La sindrome di Leonardo, la riflessione di Rosenzweig sulla creatività
La sindrome di Leonardo, nuova opera di Maurizio Rosenzweig per Feltrinelli, è una riflessione sincera e agrodolce, con parentesi oniriche, sul mestiere di creare storie, sulle luci abbacinanti e sulle ombre tenebrose del mondo del fumetto.
Il talentuoso protagonista, Leonardo Levitsch, è un fumettista che, a 25 anni dalla sua unica opera di successo, ha un lavoro come insegnante di fumetto ma deve affrontare le inquietudini creative e i personaggi fantastici partoriti dalla sua immaginazione, i quali lo spronano a ritrovare un senso per la sua arte e la sua vita e a non sprecare la risorsa più importante che ha a disposizione: il tempo. Andando avanti nella lettura, scopriamo il prezzo che Leonardo ha dovuto pagare per quel suo unico successo, lontano nel tempo, portandoci a comprendere quanti demoni possano nascondersi dietro un processo creativo, tra rinunce, sacrifici e compromessi.
Destreggiandosi abilmente tra citazioni, riflessioni profonde e omaggi (su tutti, quelli a maestri della nona arte come Alex Raymond, Jack Kirby, Will Eisner e Art Spiegelman), Rosenzweig ci conduce in un viaggio attraverso i meccanismi che si innescano nella mente di un autore quando deve dar vita a una nuova storia. Assistiamo alla nascita di racconti racchiusi in poche pagine, idee che traboccano dalla sua mente, dell'horror al folklore, dal supereroistico al graphic novel metaforico con riferimenti alla realtà. Storie a volte solo abbozzate, a volte semiautobiografiche, che trasformano la realtà in materiale da raccontare, senza mai davvero soddisfare l'autore fino in fondo, preda di quell'irrequietezza che sembra non abbandonarlo mai.
Il blocco dello scrittore è rappresentato con vivida schiettezza, in maniera paradossalmente fantasiosa e immaginifica, senza paura nel mostrare i meandri di un percorso tenebroso dentro di sé. Il tentativo di trovare ispirazione un po' dovunque e di sondare strade differenti che magari non portano a nulla, la ricerca di consensi continui, anche da parte di sconosciuti, la pressione costante di essere sotto il giudizio di chi legge, lo sguardo schiacciante di chi potrebbe non apprezzare una storia... Insomma, il continuo confronto tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, in un circolo vizioso di perenne insoddisfazione. Un "complesso di inferiorità verso la vita", come lo definisce l'autore, che caratterizza anche la professione del fumettista.
Ci si ritrova a chiedersi a cosa sia riferita la "sindrome di Leonardo" del titolo. Una sorta di sindrome di Stoccolma, per cui ci si innamora del lavoro che ci rende schiavi? O una sindrome che colpisce chi viene costretto dalla propria fantasia (e dai personaggi che inventa) a continuare a dare una forma tangibile a ciò che ha dentro? O, infine, una sorta di "sindrome dell'impostore", quell'incessante convinzione di non meritare il successo ottenuto, di non avere quel talento che gli altri magari ci riconoscono ma che non si riesce a intravedere in noi stessi?
Illustrazione di Rosenzweig per Tuttolibri di La Stampa. |
Una storia così tanto reale, anche nelle sue incursioni oniriche, da rendere facile immedesimarvisi, non solo per chi si occupa nella vita di narrare storie, ma per chiunque abbia il timore di non avere un talento, di non essere nulla di speciale. In questo senso, Rosenzweig riesce a incarnare il valore universale delle insicurezze e dei timori contemporanei in modo brillante e incredibilmente efficace.
Molto ricca di spunti è la componente grafica. Le tavole di Rosenzweig mostrano una notevole varietà e affermano il desiderio costante di sperimentare, assecondando lo stile alle esigenze della narrazione e cambiando registro e tecnica in funzione di ciò su cui il protagonista/narratore desidera elucubrare. Accanto alle tavole caratterizzate da un'inchiostrazione certosina, fatta di ampi tratteggi, troviamo così tavole interamente a matita, ampi spazi/vignette bianchi, scene con l'aggiunta di un colore (il rosso) e, anche e soprattutto, pagine in cui Rosenzweig reinterpreta, non senza una certa ironia, lo stile dei succitati mostri sacri del fumetto (da Raymond a Kirby, passando per Eisner e Spiegelman, questi ultimi in un frangente persino fusi in un unico grande omaggio).
Una libertà compositiva che si esprime anche in tavole dalla struttura molto varia, che spesso hanno pochi dialoghi e poche vignette, per donare fluidità al ritmo del racconto e rendere tutto più ampio. Enorme come il senso di vuoto del protagonista davanti a una nuova storia ancora da creare, davanti all'incubo della pagina bianca. Quasi come se tutto questo fosse un'unica grande seduta di psicanalisi per tirare fuori tutto ciò che si ha dentro, con grande coraggio e incredibile sincerità.
Un racconto maturo, ricco di spunti e idee, frammentario come la vita, intenso come la confessione di un amico, imperdibile come quelle pagine che sai di voler rileggere per poterne cogliere ogni sfumatura.