Tunnel di Rutu Modan
La nuova divertente, drammatica e appassionante opera dell'autrice israeliana de La Proprietà
“Le storie nascoste nei tunnel sono enormi: miti fondativi, intrighi millenari, echi, più o meno recenti, di grandi battaglie di resistenza; ma coloro che cercano di portarle alla luce sono persone come noi, ordinarie, che inseguono uno scopo e cercano un senso.”
Dalla prefazione di Maria Edgarda “Eddi” Marcucci
Il momento in cui un collezionista di reperti archeologici viene costretto dalla moglie a donare tutta la sua – ovviamente illegale – collezione all’Università di Gerusalemme è il momento in cui la commedia imbastita da Rutu Modan prende avvio, tirandoci fin da subito dentro una storia complessa, dai risvolti a volte comici a volte tragici. Un racconto che inizia dalle più banali controversie familiari per arrivare a sfiorare il dramma dell’occupazione in Palestina e l’insospettabile (?) ruolo dell’Isis all’interno dei commerci illegali di reperti archeologici che dal Medio Oriente giungono in mano ai collezionisti occidentali.
Avvisata dell’immediata cessione di beni, Nili Broshi si fionda in compagnia del piccolo Doctor, suo figlio, da Abuloff, per esaminare la collezione prima che finisca nelle mani del direttore del dipartimento di Archeologia Rafi Sarid, un professore che ha costruito la sua carriera e il suo successo sulle scoperte del padre di Nili, Israel, adesso ridotto a poco più che un vegetale da una malattia. In qualche modo la strategia di Nili funziona e senza dare troppo nell’occhio riesce a ottenere un reperto all’apparenza banale e insignificante ma che non solo la ricollega alla sua felice infanzia, al periodo in cui da bambina accompagnava il padre agli scavi, ma che contiene le indicazioni per recuperare l’Arca dell’Alleanza.
L’entusiasmo per quella che potrebbe essere la scoperta archeologica più importante del secolo per Nili assume un valore più personale: nonostante la sua esperienza sul campo, Nili non è una vera archeologa, non ha un titolo, è al momento disoccupata ed è una madre single alle prese con un bambino fissato con i videogiochi sul cellulare e un conto in banca in condizioni preoccupanti. La malattia del padre, e di conseguenza la perdita del suo ruolo all’Università di Gerusalemme, non le ha solo precluso la carriera archeologica ma ha anche inasprito i rapporti con il fratello Nimrod – conosciuto da tutti semplicemente come Broshi – che nella speranza di un posto da professore ordinario ha continuato a lavorare con Sarid nonostante il peso che le sue azioni hanno avuto nella storia della famiglia Broshi.
Le speranze di Nili di riuscire a trovare l’Arca da sola, senza dare troppo nell’occhio, durano pochissimo: il luogo indicato infatti passa sotto il Muro di Gaza per arrivare fin dentro il territorio palestinese. Modan non si sofferma troppo sulla questione dell’occupazione in Palestina ma concede alle immagini di parlare per lei: il Muro è una presenza gigantesca, soffocante, incombente, sorvegliata da soldati, ricoperta di immagini che parlano di oppressione e violenza. Nel giro di pochissimo tempo Nili si ritrova circondata da una folla così eterogenea da rasentare l’assurdo: operai ebrei che vedono il prossimo ritrovamento dell’Arca come il segno del ritorno del Messia, arabi che scavano per trasportare le merci da vendere sul mercato nero, Broshi che cerca di trovare il modo di guadagnarsi un po’ di fama, Sarid che vuole confermare la sua, Abuloff mosso solo dalla sua ossessione di collezionista e, per concludere, suo figlio pronto a scaricarle il cellulare con i suoi giochini e… una mucca. Rutu Modan, con un azzeccatissimo gioco di parole, riesce nel sottotitolo a racchiudere perfettamente il senso di tutta questa storia: quell’arca che doveva sancire l’alleanza tra dio e il suo popolo, qui sulla terra, qualche migliaio di secoli dopo, è diventata il simbolo stesso di una discordia che si declina in mille modi diversi.
Il tratto di Rutu Modan – una felice convergenza tra la tradizione di linea chiara francese e quel filone underground che riprende lo stile cartoonoso ed esasperato di alcune produzioni della prima metà del secolo scorso – si sposa alla perfezione con questa storia che sa mantenere in ordine diverse linee narrative, diversi toni, che sa mettere ironia nelle convinzioni ultraortodosse e ottuse dei compagni di Nili e rendere meno pesante la malattia di suo padre. Modan riesce ad alleggerire persino un finale amaro e quasi deludente per il lettore, strappandoci alla fine una risata amara e armata di una consapevolezza nuova sul mondo accademico, sul mercato dell’arte, sull’ipocrisia occidentale verso l’Isis da un lato condannata e dall’altro sostenuta economicamente.
Merita una menzione speciale la prefazione alla storia, firmata da Maria Edgarda “Eddi” Marcucci – sottoposta da marzo 2020 a un’assurda sorveglianza speciale per aver combattuto nelle YPG contro l’Isis – che racconta il contesto in cui si muove l’azione: la drammatica situazione attorno al Muro di Gaza e l’ancora irrisolto conflitto tra palestinesi e israeliani (sul quale, comprensibilmente, Rutu Modan si sbilancia poco) da un lato e dall’altro il rapporto controverso che lega il califfato, i reperti archeologici e le università e i collezionisti occidentali, questi ultimi che pubblicamente si indignano per la distruzione dei reperti archeologici mentre acquistano sottobanco alcuni di quei reperti, finanziando di fatto l’acquisto di armi e tutto il sistema terroristico dell’Isis.
Se bisogna evidenziare almeno una pecca, allora l’unica mancanza di Rutu Modan è di aver scritto una storia esageratamente densa, piena zeppa di colpi di scena, di sotterfugi e di intrighi che si snodano e riallacciano più volte durante la narrazione, per poi sciogliersi un po’ troppo velocemente nel finale, di aver dato un tono eccessivamente drammatico ai personaggi (Rutu Modan fa prima recitare le scene a degli attori e poi disegna i fotogrammi che ritiene più adatti alla sua visione della storia) che hanno gesti e espressioni al limite della teatralità. Eppure, nonostante tutto, Tunnel è un romanzo che diverte e appassiona con la stessa ironia colta e rispettosamente laica de La proprietà.
Traduzione di Leonardo Rizzi