L’ultimo viaggio delle ragazze di Tsukumizu
«Una volta la Terra era un unico grande organismo. E quindi… cos’è diventata ora?»
Una città deserta e in rovina, palazzi sventrati e disabitati, macerie ovunque. E poi il bianco della neve, il grigio del cemento e del metallo. Carri armati abbandonati, armi e munizioni in abbondanza. In questo paesaggio desolato, tra le ferite di una guerra di un passato indefinito, Chi e Yu viaggiano con il loro Kettenkrad, il loro fidato semicingolato, alla ricerca di cibo e – soprattutto – di un senso.
Un senso che sembra essersi perso insieme a tutto quello che manca per le strade: non si vede anima viva, né esseri umani né altri animali. Il mondo non ha solo perso la sua forma, sembra sia stata cancellata ogni traccia di civiltà. Anche le nostre due protagoniste sembrano quasi aliene trovatesi all’improvviso su un pianeta sconosciuto di cui devono imparare, giorno per giorno, ogni cosa.
Cosa è successo in quella città? E nelle altre? E quando? E perché? E chi sono Chi e Yu, come sono sopravvissute, che vita avevano prima (se mai hanno vissuto un prima di cui hanno memoria)?
Giunti al terzo volumetto della serie, possiamo dirvi che queste domande non hanno ancora trovato una risposta e che, in fondo, queste risposte non servono.
Il viaggio di Chi e Yu è un viaggio senza meta in cui quello che conta è solo il percorso.
Chi e Yu sono due esploratrici pronte alla scoperta, capaci di stupirsi davanti a ogni cosa. Il loro viaggio è dettato dalla sopravvivenza ma nasconde ogni tipo di sorprese, incontri – perché no, non sono le uniche superstiti della città – che lasciano spazio al confronto su domande immense: cos’è che spinge le persone ad andare avanti, a continuare a vivere? Quali desideri, quali obiettivi ci sostengono anche nelle situazioni più difficili? E così c’è un uomo che trascorre le giornate disegnando mappe che forse mai nessuno leggerà e una donna che ha impiegato mesi, forse anni, a costruire un aereo per fuggire lontano. E ci sono macchine capaci di insegnare i sentimenti più puramente umani a due ragazzine che non hanno mai sentito parlare di empatia e muri di pietra pieni di ricordi, oggetti ormai abbandonati che nascondono le storie lontane di chi non c’è più.
I disegni di Tsukumizu ricordano un po’ quelli di panpanya, unǝ altrǝ autorǝ che apprezzo molto, capaci di creare atmosfere stranianti, mescolando – anche qui, come succede alla bambina protagonista delle storie brevi di panpanya – ambientazioni e sfondi molto realistici e due protagoniste dalle fattezze quasi pupazzose, stilizzate e morbide, due bambine che potrebbero trovarsi in qualsiasi altra storia e che attraversano un mondo così diverso da loro.
A metà della serie (che si concluderà con il sesto volumetto e di cui si dovrebbe già trovare in giro il quarto) posso dire che L’ultimo viaggio delle ragazze ha abbondantemente superato ogni aspettativa, rivelandosi un titolo che ha pochi paragoni e che è riuscito a declinare il tema del mondo post apocalittico in una maniera originale e interessante, capace di lasciare il lettorǝ con la voglia di continuare la lettura e di farlǝ affezionare a queste due buffe, ingenue e in qualche modo dolcissime ragazzine.