Una sola, grande (storia sulla) Cosa

Walter Mosley, Tom Reilly e Jordie Bellaire firmano un volume senza tempo che è già un classico

Prendi un celebre romanziere di talento, lo fai collaborare con uno degli artisti più eleganti in circolazione (accanto a una delle coloriste più apprezzate del settore) e gli affidi il personaggio più amato della Prima Famiglia della Marvel.

Il risultato è Una sola, grande Cosa, splendido volume autoconclusivo dedicato a Ben Grimm, che raccoglie i sei numeri della miniserie The Thing, ambientata nel passato e libera da vincoli con la continuity recente (in cui invece Ben è sposato con Alicia Masters e ha adottato due bambini alieni).

È un viaggio che pone il figlio preferito di Yancy Street in situazioni interessanti e variegate: il suo sentirsi isolato e le sue piccole grandi tragedie esistenziali virano verso un plot fantasioso e sorprendente, che esplora sì l'interiorità ma anche gli abissi stellari, mettendo in campo entità misteriose, nuovi amori e vecchie conoscenze.

Walter Mosley, scrittore afroamericano di gialli e racconti metropolitani, è qui al suo esordio per la Casa delle Idee, ma dimostra un'antica e viscerale passione per i Fantastici Quattro e per Ben Grimm in particolare, da lui ritenuto l'emblema della diversità e del non essere compresi dal mondo circostante: un eroe tragico, dal cuore grande.

Queste caratteristiche, così come il caratteraccio e la capacità di non arrendersi mai, dipingono un personaggio tridimensionale e colmo di sfumature, al centro di un racconto ricco di colpi di scena, che mantiene viva l'attenzione e sa accendere costantemente l'immaginazione. Anche i comprimari trovano il loro giusto spazio e hanno modo di evolversi durante il racconto. Mosley dimostrando dunque una buona padronanza del mezzo e una capacità di gestire con efficacia la narrazione nel corso dei sei capitoli.

Parte del merito della riuscita di questo volume va a Tom Reilly. Ben più di una promessa, Reilly è ormai libero dai paragoni inizialmente utilizzati da molti per descrivere facilmente il suo stile (su tutti, le somiglianze stilistiche con Chris Samnee, artista che ha fatto scuola con la sua padronanza del tratto sintetico e con la sua grandiosa gestione di luci e ombre). Reilly, che in questi giorni è approdato di nuovo in libreria da noi con un volume dedicato ad Ant-Man (su testi di Al Ewing), è in grado al contempo di risultare nostalgico e moderno, percorrendo una via che lo rende semplicemente perfetto per incarnare lo spirito di questo racconto.

Se infatti in alcune scene rievoca esplicitamente i giganti che lo hanno preceduto (su tutti, l'unico e il solo Jack "The King" Kirby), d'altro canto il layout, il dinamismo e il ritmo scandito dalle sue tavole dimostrano un gusto squisitamente contemporaneo, che evita di ingabbiare questa storia in un eterno e invalicabile sapore retrò rendendola semplicemente un racconto senza tempo.

In questo è di eccezionale supporto l'impeccabile lavoro ai colori di Jordie Bellaire, considerata (a ragione) una delle coloriste di maggior talento del comicdom statunitense odierno: asseconda e impreziosisce le tavole, dona profondità ai personaggi e rende più leggibile il tutto, garantendo una qualità indiscussa.

La cover del quarto numero, in cui Tom Reilly
cita esplicitamente Jack "The King" Kirby.

Insomma, un grandioso omaggio al personaggio e ai suoi ideatori, a un'epoca sempreverde del fumetto e a un modo di immaginare personaggi e storie di cui abbiamo ancora estremo bisogno. Una storia talmente bella che rimane solo da chiedersi... perché tanti personaggi Marvel hanno una loro serie regolare e la sempre amabile Cosa dagli occhi blu invece no?

(Giuseppe Lamola)



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