I Gallagher, i supereroi e i webcomics: intervista a Tommaso Vitiello

Il fumetto su degli improbabili supereroi, disponibile su Tacotoon, raccontato dallo sceneggiatore


Tommaso Vitiello è uno sceneggiatore di fumetti che ha lavorato con Panini, Shockdom, Beccogiallo, Noise Press e da oltre un anno collabora con Tacotoon. Proprio su questa piattaforma da qualche tempo è disponibile il fumetto de I Gallagher, una storia di improbabili supereroi creata da Vitiello insieme a Giovanni Preziosi e Michele Monte. Originariamente pensato per Wilder, il webcomic è poi approdato su Tacotoon, appunto, in un formato verticale e con una modalità di lettura che si avvicina ai webtoon coreani.
I primi quattro episodi de I Gallagher (ovvero la prima stagione) hanno vinto nel 2019 il premio Boscarato al Treviso Comic Book Festival.
Abbiamo intervistato Vitiello per parlare con lui del suo percorso autoriale, de I Gallagher, dei supereroi e dei webcomics.

Ciao, Tommaso. Benvenuto sul nostro blog. Ci racconti il tuo percorso come sceneggiatore di fumetti?
Salve, Audaci.
Grazie a voi dell'ospitalità!
Anche se in realtà non sono mai molto a mio agio a parlare di me, cercherò di fare un veloce excursus.
Tutto iniziò nel lontano 2008. Sono sempre stato un lettore di fumetti ma fino a quell'anno non avevo mai pensato di poter passare dall'altro lato della barricata. Poi un amico che voleva fare il fumettista mi chiese di scrivergli una storia per il Lucca Project Contest. La scrissi, arrivammo in finale, e da quel momento mi resi conto che mi divertivo molto a raccontare storie.
Da lì i primi corsi, le prime pubblicazioni, il primo premio vinto (il premio giornalistico “Giancarlo Siani” assegnato da Il Mattino per la storia/indagine a fumetti sull'omicidio del sindaco di Pollica Vassallo), poi il lavoro come scriptwriter nel campo dei videogiochi, i racconti, gli spettacoli teatrali, i corti cinematografici e le webseries.
Sì, perché indipendentemente dal medium, io adoro raccontare.
Poi è pur vero che il fumetto rimane nel mio cuore e infatti è lì che investo la maggior parte delle mie forze. E ho avuto la fortuna di lavorare con molte case editrici italiane: Panini, Hazard, Shockdom, Noise, Becco Giallo e molte altre... e molte altre ne arriveranno in futuro su progetti che non posso ancora rivelare...


Veniamo a I Gallagher. Come nasce la serie?
I Gallagher hanno avuto una gestazione molto lunga.
Anche qui è merito di un amico disegnatore che mi chiese di scrivergli una storia che avesse le stesse “vibes” di Umbrella Academy di Way (e credo che questa ispirazione sia molto chiara, soprattutto nelle prime pagine della storia).
Inizio a buttare giù una prima bozza di progetto, ma come al solito le cose si arenano e passo ad altri progetti (in quel periodo stavo lavorando a Djungle per la Panini). E come io vengo coinvolto da altra roba, anche il disegnatore sparisce, seppellito da milioni di tavole da preparare per gli Stati Uniti.
Ma nella mia mente continuavano a risuonare i quattro personaggi che avevo abbozzato. E risuonare era il termine giusto, visto che nella seconda bozza volevo raccontare la storia dei Beatles però in versione supereroistica, un'idea che fortunatamente ha abbandonato il mio cervello prima di diventare fattiva. E poi sono passato all'idea di raccontare la storia della musica, a raccontare la storia del fumetto americano, non so perché mi ero fissato che sotto i Gallagher ci dovesse essere qualcosa di più.


Finché un giorno, ero a un concerto metal trascinato da amici senza sapere né come né perché, ebbi un illuminazione.
Dovevo parlare di paure, ma nulla di irrazionale, paura del presente, del passato e del futuro. Quelle paure che attanagliano quelli della mia generazione. La paura di non essere mai abbastanza.
La prima versione dei Gallagher fu disegnata da Luca Albanese, il suo stile molto autoriale, quasi graffiato, era adattissimo alla prima idea di storia che avevo: un dramma introspettivo in cui i supereroi fossero solo una scusa per parlare d'altro.
Però, come spesso capita con i progetti a lunga gestazione, e come già detto i Gallagher sono uno di quelli, Luca dovette tirarsi indietro all'ultimo momento. Proprio nel momento esatto in cui all'epoca stavo prendendo accordi per approdare su Wilder di Jacopo Paliaga. Ero in crisi e mi feci consigliare un nuovo disegnatore da Michele Monte, che già allora era colorista della serie. Michele mi propose Giovanni Preziosi. Giovanni aveva (e tutt'ora ha) uno stile cavazzanesco che mi fa impazzire, ma che poco si adattava alla prima versione de I Gallagher, quella scritta per Luca. Ma, deciso a non farmelo sfuggire, ho adattato io la storia al suo segno decidendo di giocare maggiormente di contrasto in alcuni punti.
E dopo tutto 'sto casino è così che sono nati i Gallagher come sono adesso.


Nella prima immagine campeggia la scritta "Questa non è una storia di supereroi". Quanto ti interessava distanziarti dall'ambito supereroistico e quanto invece inevitabilmente hai riversato di reminiscenze con i supereroi nella tua storia?
È paradossale perché con i Gallagher non ho mai voluto allontanarmi dal genere supereroistico, ma usarlo come scusa per parlare d'altro.
Troppo spesso ci dimentichiamo che le storie di genere (uso il termine storie per aprire una parentesi su tutto il materiale di intrattenimento) possono comunicare qualcos'altro rispetto al semplice intrattenimento, negli anni '80 e '90 ne abbiamo avuto esempi illustri, ma con il tempo e con le nuove generazioni sono finite nel dimenticatoio.
Nell'ultimo periodo una profondità di racconto sembra essere ad appannaggio solo delle “Graphic Novel” o in generale della storie intimiste, che spesso sono slice of life.
E io, come lettore di una certa età, è una cosa che non ho mai digerito.
Quella scritta sulla cover della prima stagione era più una sfida che una dichiarazione d'intenti. Volevo sfidare il pubblico a non avvicinarsi a I Gallagher come una storia leggera, di semplice intrattenimento, ma di scavare più a fondo, di cercare di ritrovare se stessi sotto le paure dei quattro personaggi principali e magari scegliere quello in cui si rivedono di più.


La storia contiene tutta una serie di citazioni tematiche, visive, anche musicali, di vario tipo. Cosa rappresentano per te questi omaggi?
Gli omaggi sono il modo migliore per dire al pubblico cosa amiamo e cosa ci ispira.
E poi sono un simpatico divertissement, ma nel caso de I Gallagher non solo.
Infatti vi confesso che durante la scrittura della prima stagione più di una volta sono stato in difficoltà nella creazione di personaggi, che fossero alleati o nemici. Allora ho adottato un metodo che mi è tornato molto utile: quello di aprire Youtube e fare andare musica a caso. Quando una frase o un particolare titolo mi ispirava lo inserivo all'interno del fumetto.
Questa cosa poi mi ha preso la mano ed essendo io un grande fan di Araki ho pensato di farla diventare una firma distintiva proprio come fa il mangaka di Sendai.
Nella seconda stagione ho portato questo gioco a livelli estremi, ispirando tutta la run a uno dei concept album (o opera rock) più belli di tutta la musica degli anni '60: Tommy dei The Who.


Nota a margine: Ho trovato molto interessante come il nome Thomas o Tommy sia ricorrente in tutta la musica progressive di quel periodo. Sono quelle cose che ci fai caso solo quando le vai a cercare.

Con chi hai collaborato per la realizzazione di queste storie? Come è stato lavorare con loro?
Mah... mi piace dire che i Gallagher sono un parto congiunto di più cervelli che si sono scontrati. Più di una volta mi sono trovato a domandare sia a Giovanni che a Michele cosa volessero disegnare, per poterli mettere a proprio agio (è pur vero che la follia pop della serie mi dava la possibilità di inserire qualsiasi cosa in qualsiasi modo io volessi). Un disegnatore a proprio agio lavora meglio e lavorare con loro è come dover gestire una macchina perfettamente oliata. Ormai dopo anni mi posso permettere di non controllare i layout di Giovanni e non correggere i colori a Michele, ma solo perché so benissimo che i loro gusti rispecchiano perfettamente i miei.

La prima stagione de I Gallagher ha vinto il Premio Boscarato nel 2019. Cosa ha rappresentato per te questo riconoscimento?
E chi se lo aspettava. Eravamo così sorpresi che non siamo andati nemmeno a ritirarlo. E tutt'ora, dopo tre anni, non lo abbiamo ancora ritirato. Mi piacerebbe averlo sulla mensola, ma diciamo che questa pandemia non ha aiutato moltissimo.
Però mi ricordo il momento in cui abbiamo vinto: seguivo la diretta sulla pagina fb del TCBF e in chat con Michele e Giovanni scommettevamo su chi ci avrebbe battuto, eravamo in gara con gente molto molto forte. Mi ricordo l'annuncio de i Gallagher come vincitori i tre puntini che indicano il digitare sulla chat, sia da parte di Michele e poi di Giovanni. Fu un momento lunghissimo e poi finalmente Giovanni riuscì a scrivere: “Non ci credo.”
Poi un premio è un premio, è sicuramente un boost per la stima personale e soprattutto in questo caso credo sia stato il motivo per cui poi Dario Sicchio ci ha voluto nel rooster di Tacotoon.


Giunta alla seconda stagione su Tacotoon, quali differenze puoi intravedi, anche stilistiche e nel formato delle tavole, tra la prima e la seconda stagione?
Le differenze ci sono e sono enormi.
Sono enormi non solo perché io, Giovanni e Michele siamo persone diverse, spero più mature, ma principalmente perché la prima serie, nonostante fosse digitale, aveva comunque un formato che era molto simile a quella della tavola di fumetto cartacea, mentre nella versione tacotoon abbiamo dovuto sperimentare il medium webtoon vero e proprio, dove la tavola viene sostituita dallo scroll.

La lettura si avvicina molto ai webtoon coreani: hai avuto modo di approfondire questo fenomeno anche in termini di linguaggio fumettistico? È una semplice assonanza o soprattutto un modo per accostarsi a un pubblico diverso (e magari più ampio)?
È inutile girarci intorno: è un medium diverso, nonostante sia simile. La fruizione è, ovviamente molto più simile al manga, ma la struttura dello scroll è quanto più lontano siamo stati abituati a lavorare negli anni precedenti.
È una struttura che permette di giocare molto di più con la temporalità. L'utente non dovendo “girare pagina” ma soltanto spostarla verso il basso è come se fosse non solo lettore, ma anche animatore. E poi soprattutto non si ha la sensazione di interruzione che nel fumetto normale hai da una pagina all'altra.
È strano, ma intrigante.
Per questo ho deciso di sperimentare molto su questo tipo di tavola, e all'inizio, prima di essere rodati, mandavo a Giovanni dei veri e propri layout fatti con montaggio di foto per capire dove esattamente volessi le vignette sulla scroll. Con il tempo ho potuto smettere di mandarglieli, ma all'inizio erano fondamentali per capire gli spazi tra una vignetta e l'altra.
La gestione degli stacchi ovviamente è differente, ma la gestione delle “splash page” prende tutto un altro effetto.

È ovvio che farlo diventare un cartaceo dopo aver sperimentato così tanto è complesso... ma non pongo mai limite alla provvidenza.

Per quali device è pensata la fruizione del tuo webcomic?
Come tutti i fumetti di Tacotoon credo sia ottimizzato per tutti i device. É ovvio che la lettura è migliore da device che permettono uno scrolling con il ditino (cellulari e tablet).

Ultimo quesito: cosa leggi in questo periodo?
Cosa sto leggendo non lo so (ma solo perché essendo onnivoro leggo molta roba contemporaneamente), ma posso dirti cosa ho sul comodino nella famosa pila della vergogna.
Quattro numeri di Chainsaw Man, il secondo volume di So Far So West, l'ultimo Dylan Dog, le Tartarughe Ninja originali di Eastman e Laird, Sindrome Italia, Isole, e poi l'unico libro di narrativa che non riesco a finire che è Kafka sulla Spiaggia.

Grazie, Tommaso, e a presto.
Grazie mille dell'ospitalità, la prossima volta sarò io a ospitarvi da me per offrirvi un bel caffè napoletano.
(Giuseppe Lamola)



Esordisce nel campo dei fumetti con “La casa delle meraviglie” storia finalista al Lucca Project Contest del 2008. L’anno successivo si iscrive alla Scuola Italiana di Comix grazie alla quale inizia la lunga collaborazione con il quotidiano “Terra”, che si conclude con l’assegnazione della menzione speciale al premio giornalistico “Giancarlo Siani” per la storia a fumetti sull’omicidio di Angelo Vassallo.
Pubblica all’estero alcuni racconti a fumetti per bambini, e inizia a collaborare con la “10th Art”, scrivendo trame e dialoghi per il campo videoludico. Dopo fumetti e videogiochi, sposta la scrittura nell’ambito teatrale portando in scena due suoi spettacoli che registrano un ottima critica.
Entra a far parte del gruppo Artsteady con il progetto “47 Dead Man Talking”. Nel 2017 pubblica per la Hazard Edizioni “Sarò quel che sono”, un fumetto sulla giovinezza di Rodolfo Valentino, porta avanti la collaborazione con la rivista letteraria Achab e inizia a lavorare per la neonata Mac Edizioni come Editor e Sceneggiatore, mentre nel frattempo pubblica con Giochi Uniti i fumetti “Deadland” e “Goblin Horde“. Nel 2018 pubblica per Panini Comics il fumetto “Djungle” e nel 2019 per la piattaforma Wilder “I Gallagher” che vincono il premio Boscarato. Nel 2020 per BeccoGiallo la biografa a fumetti su Massimo Troisi.
Insegna Sceneggiatura e Scrittura creativa nelle scuole medie e superiori ed attualmente collabora come sceneggiatore con lo studio di animazione MAD. Editor di numerose case editrici grandi e piccole, da maggio 2021 approfondisce la sua presenza in rete con la seconda stagione de “I Gallagher” sull’app Tacotoon.
Come ogni super cattivo sogna di conquistare il mondo.


Post più popolari