Number 5 di Taiyo Matsumoto

Il fascino di un'opera futuristica e post-apocalittica di rara bellezza

“Quello sei tu, No. 5, ma è anche Matrioska. Ed è anche l’alce a cui hai sparato, l’uomo che gli ha sparato, il pesce pescato, la donna che lo ha mangiato, il fiore sbocciato, tu che lo stai guardando… sono tutti la stessa cosa. Così come la vita e la morte.

Osserva, No. 5: noi siamo una cosa sola con quel pianeta azzurro. Non trovi che sia un pensiero meraviglioso?”

No. 5, uno dei membri della Squadra arcobaleno per il mantenimento per la pace, l’élite dell’esercito, è diventato una vera canaglia e un traditore: ha rapito Matrioska, cara a No. 1, ha ucciso alcuni dei suoi compagni e continua a fuggire con questa strana, silenziosa e affamatissima donna inseguito dagli altri membri della squadra, abbandonando il suo dovere e il suo ruolo, senza alcuna intenzione di tornare indietro sui suoi passi, chiedere perdono, liberare Matrioska e cercare di riottenere il suo posto all’interno della squadra.

Questo, in breve, l’incipit della nuova opera di Taiyo Matsumoto, amatissimo (più negli ultimi anni che al suo primo arrivo in Italia) autore di opere come Tekkon Kinkreet, Sunny, I gatti del Louvre e GoGo Monster.

Un’opera in apparenza semplice e lineare, tanto semplice e lineare da sembrare quasi vuota e fine a se stessa, una scusa per mettere in scena personaggi assurdi e combattimenti spettacolari.

Conosciamo però abbastanza Matsumoto da sapere che non c’è (e possibilmente non ci sarà mai) nessuna briciola di banalità – contenutistica o stilistica – nelle sue opere, e anche Number 5, dopo un inizio frenetico e quasi confusionario, porta in sé quel sense of wonder, la poetica e le tematiche tipiche del suo autore, tutto quello che nel corso degli anni abbiamo tanto imparato ad amare.

La storia di No. 5 inizia in medias res e ci tocca superare quasi il primo terzo di storie per capire che la sua vicenda è solo parte di qualcosa di molto più grande: la storia di un mondo post apocalittico che iniziamo a scoprire solo intorno alla fine del primo volume e che continua a definirsi in seguito, come se la trama fosse stata sviluppata “a strati”, aggiungendo un po’ alla volta dettagli che ci spiegano il contesto in cui i personaggi si muovono, proprio come accadrebbe a qualcuno che, arrivato per la prima volta in un paese straniero, all’inizio coglie solo dei dettagli incoerenti tra loro e che solo dopo, man mano inizia a conoscere il passato di quel paese, riesce a mettere insieme ogni elemento, ogni pezzo, e a trovare i punti di connessione.

In effetti, spiega Matsumoto nel post scriptum a fine del secondo volume, Number 5 è stato scritto a partire dal 2001, in un periodo denso di eventi drammatici, su tutti l’attacco alle Torri Gemelle, che inevitabilmente ha influenzato la narrazione dando, a quella che voleva essere in origine una storia più simile ai battle shonen che amava da ragazzino, toni più cupi e contemporaneamente una forte critica antimilitarista dovuta a quella che Matsumoto definisce una “presa di posizione contro la violenza” personale e globale, che ha contribuito a dare alla storia un tono più adulto rispetto a quelle che erano le sue intenzioni iniziali.

Il tema antimilitarista diventa sempre più centrale nella vicenda: sembra quasi che Matsumoto crei una sorta di dualismo tra ciò che è artificiale/costruito/governato dalle leggi dell’esercito e ciò che è naturale/spontaneo/ governato dalle leggi di natura. Mette in scena un mondo che ha attraversato una catastrofe e sta cercando di superarla, ma le stesse leggi che si è autoimposto per risolvere i problemi sono quelle che quel problema lo hanno causato.

La narrazione, quindi, non segue un andamento lineare, anzi la trama inizia ad articolarsi solo intorno all’ultimo quarto del primo volume e ci fa cambiare quasi radicalmente l’idea che ci eravamo fatti sui personaggi, soprattutto su No. 5 che perde il suo ruolo di protagonista – suggerito più che altro dal titolo e dal fatto che inizialmente l’attenzione del narratore si concentra su di lui – e letteralmente sparisce dalle pagine per buona parte del racconto, mentre altri attori, come Matrioska e No. 1, iniziano a ricevere le giuste attenzioni e ad assumere spessore narrativo.

Il vero protagonista della storia comincia a essere sempre di più proprio No. 1, che da antagonista diventa il punto focale del racconto da metà della narrazione in poi, personaggio la cui storia è paradigmatica di tutto quello che riguarda la realtà che Matsumoto ci sta raccontando.

Il punto di forza di Number 5, e anche la caratteristica immediatamente più visibile, è la messa in scena di un mondo straniante e surreale in cui elementi diversi e incoerenti – architetture caratteristiche di ogni epoca e luogo, grandiose o popolari che siano, animali e chimere, bambini sospesi nel cielo e fiori antropomorfizzati – si trovano a convivere nella stessa tavola, senza che tra loro ci sia un qualche dialogo, anzi, ogni cosa/essere che occupa spazio accanto a tutto il resto sembra semplicemente esistere, senza relazionarsi – o forse neanche accorgersi – di quello che ha accanto. Nonostante tutto però non avvertiamo alcuna dissonanza: in un mondo caotico e quasi terrorizzato dall’horror vacui, una delle cifre stilistiche di Matsumoto, ogni elemento è in una sorta di muta armonia con gli altri. Si crea quell’effetto di ordine caotico, in cui la scoperta e la meraviglia sono sempre a portata di mano per chi sa osservare con la giusta attenzione, tipico delle vecchie botteghe dei rigattieri, in cui questa sorta di irreale paratassi trova la sua ragione d’essere semplicemente nell’atto stesso del suo creatore.

La matita di Matsumoto è un demiurgo burlone, capace di dare al caos un ordine che non tiene conto di nessuna delle nostre regole di categorizzazione e di dar vita a una realtà che potremmo paragonare a un collage di sogni.

Matsumoto continua quella che potrei definire una “ricerca sull’infanzia”, tema centrale nelle sue opere che non ha ancora smesso di indagare e che sembra quasi un mistero irrisolvibile. I bambini che incontriamo tra le pagine di Number 5 e Matrioska – donna dall’età indefinibile e indefinita – ricordano quelli di Sunny e Tekkon Kinkreet, hanno la stessa capacità di guardare a una dimensione altra e irraggiungibile per gli adulti. Nei loro occhi leggiamo una meraviglia silenziosa che non è mai sbigottimento ma anzi una presa di coscienza così grande e totale da essere per noi adulti ormai irrimediabilmente incomprensibile.

In Number 5 il tema si fa più complesso: No.1 e gli altri membri della Squadra arcobaleno hanno una fisionomia da adulti, sono militari, eppure in qualche modo – che non vi spiegherò per non fare spoiler – sono assimilabili a dei bambini. Il concetto di “essere bambini” di Matsumoto – che, ricordiamo, comincia a essere indagato in Tekkon Kinkreet, opera di fine anni ’90 – non è affatto riduttivo o banale, non segue una qualche ingenua ideologia per cui i bambini sono creature buone e pure, e anche si distanzia da opere famosissime come Il signore delle mosche, che vuole un’infanzia normata solo da leggi civili e che senza queste mostrerebbe tutta la sua animalesca e istintiva violenza.

Per Matsumoto i bambini sono semplici e questa semplicità si traduce in una linearità di pensiero che sfocia in una mentalità quasi integralista in cui tutto è o bianco o nero. Ognuno dei suoi personaggi ha un preciso interesse, uno scopo, e verso quell’interesse si muove seguendo l’unica strada che ritiene possibile, senza neppure provare a immaginare alternative o compromessi.

Sono creature mosse da idealismo e ingenuità, che sono da intendersi nella loro migliore accezione possibile, e che agiscono in sistemi etici completamente diversi da quelli che intendiamo come comuni, ma che comunque esistono e hanno una loro complessità e coerenza.

In questo senso prima parlavo di una dimensione altra verso cui guardare, una dimensione che non è realmente un diverso luogo fisico ma il risultato di un modo diverso di leggere gli elementi della realtà e trovare risposte, connessioni, legami.

Lo stile dei disegni è sempre chiaramente riconoscibile, il tratto è veloce ed espressivo, sporco, a volte volutamente sbagliato. L’evoluzione dagli esordi è evidente e la maggiore eleganza e presa di confidenza maggiore col mezzo riportano a opere recenti come I gatti del Louvre, anche se gli elementi grafici, i costumi, le architetture e le ambientazioni fanno di Number 5 l’erede diretto di Tekkon Kinkreet.

In questa, come in tutte le sue opere, Matsumoto opera un rifiuto netto dei canoni di bellezza classici, anzi stravolge ogni tipo di canone estetico, sia che riguardi l’anatomia e i costumi dei personaggi sia che ci si riferisca ad architetture e ambientazioni, in cui appare più evidente la volontà di desacralizzare e reinventare ogni modello di riferimento, mischiando ad esempio elementi architettonici da mille e una notte con quelli dell’architettura tipicamente europea e aggiungendo elementi assurdi come cupole teriomorfe, in un mix totalmente incoerente e visionario. Matsumoto ribalta il concetto stesso di simbologia: se un simbolo è un segno densamente significante e ricorsivo di una data civiltà, le sue tavole potrebbero a prima vista sembrare come altamente simboliche, ma a una lettura più attenta è chiaro che ogni segno viene svuotato del suo significato e inteso come puro elemento grafico e decorativo.

Per questo l’ambientazione futuristica e post-apocalittica è, credo, perfetta per il modo in cui Matsumoto crea i suoi mondi: nei suoi scenari sembra davvero che qualcuno abbia raccattato le vestigia di civiltà ormai distrutte e dimenticate, ne abbia recuperato alcuni elementi superstiti e li abbia riassemblati senza però conoscerne origine, senso e scopo, come tessere di vetro che – poco importa da dove siano state ritagliate – adesso servono a costruire una nuova immagine, con il suo proprio nuovo senso e nuovo scopo.

Number 5 è in definitiva l’ennesimo capolavoro di un autore che da quasi tre decenni ci affascina con le sue opere, storie capaci di farci assumere un ruolo molto più complesso di quel di lettore: siamo, tra le sue pagine, esploratori, storici, antropologi, psicologi, archeologi, ci ritroviamo a indagare luoghi, eventi, sistemi di pensiero. I suoi mondi sono articolati e densi, capaci di andare oltre la bidimensionalità della pagina e aprirsi infinitamente verso una profondità che non ci stancheremo mai di esplorare.

Infine, volevo scrivere due righe a beneficio della bellissima edizione di J-Pop che ha raccolto gli otto volumi dell’edizione originale in due grandi volumi collezionati in un cofanetto, curatissimo nei dettagli, il cui prezzo a conti fatti è addirittura inferiore a quello che avrebbe avuto un’edizione “da edicola” che manteneva la divisione in volumetti originale. L’edizione italiana mantiene le pagine a colori originali e presenta delle illustrazioni interne extra, impaginate a leporello (formato tipico degli antichi libri giapponesi), che riprendono le illustrazioni delle copertine originali, pulite da ogni altro elemento grafico.

Claudia Maltese (aka Clacca)


Number 5
J-Pop Manga, 2022

Testi e disegni: Taiyo Matsumoto


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