Essentials: i Fantastici 4 di Lee e Kirby

"Il più grande fumetto del mondo"

Quando si parla di prime scoperte dell'umanità, la mente di solito vaga verso due grandi concetti piuttosto semplici ma effettivamente cruciali per il nostro sviluppo: il fuoco e la ruota.

Proviamo ad immaginare un mondo senza nessuno di questi due ritrovati, ed osserviamo una storia dell'uomo completamente diversa e forse, chissà, anche distopica, ma il punto su cui vorrei focalizzarmi per prenderla larga come mio solito, è uno: siamo debitori assoluti del fuoco e della ruota, ma le due cose non sono uguali.

Il fuoco è una forza della natura, è una reazione chimica che esiste e che non abbiamo inventato, abbiamo solo imbrigliato con la nostra immaginazione; è quello da cui è partita la strada per la grandezza.

La ruota, d'altro canto, va studiata. La ruota perfetta non esiste in natura, la ruota perfetta va costruita, provata e riprovata, si evolve per diventare sempre più performante sempre più utile. Se il fuoco è il genio primigenio, il fulmine nella bottiglia liberato, la ruota è l'importanza dell'evoluzione.

E nel mondo dei fumetti di supereroi, il fuoco è certamente Superman, il primo supereroe, la modernizzazione delle storie del folklore della cultura occidentale che diventa nuova mitologia, un personaggio così iconico che ancora oggi funziona benissimo, e ancora oggi ci provoca sensazioni forti perché ideale quasi perfetto, mentre la ruota, beh, la ruota è l'evoluzione, la novità, la base portante del medium: sono i Fantastici Quattro di Stan Lee e Jack Kirby... ma andiamo a scoprire perché.

La storia, se l'avete letta su internet o su qualche libro, va più o meno così: nel 1961 l'editore Martin Goodman, capo della Marvel Comics, sta giocando a golf con Jack Liebowiz, uno dei leader della DC Comics. In quel periodo, la DC non solo era la casa editrice di fumetti più potente d'America, ma era anche il distributore della Marvel e aveva quindi il potere di veto su molte decisioni della casa editrice, quindi in pratica Martin stava giocando a golf col suo capo, che si vantava del grandissimo successo di una sua serie a fumetti Justice League of America, che riuniva in un solo punto tutti i più grandi eroi DG.

Folgorato sulla via della buca diciotto, Martin irromperà in redazione chiedendo al nipote Stan Lee di scrivere una storia con un gruppo di supereroi, e il resto è leggenda.
Se invece avete letto altri libri, la storia la saprete così: Jack “King” Kirby, il re dei fumetti, era tornato a lavorare per la Marvel, e un giorno entrerà in redazione scoprendo un'amara verità: si stavano chiudendo i battenti, erano arrivati degli agenti immobiliari a pignorare i mobili; Stan Lee piangeva sopra una scrivania. Il Re allora con voce tuonante disse: “Eh no! Non possiamo andarcene così, la metto a posto io la situazione”, e il resto è leggenda.

Detto questo, per i curiosi i tre fumetti di supereroi che vendevano di più nel 1961 erano tutti di Superman e la Justice League era distaccata di almeno 400 mila copie dal primo posto (occupato da Zio Paperone), ma la verità quando si parla di processi creativi, alla fine è sempre così: fumosa.

Quello che è vero è che Lee e Kirby si misero al lavoro su di un nuovo progetto, e siccome sarebbe effettivamente potuto essere l'ultimo, visto che la bancarotta si avvicinava minacciosa, decisero di fare le cose a modo loro, senza provare a cercare i gusti del pubblico a tutti i costi. Nacquero così i Fantastici Quattro, il più grande fumetto del mondo (o almeno così diceva la copertina).

La prima avventura del nostro Quartetto ovviamente ci racconterà la sue origini, e faremo così la conoscenza di Reed Richards, scienziato geniale al lavoro su di un razzo sperimentale per raggiungere la Luna, che però non ha ancora il permesso di partire poiché non schermato a sufficienza contro i misteriosi raggi cosmici. Spinto però dalla fidanzata Susan Storm, che non vuole che i Russi li battano nella corsa alla Luna, Reed si tira dietro anche l'amico fraterno e pilota collaudatore Ben Grimm ed il fratello di Sue, Johnny. Il piccolo gruppo riesce così a prendere il controllo del razzo, prendendosi però in volto una dose enorme di raggi cosmici, che trasformano il loro corpo per sempre.

Dopo un atterraggio di fortuna, infatti, Reed scopre di avere il potere di modellare il suo corpo come se fosse plastilina, allungandosi e deformandosi, Sue può diventare invisibile, Johnny può prendere fuoco senza bruciarsi e volare, mentre Ben si trova intrappolato in un corpo la cui pelle è un incrocio fra il dinosauro e la roccia che gli dona una forza spaventosa tanto quanto il suo aspetto.

Ci vogliono poi tre vignette dopo la scoperta dei loro poteri per prendere una decisione fatidica: da oggi in poi, queste abilità andranno usate per aiutare il mondo, ovviamente con nomi in codice altisonanti come Mr Fantastic, la Ragazza Invisibile, la Torcia Umana e la....Cosa. Che è meno bombastico, ma fa il suo, diciamo.

Che cosa rendesse questo nuovo team di persone in pigiama che picchiano i mostri molto, ma molto forte, è evidente già dalle prime pagine di dialogo che ci mostrano un Reed pensieroso e logorroico, un Ben aggressivo ma dal cuore tenero, una Susan preoccupata ed un Johnny testa calda ma fondamentalmente ragazzino, insomma per la prima volta, mentre leggevamo un fumetto, potevano leggere di persone vere, o la loro approssimazione alla soap opera più vicina al vero per essere franchi.

Per una volta, era possibile leggere un fumetto e non vedere la maschera del personaggio, ma il suo vero volto, la sua vera essenza, che non sempre era senza macchia e senza paura.

Nelle prime storie, Ben Grimm è molto litigioso, geloso dell'amore fra Reed e Sue (e infatti, dopo qualche numero il nostro troverà una fidanzata nella scultrice cieca Alicia Masters, che combinazione delle combinazioni potrebbe essere la gemella di Susan da quanto si assomigliano), nel gruppo non si va d'accordo, non si è sempre allineati, a volte qualcuno se ne va, insomma, la dinamica del fumetto passava dal “quel mostro si merita proprio un bel pugno sul muso” a “questa persona cui voglio bene mi sta facendo impazzire. Potrei mollargli un pugno sul muso, se non fosse fatta di fuoco”.

Insomma, il vero travestimento dei Fantastici Quattro non erano i costumi (che arriveranno solo nel numero 3) ma il loro sembrare tutto fuorché un fumetto di supereroi.

Se apriamo il primo numero di questo nuovo fumetto, ci troviamo di fronte infatti a scene molto simili a classici fumetti horror e di mostri che andavano a quell'epoca e di cui Jack Kirby era maestro. Il puro terrore che si staglia sul volto di un tassista che si accorge che sul suo taxi è salita una persona invisibile, il fastidio della Cosa che si muove nelle fogne, o la scena di Johnny che prende letteralmente fuoco non ci mostrano queste persone come eroi, come esempi, ma come creature fuori dal mondo.

Certo, questa idea nasceva sì dal voler far qualcosa di diverso, ma anche dal fatto che siccome la DC avrebbe dovuto distribuire il fumetto, si temeva che scoprendo di avere tra le mani un possibile concorrente lo avrebbero fermato ancora prima di spedirlo alle edicole, mentre un innocuo fumetto di mostri sarebbe passato inosservato ai censori.

Come dicevo poco più sopra però, col numero 3 tutte le pretese sono lanciate al vento, e i Fantastici Quattro diventano ufficialmente delle persone in tuta, una tuta semplice, tutta blu, con un bel logo tondo che recita semplicemente “4”.
La cosa aveva anche un bel maglione ed un elmo, ma li trovava scomodi e quindi gli ha strappati via, un prezzo lieve da pagare visto che ci dona una delle vignette di Kirby più dinamiche e sottovalutate di sempre, ma sto divagando.

E poi, e poi il fumetto va avanti. Va avanti per più di 100 numeri, 100 numeri dove incontriamo veramente di tutto: alieni che cambiano forma, pianeti di gangsters, babysitter streghe, popolazioni di superesseri nascosti nelle montagne, robot giganti, uomini talpa, dimensioni parallele, giganti che mangiano i pianeti, filosofi col potere dell'universo e tavole da surf, super scimmie sovietiche e forse il più grande supercattivo del mondo fumetto tutto.

Ogni albo dei Fantastici Quattro doveva essere più grande in qualche maniera del precedente e il fatto che i nostri eroi si scontrino con un dio a metà serie vi può solo far immaginare cosa possa succedere nella seconda metà di questo ciclo.
Un ciclo sviluppato in un modo molto strano ai più, perché, vedete, nello scrivere fumetti americani esistono due metodi: quello tradizione e quello Marvel.
Il metodo tradizionale prevede di scrivere cosa succeda in ogni singola vignetta: dialoghi, azioni, espressioni, sfondi. Il metodo Marvel consiste invece nel consegnare una trama al disegnatore e aggiungere i dialoghi a tavole già completate.
Per chi è appassionato della materia, o anche semplicemente curioso, il metodo Marvel può sembrare abbastanza controintuitivo, e in effetti se non c'è una grande sintonia fra scrittore e disegnatore qualcosa può spezzarsi, visto che magari io avevo disegnato una scena per un motivo, avevo segnalato con alcune note quel motivo, ma poi venivo ignorato e la mia opera modificata da dialoghi diversi da quelli che mi ero immaginato.
Però, nel caso di Stan Lee e Jack Kirby, si riusciva ad ottenere un qualcosa di così particolare, così unico nella storia, che forse non si sarebbe mai ottenuto usando metodi diversi.
Questo perché, e vi giuro che mi sto trattenendo dall'essere un fan sfegatato, Jack Kirby è un disegnatore molto molto particolare, specie quando si parla di supertizi, perché la grammatica di come si faccia un fumetto di supertizi, se l'è inventata.

Ogni segno dinamico, ogni espressione deformata, ogni prospettiva creata di sana pianta, è tutta farina di un uomo che stava innovando il medium numero dopo numero, di una macchina da disegno che nell'epica lotta fra bene e male che stava raccontando ci credeva davvero, ogni singola linea a matita era un fulmine a ciel sereno almeno fino a quella successiva, e quando meno te lo aspettavi, giravi la pagina e trovavi un collage.

Kirby amava molto sperimentare anche con la fotografia, e in quel memorabile ciclo dei Fantastici Quattro sperimenterà come il più stereotipico degli scienziati pazzi, quando si guardano le tavole originali di alcune di queste storie, di questi momenti di fusione fra due medium, fa quasi sorridere vedere qualche piccola sagomina di carta incollata su sfondo bianco, sapendo che poi quello sfondo diventerà una descrizione astratta del cosmo o di una dimensione parallela sconosciuta.
Quello che Kirby aveva in munificenza, peccava però nel contatto umano (e anche nel disegnare le donne, che sono tutte uguali, e questo lo dico perché anche i grandi hanno un difetto che li rende perfetti). Le opere di Kirby come sceneggiatore sono filosofiche, interessantissime ma saltano facilmente da un concetto enorme a un altro e non sono facilissime da seguire.
D'altro canto, Stan Lee era un uomo immagine nato, uno showman, un uomo che parlava molto, e sapeva parlare bene. I dialoghi di Stan Lee sono forse acerbi per un pubblico moderno, ed è facile notare come il Sorridente scrivesse di base meno di dieci personaggi a cui cambiava il costume, ma sono frizzanti, sono dinamici, sono quasi veri. Quando Reed riempie la stanza di paroloni, sembra di essere lì nella stanza con lui, quando la Cosa si arrabbia si arrabbia sul serio, la Torcia umana potrebbe davvero essere un ragazzino, e quando uno dei membri del gruppo pronuncia una delle sue numerose frasi tipiche, tu lettore le urli assieme a loro.


Insomma, alla potenza di un autore che altri chiamavano il Re, Stan Lee aggiungeva l'arguta l'intelligenza di un Uomo, e infatti il suo soprannome era Stan “The Man”.

In un insieme di cose che normalmente non avrebbero mai funzionato, questi due pilastri del fumetto americano, avevano creato una magia, assieme anche ad una manica di coloristi e di inchiostratori che si diedero il loro bel daffare, citiamo ad esempio le chine di Joe Sinnot, uno dei pochi in grado di tener testa alle tavole complesse di Kirby, o l'idea del colorista Stan Goldberg di colorare la cosa di arancione. Vedete, in quel periodo, la regola non scritta era che i buoni si vestissero di colori primari, mentre i cattivi di verde o di viola, e quindi per un personaggio buono ma non troppo, Goldberg scelse l'arancione, colore secondario ma non troppo, usato per renderlo più ambiguo, in un cenno di stile così sottile e poetico che quasi mi commuove.
Una magia che non si fermava solo al fumetto singolo, perché ben presto lo stile di questi nuovi personaggi iniziò a permeare tutto lo stile Marvel (anche perché, quasi tutte le testate del periodo le scriveva Lee, e quando non c'era lui al timone c'era il fratello Larry), e quell'alchimia di due persone diverse che si mettevano a lavorare su progetti bomba farà il bis l'anno dopo, con il lancio di un personaggio poco conosciuto chiamato Spider-Man, ma questa è un'altra storia.

Quello di cui parliamo adesso, è di come lo stile da soap opera, lo stile di quella frase che se avete letto di calzamaglia almeno una volta avete letto cento volte, “il supereroe con i superproblemi”, era stato incubato qui, ma il trucco era ancora una volta che dei supereroi non ce ne fregava una mezza ceppa.

Ci importava vedere il trauma di Ben Grimm, maledetto dal sentirsi un mostro senza capire che il mondo lo ama e lo rispetta, la sottile evoluzione di Sue Storm da ragazza timida a donna sicura di se stessa e probabilmente uno dei personaggi più potenti del mondo, la crescita di Johnny che da ragazzo diventa esempio per i suoi coetanei, e il senso di colpa infinito che portava Reed Richards a voler salvare la sua famiglia da un destino a cui li aveva egli stesso condannati.
Certo, la blatta gigante che vomita energia cosmica era bella, non lo nego, e anche il gorilla che esplode, o il microbo che indossa una tuta robot che controlla le emozioni erano idee interessanti, ma per la prima volta, non mi interessava cosa faceva un personaggio, ma perché.
E certo, va bene, non si può non parlare di questo ciclo senza ricordare che quel perché, lo si poteva anche chiedere ad un cattivo, che è poi IL cattivo, Victor Von Doom alias il Dottor Destino.
Nato come ex compagno di scuola di Reed, Victor era figlio di una strega che aveva venduto l'anima al diavolo e l'unico modo che aveva per rivederla era costruire una macchina che gli consentisse di visitare l'inferno. Purtroppo, Victor sbaglierà i calcoli nel progettare questa sua creazione, sebbene Reed lo avesse avvertito, e la macchina gli esploderà in faccia sfregiandolo e motivandolo ad andare in Tibet a studiare con dei monaci misteriosi, che gli forgeranno un'armatura per difendersi dagli altri e da se stesso, scatenando sul mondo una minaccia infinita.


Il Dottor Destino, come il quartetto, era la perfetta fusione di Lee e Kirby, un personaggio pomposo, epico, ma tremendamente umano, un personaggio che si vestiva di verde come l'invidia che provava per un uomo che era riuscito dove lui aveva fallito. Perché Reed Richards sarà forse ossessionato dal lavoro, ma Reed Richards sa cosa vuol dire voler bene; il Dottor Destino, semplicemente non lo sapeva più.

E così, nascosto dietro una maschera terrificante, questo dittatore in armatura creava alcuni dei piani più folli della storia, dal viaggiare nel tempo, al rubare il potere agli dei, a minacciare gli stessi autori del fumetto, perché sì, fra tutto il serio, tutto l'indicare una direzione come se si indicasse la fine del mondo, in quei primi numeri dei Fantastici Quattro, c'era anche spazio per del sano humor.
Ci sono molte storie simbolo di questa pietra miliare della storia del fumetto, e molti diranno che l'apice si toccherà con l'arrivo del divoratore di pianeti Galactus, e si potrà anche dire che verso la fine la magia iniziava a scricchiolare e che Lee e Kirby non erano più sul pezzo come prima, e in effetti si dicono cose giuste, ma niente dura per sempre, ed i Fantastici Quattro avevano ormai dato quasi tutto.
E se mi posso permettere, nel parere di chi scrive, la più grande storia del gruppo, resta l'Annual numero 3, l'albo del matrimonio di Reed e Sue, che vede un Dottor Destino atto a distruggere il giorno più bello della vita del suo rivale lanciandogli contro tutti i criminali dell'universo Marvel, che vengono fermati ovviamente dagli eroi invitati al matrimonio, che, per citare Daredevil “non vogliono mica essere privati del loro pezzo di torta”. Sì, conosco l'albo a memoria, ma scrivo anche su internet, che fossi strano lo avevate capito.


Tutto quello che il medium era ed è, è incapsulato in quel singolo albo, un albo dove la tenerezza di un bacio resta a fianco di un uomo alato che si picchia con un cavallo alato, perché il fumetto Marvel è questo, è il mondo fuori dalla nostra finestra, ma con qualche dettaglio in più, che ci lascia con la bocca aperta.

Rileggere oggi questo ciclo può essere strano. Si può pensare di trovarsi di fronte a storie stantie, a colpi di scena già visti o a personaggi liberi, ma è vero che se oggi possiamo vedere supertizi al cinema primeggiare ovunque, se oggi possiamo vedere uomini in tuta sembrare una cosa seria, bisogna ricordare che tutto o quasi quello che piace dei supereroi moderni è partito, e oggi corre come un lampo, da e su una ruota. Una ruota azzurra, su cui capeggia un bellissimo 4.

Giovanni Campodonico


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