Essentials: Daredevil di Mark Waid

Un ritorno alle origini che è anche una ventata d'aria fresca

Sul fumetto, ho scritto più di qualche parola nella mia carriera, e ho espresso alcune opinioni. Certo, alcune più controverse di altre, alcune un po' troppo rigide nella loro essenza, ma poche mi sembrano vere come l'assioma che i fumetti belli rovinino tutto.

Oggi, infatti, l'idea è quella di parlare del ciclo di Mark Waid, Marcos Martin, Chris Samnee et Al. su Daredevil, l'avvocato cieco della Marvel, una delle creature Marvel più interessanti sia per quello che fa sulla carta sia per le vicende che l'hanno colpita da fuori. Ma per farlo, prima bisogna fare un passo indietro. E non fate quella faccia, a meno che questo non sia il vostro primo viaggio nella rubrica Essentials, sapete benissimo che io per dire “Questa cosa è bella” ho bisogno di almeno 5mila parole di contesto, sono un fumetto Marvel anni 60 in forma umana, guardatemi e tremate!

Daredevil nasce nel 1964 per penna di Stan Lee e matite di Bill Everett, un veterano del fumetto americano, creatore fra l'altro di uno dei primi eroi superstar della Marvel, Namor il Sub-Mariner.

Va detto però che Everett non era il disegnatore più veloce del West e la collaborazione con Lee scricchiolava, tanto che il lancio di questo nuovo personaggio, che sarebbe dovuto avvenire nel 1963, verrà posticipato all'anno successivo, e nello slot pensato per la sua serie ne verrà inserita una “riempitiva” nota come The Avengers. Chissà se avranno mai successo.

Fatto sta che Daredevil faticava ad ingranare, la serie cambierà disegnatore con una certa velocità (citiamo per amor di cronaca il breve periodo in cui il nostro era illustrato da Wally Wood, l'uomo che Jack Kirby, il Re dei fumetti, chiamava Sua Maestà a sua volta, ma anche il tizio che diede al personaggio il suo unico costume rosso) e negli anni la serie non sarà proprio la più amata della produzione Marvel.

D'altronde, le prime avventure di Daredevil, per il lettore più affezionato, sembravano delle simpatiche ripetizioni: il nostro eroe era un avvocato reso cieco da un fluido radioattivo, dotato di supersensi che combatteva il male in modo scanzonato e facendo battutine, insomma, era l'Uomo Ragno ma con un lavoro vero.  E sapete meglio di me, che nel cuore del grande pubblico, praticamente nessuno vince contro l'Uomo Ragno.

Ma anche i diavoli hanno dei santi in paradiso, e Dareveil sarà poi benedetto dalla mossa segreta dei personaggi di serie C, ovverosia che alla casa editrice poco importa che cosa ci fai, basta che li fai vendere un poco di più, e sarà affidato ad una giovane rockstar del fumetto chiamata Frank Miller, che col suo ciclo sul personaggio lo rivoluzionerà, mettendo moltissima enfasi sul lato umano del personaggio, le sue responsabilità e il suo essere effettivamente un pesce piccolo, in un mondo di giganti.

Ecco, tutto questo per dire, che se vi avvicinate a qualunque ciclo di Daredevil post-Miller, con due eccezioni, tutto il Daredevil che leggerete... sarà questo. Certo, con alti e bassi, con team creativi che hanno preso la visione di Miller e l'hanno fatta loro, creando storie ancora più belle, con altri che avevano idee strane tipo far riprendere la vista a Daredevil e farlo combattere il male in Francia, ma fondamentalmente, se Daredevil sorride, per molti lettori, non è Daredevil.

E, sebbene ovviamente il ciclo di Miller sia da strapparsi i capelli per quanto riesca veramente a rendere quello che scrive un mondo fuori dalla finestra fatto di freddo e neve, di conseguenze reali che il freddo e l'essere fragili hanno su un essere umano... non siamo qui a parlare di quel ciclo. Noi siamo qui, a parlare di ricostruzione e di una mossa molto, ma molto semplice: cosa succederebbe se Daredevil volesse tornare alle sue origini? Cosa potrebbe succedere ad un uomo sulla cui vita il destino ha sputato così tante volte da farlo affogare, se decidesse di essere un po' scavezzacollo?

Questa è la domanda che si fa Mark Waid, insieme al suo team di artisti, nel 2011 quando rilanceranno la serie facendo qualcosa di inedito: unire il vecchio ed il nuovo e dare nuova linfa a Daredevil.

La premessa di questo nuovo ciclo è tanto semplice, quanto efficace: siccome sono anni che gira una leggenda urbana più o meno vera che sotto la maschera del nostro vigilante in rosso si nasconda l'avvocato Matt Murdock, il nostro eroe ed il suo miglior amico Foggy Nelson fanno fatica ad avere nuovi clienti, fino a quando non decidono di provare una strategia nuova, e di aprire uno studio di consulenze che può aiutare chiunque a difendersi da solo in tribunale.

Nel frattempo, Daredevil entra in possesso di un sofisticato Hard Drive che contiene dati sensibili di tutte le organizzazioni di supercriminali dell'universo Marvel, deve continuare a negare di essere un supereroe, e scopre che Foggy ha il cancro. Perchè va bene essere felici, va bene prendere la vita con un sorriso, ma la vita a volte sul quel sorriso ci deve per forza sferrare un pugno diretto.

E questo è solo l'inizio di un viaggio lungo 54 numeri, che come tutte le testate regolari avrà una serie di alti e bassi (legati anche al fatto che in qualche occasione Daredevil dovrà essere inserito nei crossover del momento, ormai pratica consolidata delle grandi case editrici di supereroi) ma con molti più alti che bassi.

La narrazione di Waid (ed in seguito di Samnee, che dal numero 33 diventerà anche co-sceneggiatore) è tanto semplice quanto ricercata: non solo i suoi dialoghi sono rapidi e precisi, con una dose di umorismo sempre divertente (avrete sicuramente visto almeno tre vignette di questa serie, anche solo per i meme che ha generato, che me ne rendo conto non stia nel “ricercato”, ma viviamo in tempi interessanti), ma anche la sua rete di narrazione è ampissima, e preparata, con tutta una serie di indizi e rimandi a trame future e passate che si incastrano alla perfezione in un mosaico interessantissimo.

Ogni singolo numero di questo ciclo riporta in auge concetti ed idee della storia di Daredevil in modo assolutamente organico, in modo da potere esser compreso anche da un lettore che non si è mai approcciato al personaggio, e anzi, spingendo sapientemente il lettore a volerne scoprire di più, e creando al contempo un concetto sempre più vivo di un universo condiviso dove idee o concetti non svaniscono se nessuno li guarda.

Calibrando nel modo più giusto vecchi nemici storici, vecchi nemici dimenticabili, e nuovi personaggi che arricchiscono il cast della serie, ogni attore di questa pièce su carta si muove su più piani, risultando estremamente tridimensionale e convincente.

Grazie a questo ritorno alle origini, e questa misura nell'uso del mezzo e della storia pregressa del personaggio, il cambio di tono nelle storie non risulta forzato, o nostalgico, ma riesce ad essere una vera e propria ventata d'aria fresca, che rispetta non solo la tradizione antica del personaggio, ma anche quella moderna, riuscendo nell'impresa titanica del non lasciare nessuno escluso: chi amava leggere le storie di uno spaccone con un lavoro, e chi amava leggere che un'uomo senza speranza è un uomo senza paura.

Tutto questo, unito ad un comparto grafico d'eccellenza, che nella miglior tradizione Daredevilliana sarà gestito da una sequela di maestri uno dietro l'altro, da Paolo Rivera a Marcos Martin, passando per Marco Checchetto a Khoi Pam e Mike Allred, fino ad arrivare a Chris Samnee, che sarà poi il disegnatore semiregolare della serie.

In generale però, il tono verrà settato fin dai primi numeri: la serie avrà quasi sempre due livelli grafici: quello che vediamo noi, persone vedenti, e quello che vede Daredevil con i suoi superpoteri. Le variazioni sul tema del “come veda il mondo” il nostro eroe saranno molteplici, ma tutte più che interessanti, quasi ipnotiche, in una sorta di mondo oscuro animato da onde concentriche che mimano il senso radar del nostro protagonista, all'uso sempre furbo delle onomatopee, in modo da creare nel lettore dapprima un senso di straniamento, poi di familiarità, e di nuovo straniamento quando Daredevil si ritrova confuso, o colpito.

Ci sono scene in mezzo alla pioggia, che mi sono stampato nel cuore, ci sono scelte anche semplicemente in un colore che cambiano completamente tutto.
Sembrava impossibile, perché il fumetto è un  banalmente un medium solo visivo, ma giocando con la nostra percezione, il team artistico rende tutto più tangibile, più udibile, ogni fischio, ogni sibilo, nella grande impresa di raccontarci un qualcosa in bilico fra l'impossibile e quello che alcuni affrontano tutti i giorni: un modo diverso di vedere le cose. In questo caso, letteralmente.

Tutto questo apparato grafico lo fa con una tale semplicità, che quando si nomina un colore, allora anche tu lettore rimani un po' fuori da te stesso, e scopri che forse quel colore non è lì per caso, ma non l'avevi notato, perchè ti eri immedesimato perfettamente nel nostro protagonista, e questo, se lo chiedete a me, è un sintomo di grande fumetto.

Ovviamente, se chiedete a me, che sono un Kirbyano più che di ferro, vi dirò che il numero di questa serie disegnato meglio è quello di Mike Allred, che riesce a catturare da sempre più di praticamente qualunque altro artista sul mercato quel mondo anni 60 che esiste solo nella nostra fantasia, ma la regia di Samnee è veramente un qualcosa di oggettivamente senza senso per quanto precisa ed è facilissimo capire perchè Waid gli abbia chiesto di co-sceneggiare: quello è un uomo di grande, grandissimo talento. Tutti in questo parco artisti lo sono, e non sempre succede.

E sotto tutta questa patina di ricerca, di voler tornare indietro, di colore, alla fine, c'è la tragedia, la tragedia che è ormai parte fondamentale della storia di Daredevil, dalla quale non si può sfuggire: quella sinfonia sottile che ti sussurra che forse questa volta andrà bene, che forse questa volta un lieto fine è possibile, ma invece, purtroppo, il mondo crolla di nuovo. Sopra di te. E lo fa ancora, e ancora, e ancora.

La vita di Matt Murdock e di Foggy Nelson viene presa, gestita, e ribaltata su se stessa, mentre queste due amici che sono praticamente fratelli vedono il loro futuro sgretolarsi di fronte ai loro occhi, e provano disperatamente ad aiutarsi a vicenda, capendo che alla fine di tutto, l'unica cosa che puoi fare per qualcuno che sta male, è essere lì per lui, fino alla fine.

Trovo sempre bellissimo quando un fumetto riesce a coniugare il suo messaggio con tutto il resto di quello che ha raccontare, perchè non è semplice. Forse, proietto su chi scrive le mie insicurezze, e le mie ansie, d'altronde io ci metto 5mila parole per dare un giudizio, racconto le minuzie di ogni singolo fatto, solo perchè fondamentalmente ho molto paura di non essere compreso quando parlo, di non essere capito, o che chi mi legge possa sentirsi fuori posto o lasciato da parte.

Ma poi, poi mi capitano questi fumetti, che in mezzo alle botte, alle esplosioni e alla funamboliche acrobazie di un pugile in pigiama, inseriscono una fortissima e studiata lezione di Pedagogia con la P maiuscola, “solo quando ti esponi per gli altri, sei senza paura”.

E allora, tutto passa. Ed in silenzio guardo lo schermo del pc, e so che qualcuno questo fumetto lo leggerà, ed ignorerà che per molti il ciclo bello, quello essenziale è un altro. E ignorerà che le storie vecchie sono vecchie e muffose. E dopo averlo letto, capirà perchè questo fumetto va letto.

Eh sì, in effetti pure Karl Kesel ci aveva provato a fare quello che fece Waid, quasi 15 anni prima. E lo fece bene, ma non ebbe grande successo. Recuperate anche lui, che se lo merita.
Non abbiate paura. Non avete niente da perdere.

Giovanni Campodonico


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