mondo del Fumetto) e muoiono, ma è tutto ciò che fanno nel mezzo a renderli vivi, tridimensionali. Rimangono infatti vittime di passioni, desideri, rancori e malanimi, disposti al sacrificio e persino all'umiliazione, pur di mantenere uno status di benessere e garantire l'esistenza di un birrificio destinato a diventare Impero.

Mi piacerebbe dire che tutti i personaggi rimangono impressi allo stesso modo, e in parte è vero, ma penso di potermi sbilanciare ed affermare (e qui cerco l'appoggio di chi già conosce questa monumentale opera) che la figura di Margrit si staglia su tutti.

Questa donna, il suo passato, il suo presente e quella che poi sarà quasi una redenzione agli occhi di noi lettori, rendono chiaro quanto ancora una volta il Fumetto sappia creare narrazione pura, quanto l'unione di parole ed immagini sia capace di imporsi al pari di un romanzo o di tutti gli altri medium, nel regalare emozioni autentiche, scavando un solco incancellabile nel nostro immaginario.

C'è un certosino lavoro di ricerca storica, è indubbio. Lo si percepisce ammirando le tavole di Vallès, che alla linea chiara e pulita accompagna un realismo definito, in ogni volto e ruga dei protagonisti, ma anche nei palazzi, nelle case, nei mezzi di locomozione come negli oggetti e nei vestiti. Tutto evolve, cambia, muta. Siano essi dei pantaloni o le dinamiche politiche e sindacali di una nazione, nulla rimane uguale a prima.

E ogni dettaglio contribuisce a regalare atmosfera, persino un sonnacchioso gatto su uno sgabello.

Eppure, proprio per quella universalità che ci rende tutti uguali sotto all'enorme volta del cielo, certi sentimenti, certi tradimenti, certe pulsioni e desideri, carnali e di rivalsa, sono sempre quelli, sono ciò che ci contraddistingue, ognuno di noi, e per questo, rivederli in questa storia ce la rende così immediata, così ricca di fascino senza bisogno di sospendere la nostra incredulità.

Qui non si tratta di seguire un agente segreto che ha perduto la memoria, oppure un orfano di un altro pianeta cresciuto dai vichinghi. No, qui si tratta di persone come me e voi, magari non dello stesso ceto sociale, eppure, tolta la patina di acquisizioni, sfide societarie e manovre industriali e debitorie, quello che traspare è un realismo che riesce ad elevare il "popolare" a straordinario, a rendere grande il racconto di una dinastia di birrai.

Unito ad una sapiente mano che sa donare suspence a tutto questo, e intendo proprio quella particolare apprensione che ti lega ai personaggi e temere per il loro destino. Perché proprio come la Vita, e la Storia, sai bene che la Morte qui è scontata, persino.

Ogni "capitolo" è uno squarcio in un tempo presente, in un particolare anno, che è figlio del suo passato, delle sue "puntate precedenti" e al tempo stesso genitore di quello successivo, perché pone le basi per quei cambiamenti che troveremo solo svariate pagine dopo, quando la matita di Vallès ci ripresenterà gli stessi personaggi, solo più vecchi, solo forse più saggi.

È anche questo il "bello" del Fumetto rispetto al piccolo (o grande) schermo: laddove servirebbero ore di make-up e ceroni vari, oppure un repentino cambio di attori (chi segue The Crown o House of the Dragon sa di che sto parlando, in effetti), qui basta solo che il disegnatore conosca il proprio mestiere, che sappia mutare quel volto in uno più vecchio, con le sue rughe, ma anche le sue cicatrici, attori e attrici che continuano a muoversi su un palcoscenico che cambia non solo la scenografia, ma anche loro stessi.

Così come noi non siamo gli stessi delle nostre vecchie fotografie, così è per gli Steenfort, anche se, appunto, siamo sempre noi, quello è il nostro passato e il riflesso sullo specchio il nostro presente, e conoscere e garantirsi un futuro, è il ritmo che fa scorrere la clessidra, e le pagine di questo volumone.

C'è una crescita, costante quanto inevitabile, di tutti i personaggi, che attraverso la vita, quotidiana ed eccezionale come sa essere solo lei, maturano sotto i nostri occhi, fisicamente e mentalmente, proprio perché niente e nessuno rimane uguale, inscalfibile.

Tutto questo crea un'attrattiva incredibile, Capolavoro che rimane alla portata di tutti, e che sa come chiudere il cerchio, narrativamente certo, ma anche tornando da dove è iniziato tutto.

Il mio excursus nell'excursus non era infatti finito.

Perché I Maestri dell'Orzo, una volta raggiunta la giusta e obbligata popolarità e plauso, è in effetti diventato, infine, una serie televisiva, proposta in due parti da tre puntate ciascuna, a metà Anni '90 dalla televisione belga, e non solo.

Proprio per la grande tradizione da romanzo a cui idealmente si appoggia, sempre in quegli anni sarebbe anche stato trasformato in prosa, con due libri.

È proprio questo a rendere così sfizioso il "Capitolo Finale" dell'edizione omnibus Mondadori. La storia degli Steenfort, infatti, si conclude idealmente con il VII, perfetto epilogo del Fumetto. Ma in un gioco tra finzione, realtà ed ironico sorriso del proprio autore, ecco che l'ottavo ci mostra proprio la nascita del romanzo, la nascita di un libro su questa casata, attraverso gli incontri del suo scrittore con gli attuali discendenti, e il cui successo, così ci viene raccontato, si è poi trasformato in una serie televisiva.

E tra le pagine in prosa, i due fumettisti inseriscono, come in un ideale "contenuto speciale" d'occasione, delle scene inedite, delle scene "tagliate" che ampliano alcuni dei passaggi più memorabili.

Ancora una volta, uso il termine "corto circuito" per indicare questo tipo di meraviglioso divertissment che gli autori, siano essi televisivi, cinematografici o appunto della Nona Arte, sanno concedersi, proprio per via dell'elettricità che sanno imprimere a qualcosa che, a prima vista, sembrerebbe non necessario, ed invece accompagna in maniera perfetta il corpus principale.

I Maestri dell'Orzo è un assoluto Classico, e non mi spingo certo a dire che dopo non guarderete più una pinta di birra con gli stessi occhi, ma di sicuro, posso arrischiarmi nell'affermare che è una di quelle letture che vanno fatte, almeno una volta, se si ama il Fumetto tutto, sia che lo chiamiate Bande Dessinée, Historieta o Manga.

A voi decidere se leggerla tutta d'un fiato o sorseggiarla, ma attenzione, perché come ogni bel Fumetto può dare dipendenza e garantire una certa ebbrezza, ma in questo caso, potete permettervi questo piacere "irresponsabilmente"!

Il Nerdastro


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