L’ombra non è mai così lontana: la necessità (e la complessità) del ricordo
L’ombra non è mai così lontana: ce lo ricorda immediatamente Primo Levi con un brano tratto da Se questo è un uomo: “In tutte le parti del mondo, là dove si comincia col negare le libertà fondamentali dell’Uomo, e l’uguaglianza tra gli uomini, si va verso il sistema concentrazionario, ed è questa una strada su cui è difficile fermarsi”.
Subito dopo, in questa sua nuova opera targata Oblomov, Leila Marzocchi inserisce tre immagini per ricordare Italia 2018, USA 2018 e Libia, oggi suggerendo che l’ombra – drammaticamente - non è mai così lontana.
Così il lettore inizia un percorso di consapevolezza che non può lasciare indifferenti. “Tacere è veleno per se stessi, raccontare è un dovere morale, una terapia”, scrive Edith Bruck nella postfazione.
Tra graphic novel e raccolta illustrata di testimonianze, citazioni e documenti, questo volume unisce fatti personali alla memoria collettiva, la storia della zia Dina a quella dei sopravvissuti alla Shoah e affronta con sensibilità la necessità e al tempo stesso la fatica del ricordo.
E proprio partendo dalla storia di prigionia della zia, a lungo taciuta perché “non se ne deve parlare… lei non vuole”, la Marzocchi inizia il suo racconto sul significato del silenzio dei testimoni e sui meccanismi della memoria - “per quanto se ne sia scritto e parlato, in tanti hanno taciuto perché non c’erano nemmeno le categorie mentali per descrivere una tale esperienza” - intrecciando le proprie considerazioni alle parole e ai racconti di Edith Bruck, Liliana Segre e Simon Wiesenthal.
Il lettore condivide con attenzione ed intensa partecipazione il percorso di comprensione, costruito con bravura indiscutibile e precisi riferimenti alle fonti.
In questo libro denso, profondo ed emozionante ripercorriamo le tappe di quella “storia” costruita sulla pura e immotivata violenza ma anche la vita di Simon Wiesenthal, il cacciatore di Nazisti, che fino alla fine dei suoi giorni andò in cerca di giustizia e non di vendetta, con un rigore morale fuori dal comune.
Ascoltiamo la voce di Dina, con la sua inflessione dialettale, e finalmente sentiamo il rumore che fa rompere il silenzio con questa donna che nonostante tutto “non si rappresenta mai come vittima”.
Un libro che parla a tutti, che mostra e dimostra quanto possano essere utili e efficaci le immagini disegnate. E che soprattutto induce alla riflessione sulla possibilità che le cose successe e raccontate possano tornare ad accadere.
Concludiamo con le parole di Edith Bruck: “si deve gratitudine a Leila Marzocchi e alla sua mano parlante”. Non possiamo che essere d’accordo.
Francesca Capone