Essentials: Ragnarok di Walter Simonson

Un fumetto sulla fine di tutto. E non solo

Prima di iniziare, facciamo una piccola capatina dietro le scene di questo articolo, dove vi viene rivelato che per parlarvi di Ragnarok di Walter Simonson, ho cancellato e riscritto l'introduzione una decina di volte, e francamente non mi era mai successo.

Ora, ovviamente le domande che vi si pongono in testa sono due: la prima è “Ma a me che importa che sei indeciso” e la seconda è “Perché?” (almeno spero che lo sia). Mentre alla prima non so darvi una risposta, sulla seconda ci ho riflettuto parecchio. 

Dunque, Ragnarok è un fumetto edito dalla IDW Publishing, uscito per la prima volta nel 2015 e composto ad oggi da una dozzina di numeri, scritti e disegnati da Walter Simonson, con l'aiuto di Laura Martin ai colori e John Workman al lettering.

Un fumetto che parla della fine di tutto, della dipartita da questo universo degli dei norreni, e di come questa loro mancanza abbia colpito il mondo legato a questa mitologia, e del ritorno del campione più famoso di queste leggende: il potente Thor, il Dio del tuono. 

Ora, qui iniziano le grane. Se bazzicate un po' il mondo del fumetto, sicuramente conoscete Walter Simonson come il tizio che ha scritto e disegnato la seconda storia di Batman più bella di sempre ed ovviamente avete in casa la sua miniserie di Manhunter scritta da Archie Goodwin, prodotti seminali del genere, ma forse, se siete proprio dei fissati, Walter lo conoscete per una robina, un ciclo sempre su Thor, ma scritto per la Marvel, una serie di storie che non solo ha cambiato per sempre il modo in cui si fanno le storie sul tonante, ma proprio come si fanno le storie di supereroi mainstream. 

E allora, perché tornare? Perché tornare su strada già battute, perché tornare a scrivere di un personaggio che sì, sicuramente è molto diverso dalla sua controparte fumettistica della Casa delle Idee, ma di cui si era detto quasi tutto, e anzi, quel tutto è scolpito nella pietra della storia della nona arte? Beh, un sacco, ma un sacco di cose.

Personalmente, trovo molto buffo scrivere una rubrica che si chiama Essentials, perchè sebbene il nome implichi che io voglia parlare di fumetti essenziali intesi come capolavori assoluti, nel mio cuore gli “Essentials” erano una linea di ristampe della Marvel stampati su carta orrenda ed in bianco e nero, un'alternativa economica ad altri volumi simili, in pratica un modo per tenere sempre vivo il ricordo di alcune storie importanti, per chi decideva il piano editoriale. Insomma, una selezione personale, di ricordi impersonali. 

Quando mi approccio ad un grande autore, ed ancora peggio quando mi approccio ad un gradissimo, ho sempre un po' di mal di testa, perché che cosa vuol dire, essere grandissimo? Che cosa vuol dire essere un classico? 

Dopotutto, la storia di Ragnarok, raccontata, che cos'è? Una semplice, semplicissima storia che si rifà a molte altre, il ritorno di un eroe in un mondo nuovo che non capisce, dov'è il succo? Dov'è quel dettaglio che mi dovrebbe prendere? Sto seguendo solo l'autore, perché qualche tonto con molto tempo libero su internet un giorno ha deciso che X era bravo ed Y no, ed io lo seguo pedissequamente? 

Beh, forse. O forse, se si osservano le pagine di Ragnarok con molta attenzione, si viene da subito un po' sconvolti. Il lettering è molto strano, alcuni baloon sono scritti con un alfabeto simil runico, ci sono molte splash page, e poi... e poi ci sono vagonate, e vagonate di testo.

Da quanto tempo era, che in un fumetto americano relativamente recente, non trovavate badilate di testo? Ma c'è qualcosa di nascosto fra le pagine, c'è qualcosa che crepita fra le pagine, fra le vostre dita, e alla fine del primo numero, in puro stile americano, ecco il colpo di scena. Non tutti gli dei sono morti, Thor è ancora vivo. Mi direte, bel colpo di scena, il fumetto praticamente te lo dice subito. Ma il crepitio intanto cresce. E piano piano, diventa un rombo, un rombo di tuono, e le parole spariscono, lasciando il campo all'azione, che rompe la pagina, che rompe tutte le regole con un dinamismo che distrugge ogni nostra convinzione, unito a tutta una piccola serie di segnali di stile che rendono un medium statico quasi animato, fino a quando il nostro personaggio non torna in scena, e alla fine del secondo numero, tutto può iniziare davvero. 

E per tutta la durata di questo viaggio, queste due anime del fumetto, non si vanno a perdere, anzi. Ragnarok è un fumetto estremamente verboso, i personaggi hanno molto, moltissimo da dire, e sebbene in alcuni punti questo sia un pelo fastidioso, e si nasconda la mole di dialoghi sotto la scusa del genere fantasy, e anche nel tono epico che certi discorsi hanno, spesso si esce da questo mood solenne, per quella battuta, sottile, quella sferzata, quel gioco di parole che per quanto molto semplice, ti lascia col sorriso sulle labbra.

E poi, arrivano. Le tavole silenziose, le tavole dove, come diceva Harvey Kurtzman, non ci sono squallide battutine da fiction, ci sono solo due esseri che si vogliono ammazzare.


Tutto cambia in quelle tavole, senza che cambi niente, tutto si evolve ed il ritmo della narrazione diventa sempre più veloce, sempre più veloce, senza mai perdere un secondo di quella gravitas che i dialoghi avevano avuto un momento prima, e lì realizzi che nulla, in Ragnarok, è lasciato al caso. 

Quando Thor piange i suoi cari, ogni parola sarebbe fuori posto per una persona normale, ma qui si parla di un Dio, di un qualcosa di cui abbiamo parlato tante di quelle volte da avere un'immagine chiara di quello che potrebbe essere, un qualcosa che ha il potere di far piangere il cielo stesso quando versa una lacrima, ed è normale che sia così. 

C'è una regola classica, nel mondo del fumetto americano di supertizi, che ben si sposa al mondo del fantasy ed è “Se il tuo personaggio può volare, non farlo camminare”. Ed è giusto, nel momento in cui decido di immergermi in un mondo e nelle sue regole: queste ultime dovrebbero essere usate il giusto, altrimenti la storia ne risente. 

Ragnarok, le regole le segue, le rompe, e le rimonta in ogni singola pagina, seguendo sia le lezioni di alcuni grandi del fumetto occidentale (le influenze Kirbyane in Simonson sono evidenti) sia quelle di quello orientale, arrivando quasi a definirsi un fumetto sull'equilibrio. 

Perché sì, Ragnarok è una fine, ed un inizio, un fumetto pieno di parole ma anche muto, un ponte perfetto fra il fumetto moderno e quello più classico.

Ovviamente, parte dell'appeal grafico di questo albo è dato sicuramente dall'avere al timone un autore completo, che è conscio delle sue capacità e che ha affinato negli anni la su regia della tavola (e che in alcuni casi omaggia se stesso: non è difficile vedere in un po' di questo Thor non solo il suo “fratello” Marvel, ma anche un po' di Orion il Rosso della DC), riuscendo a gestire gli spazi con una maestria rara, in una sinfonia perfetta fra il tratto e la parola. 

E poi, beh, non possiamo non spendere qualche parola su Laura Martin, artista due volte vincitrice del premio Eisner per il suo lavoro sul colore (e si può dire? Forse i premi sono sopravvalutati, ma non in questo caso). Ragnarok è un fumetto dai toni spenti, grigi, che parla di un mondo fatto di polvere e lacrime, che la Martin riesce a rendere perfettamente, riuscendo poi a giocare molto bene con la contrapposizone di alcuni colori primari, rendendo molti nemici di Thor con un rosso fuoco, e focalizzandosi sul blu per il nostro protagonista. Un blu che cambia, a seconda se debba indicare il lampo che guizza e che fulmina alcuni nemici, l'energia di un martello lanciato verso l'infinito, la casacca del Dio del tuono ed i suoi occhi stanchi, oppure la pelle di alcuni comprimari. Blu, che del resto in inglese è il colore della malinconia, ed uno di quelli più legati agli eroi dei fumetti, rendendo questa scelta artistica perfettamente cucita sul personaggio.

Anche il lavoro del lettering di Workman è molto interessante, sia per il raffinato uso del font “runico” che contraddistingue i personaggi legati ad Asgard, sia per quello più “comune”, che invece usano tutti gli altri. Si parla di in un font non semplicissimo da leggere in alcuni punti, ma che piano piano si smussa e diventa sempre più comprensibile, riuscendo quindi a dare molta più personalità a tutti i discorsi del fumetto. 

E quindi, perché? Perché faccio sempre delle domande quando scrivo, domande alla quale nessuno di voi che mi leggete può rispondere, perché tanto la risposta alla fine la scrivo io? O meglio, perché ho fatto così fatica ad iniziare a parlare di Ragnarok?

Perché quando si parla di autori così importanti, con dei pedigree così forti, il rischio di passare per qualcuno che parla e basta, senza giustificare nulla, è molto forte, come è molto forte la paura di rimanere delusi.

Delusi perché Simonson ha scritto cose eccelse, e cose mediocri, come tutti i grandi artigiani del fumetto, ma quando si torna a calcare le scene dei nostri grandi successi, c'è la paura, o meglio, io ho la paura che si voglia riscaldare la minestra, o meglio, provare a ricatturare il fulmine nella bottiglia, se mi permettete la battuta.

Ecco, Simonson non sta cercando di fare questo, sta facendo quello che un grande autore dovrebbe fare sempre: si mette in discussione, e ci racconta cose che non avrebbe potuto raccontare anni fa, o per paletti dati dalle major, o perché semplicemente aveva un vissuto diverso. 

Il Thor di Ragnarok è un Thor che si sente vecchio, fuori posto, e che fa le cose in un modo molto diverso dagli altri, un po' come del resto fa Simonson, una leggenda quasi dimenticata, che torna a far vedere che cosa può fare, e quello che può fare non è una semplice scintilla, ma è una tempesta di lampi e talento. 

C'è una passione così vivida in ogni pagina di Ragnarok, ci sono pagine e pagine di emozione pura in una storia che non dovrebbe averne perché parla di qualcosa così lontano da noi da sembrarci alieno ed invece trasuda un'umanità così cristallizzata che può tagliarvi mentre la leggete.

C'è tutta una serie di piccoli dettagli che fanno sì che ogni volta che vi approccerete alla lettura vi troverete qualcosa di diverso, e quel qualcosa sono sicuro vi colpirà, sia in positivo che in negativo ovviamente. 

Perché sì, alcuni numeri di Ragnarok sono troppo verbosi, perché sì, il secondo volume è meno incisivo del primo, e perché sono anni che ci dicono che arriverà una terza parte che al momento in cui scrivo questo articolo ancora non si è vista, quindi la storia è tecnicamente monca. 

Ma poco importa, perché tutto il resto è spettacolare. Ci piace riempirci la bocca con termini come “Fumetto popolare” o “Graphic Novel” e difendere a spada tratta l'uno o l'altro campo nella vaga speranza di sentirci rilevanti, e poi arriva Ragnarok, che spacca tutto, e riesce ad essere un fumetto che unisce l'alto ed il basso, l'istinto e la tecnica, il cuore di un giovane e le mani di un veterano. 

Ed è questo, l'essenziale. Non una cosa facile da fare, ma un qualcosa che con una velocità rara, riesce a diventare indispensabile. Veloce, come un lampo.

Giovanni Campodonico



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