Essentials: Starman di James Robinson

Fascino e contraddizioni di una costellazione di buone idee

Come specie, non possiamo non fare a meno di avere un rapporto bizzarro con le contraddizioni: da un lato le troviamo fastidiose e poco piacevoli, dall'altro sono parte integrante del nostro essere. Magari siamo fieri sostenitori della difesa dell'ambiente, e poi abbiamo in casa così una foresta amazzonica ridotta in carta (colpevole, vostro onore!). Oppure, quante volte abbiamo chiesto la verità a qualcuno, senza volerla veramente?

Le contraddizioni, gli ossimori sono parte integrante della nostra esistenza, e quindi sono parte anche dell'arte che andiamo a creare, e nel nostro caso, sono parte dei fumetti. 

Perché se è vero che il fumetto americano di supereroi sia basato su alcuni personaggi granitici, di maschere che nascondono sempre gli stessi volti, a volte un'aria di cambiamento, un vento di novità può colpire una casa editrice, e in un secondo mescolare le carte in tavola... ma non troppo. 

Nel 1941 Gardner Fox e Jack Burnley creano Theodore Knight, alias Starman, un fisico geniale che inventa una barra che gli permette di incanalare e controllare l'energia cosmica per creare effetti come il volo e la capacità di creare costrutti di energia; un personaggio nato e creato quasi esclusivamente per cavalcare la moda dei supereroi. A ben guardare il costume di Starman, se non fosse per il suo cappuccio particolare, avremmo di fronte l'esatto costume di Superman, solo con dei colori diversi. Eppure Ted Knight vivrà varie avventure nel corso degli anni, e si unirà anche alla leggendaria Società della Giustizia d'America, il primo supergruppo del mondo, senza però mai spiccare troppo.

Nel 1951, Batman vive un'avventura di un singolo numero dove prende l'identità di Starman; nel 1976 si prova a lanciare un nuovo Starman, questa volta un alieno blu armato di una gemma che gli dona superpoteri; poi nel 1980 conosceremo un nuovo Starman, questa volta un principe alieno mutante armato di un bastone cosmico, per poi arrivare al 1988, quando conosceremo un altro uomo delle stelle, questa volta un giovanotto mutato dai raggi cosmici. 

Confusi? Posso capirlo. Da un lato, le case editrici danno sempre più risorse ai personaggi maggiori, ma dall'altro sanno che con i personaggi minori si può sperimentare di più (e inoltre, se si inventa un nome che funziona, ogni tanto va pubblicato qualcosa con quel nome, per tenersi stretto il copyright) e quindi, perché non dare più spazio a Starman? 

E nel 1994, Starman otterrà tutto lo spazio che si meritava, e lo farà con un processo molto particolare: farà sì che tutto fosse vero, e tutto fosse falso. Mi spiego meglio. 

Nel 1994 la serie di Staman viene affidata allo scrittore James Robinson e al disegnatore Tony Harris, ambedue più o meno neofiti del mondo dei supertizi, e quindi pieni di un'energia e di un emozione, unite ad un tono acerbo che usciva da ogni singola pagina.


Il protagonista di questa nuova avventura sarà Jack Kight, uno dei due figli di Ted Knight, costretto a raccogliere l'asta paterna dopo la morte del fratello David, ucciso in missione dai figli dell'arcinemico del padre, il supercriminale noto come la Nebbia.

David e Jack avevano un rapporto particolare: David era una persona inserita bene nella famiglia, sognava di essere un eroe, mentre Jack collezionava anticaglie, faceva arti marziali, dipingeva e aveva un legame conflittuale col padre. Insomma erano, come molti fratelli, uno il contrario dell'altro. 

E così, non solo Jack si trova a dover combattere per la sua vita, ma si trova anche a doversi mettere a confronto con tutto il suo bagaglio personale, con tutta la sua esistenza che gli pesa sulle spalle, in un mondo dove aveva una famiglia, e ora quella famiglia era diventata molto più piccola. 

Ci sono delle piccolezze, nei primi numeri di questa serie di Starman, tutta una serie di piccolezze che sembrano essere insignificanti e sono poi segnali di stile a tutto tondo. C'è il costume da supereroe di Jack, che è fatto da un paio di occhiali da saldatore, una giacca di pelle con disegnata una mappa più legata all'astrologia che all'astronomia ed una stella da sceriffo, c'è il nuovo design della barra di controllo cosmico.

Ci sono i dialoghi, e la voce pensiero di Jack che pensa alle sue collezioni mentre lotta, che mentre sconfigge il suo primo nemico lo sfotte, ma lo sfotte in un modo tutto strano. Il cattivo gli chiede se si senta figo, e Jack gli risponde “Figo? No. Ma al tuo confronto, sono Chris Isaak”. Chris Isaak, uno dei musicisti più interessanti della seconda metà degli anni 90, frequente collaboratore di David Lynch, ma paragone di figaggine? Per chi? Per Jack Knight, di sicuro, ed è qui, la prima parte del genio. 

Perché in poche pagine, ci viene mostrata non solo l'inesperienza di Jack, alle prese con un nuovo ruolo nella sua vita, non solo l'inesperienza del team creativo che crea un dialogo tutto sommato surreale nel climax delle sue prime imprese, ma ci viene anche mostrato che fondamentalmente avremmo letto per molto tempo un qualcosa di ferocemente autoriale. 

Autoriale nella veste grafica, con un illustratore che faceva del fotorealismo e dell'uso di modelli il suo pane, messo a lavorare su di una serie mensile. Ora, non tutti siamo esperti di disegno, né tantomeno di dinamiche produttive, io in primis, ma mettiamola così: si stava mettendo a correre a Maranello un uomo che amava alla follia il velocipede. Eppure... eppure Harris parte un po' a rilento, facendo il suo lavoro migliore sulle copertine più che sugli interni, parte un po' troppo granitico, ma poi esplode come una supernova superando questo problema, regalandoci delle tavole da manuale fatte con una solennità innaturale, fatte di espressioni umane così vere da sembrare tangibili, e al contempo cariche di una visione di stile cartoonist vintage a dir poco deliziosa.

Ogni tavola riesce a creare un suo microcosmo dove convivono fumetti di pirati, psichedelia e azione senza alcuna fatica, senza mai straniare se non per la bravura e il talento del disegnatore, segnandone il look anche quando lascerà la serie. Numerose altre matite si succederanno su Starman, chi per lungo tempo o chi per un solo numero riempitivo, ma l'eredità di Harris sarà tanto pesante quanto liberatoria: Starman non aveva una guida di stile, che non fosse lo stile stesso, fuso ad una sostanza tangibile. Tavole quasi abbozzate, tratti sintetici che andavano a braccetto con stili complessi e pagine quasi pittoriche, e tutto sembrava essere al suo posto, come in una collezione di scatole di latta degli ultimi 100 anni, dove i colori brillanti si uniscono a loghi più o meno discutibili. 

Dal canto suo, Robinson scriveva, scriveva e scriveva. Starman non è un fumetto leggero, è un fumetto verboso come un albo anni 60, ma postmoderno nel suo taglio, un fumetto dove lo scrittore mette tutto se stesso, tutto il suo amore per il passato, tutta quella nostalgia agrodolce che in dosi più o meno grosse può essere fatale, ma se inserita nel giusto contesto ha il potenziale di dare vita a mondi interi.

E così, la città di Opal diventa un qualcosa di grosso ed importante come altre città fittizie famose, piena di comprimari di livello come la famiglia di poliziotti O'Dare, medium che hanno molto più in comune con Jack di quanto possiamo immaginare, criminali forzuti a cui manca davvero molto la moglie e tutta una serie di personaggi di seconda fascia già apparsi in altre serie. 

Perché mentre il team creativo rendeva Jack sempre più vero, più fallibile, meno eroe classico, si faceva anche un lavoro serratissimo sul far sentire questo fumetto di supereroi parte del grande universo narrativo della DC Comics. Avevamo numeri interi dedicati alle avventure del passato di Ted Knight, la cui figura ed il cui rapporto padre/figlio con Jack diventavano sempre più di primo piano, conoscevamo la Società della Giustizia durante il loro periodo d'oro, ma imparavamo cose anche sugli altri eroi che avano portato il nome di Starman, sullo strano criminale noto come l'Ombra, e su molti altri personaggi fascinosi, ma negli anni erano stati esplorati poco.

Facendo leva nel modo giusto sulla grande forza del fumetto seriale, la continuity delle storie, Robinson era in grado di dare vita e creare interesse per concetti che magari non avremmo mai conosciuto se non ci fossimo avvicinati a questa serie. Una serie dove si può davvero apprezzare la folle genialità del detective vestito da pagliaccio chiamato Jester, che conosciamo solo per un numero, ed essere genuinamente felici quando la situazione è buia più del buio stesso, e al giornata viene salvata dalle cupe ali del Condor Nero, il re dei personaggi minori, un supereroe che lo stesso team creativo definiva come “Un tizio che vola e fa cose”, durante le storie di Starman, e tu non solo vuoi saperne di più di questo personaggio (la cui serie anni 90 era oltretutto piuttosto carina), ma credi anche che il cosmo DC sia un qualcosa di bello, di vivo e non solo un monolito che solo chi ha molto tempo libero può scalfire. 

Un fumetto dai tratti indie, che sguazza con gioia nel mainstream. Contraddizioni. 

E mentre la storia andava avanti, saltando fra passato, presente e futuro, Jack cresceva. Cresceva come persona, e come personaggio, risultando in alcuni casi fuori posto nel grande mondo DC, e sotto alcuni aspetti forse uno dei personaggi più allineati alla casa editrice di tutti i tempi. 

Perché è vero, nei circoli degli appassionati di solito si suole dire che la Marvel ci mostra personaggi più simili a chi siamo, mentre la DC ci mostra cosa aspirare ad essere, e Jack non è Superman nella sua immensa bontà, non è Batman nella sua infinita crociata, non è Wonder Woman nel suo cercare la verità a tutti i costi, ma è una persona sempre in movimento, mai fossilizzata. 

Il Jack che dice di odiare suo padre non è il Jack dell'ultimo numero di Starman, il Jack perso nel passato non è quello della metà della serie. In un modo squisitamente pedagogico, Jack cresce in modo epidermico, toccando tutta una serie di problemi, di persone, e da loro prendendo qualcosa e lasciando qualcosa, lettore compreso.

Certo, a volte la crescita di Jack è legata a fattori sovrannaturali, una volta l'anno il nostro viene visitato in sogno da visioni del fratello morto, con cui il nostro parla a lungo, ma non stiamo a sindacare; il signor Knight può anche incenerire un camion puntandogli addosso un bastone, non fissiamoci sui dettagli. 

Ad un certo punto, o meglio dopo 82 numeri di battaglie, di sfide e di emozioni, il viaggio di Jack Knight giungerà alla fine, e nel suo essere sempre particolare, non tornerà mai più sulle pagine dei fumetti come invece hanno fatto altri eroi più o meno nuovi degli anni 90. 

Da un lato, questo non ritorno è legato anche ai diritti del personaggio che, in uno dei rarissimi casi del fumetto di supertizi, sono in parte di proprietà dei suoi creatori originali, dall'altro, dopo 82 numeri, forse non si può più dire nulla su Jack Knight, e non perché sia stato detto tutto. 

La vita, la vita vera quella che viviamo tutti ogni giorno, fondamentalmente non è divertente od appassionante sempre. C'è il giorno in cui prendete un pesce con le mani a 12 anni, ed è un giorno che racconterete a tutti, per sempre, e ogni volta la storia sarà sempre divertente. Ma ci sono anche i giorni di malattia, le giornate dove non succede granché.

Sono forse giorni meno degni da raccontare? No, forse sono giorni che possono intrattenere meno, o forse sono giorni che non vogliamo condividere se non con le persone a cui teniamo di più.

Perché, certo, Starman è un fumetto dalle molte anime, possiamo quasi dire sia una costellazione di buone idee, un fumetto su moltissimi aspetti dell'animo umano e di ciò che ci rende persone. Ma, essendo fondamentalmente un fumetto sulle contraddizioni, Starman è anche un fumetto su qualcosa che l'essere umano non può raggiungere, ma solo vivere: il tempo. 

In Starman si vive nel presente, pensando al passato, mentre si prova a costruire un futuro migliore e alla fine, per Jack Knight, è meglio non apparire in un'altra storia ma restare cristallizzato nei suoi canonici 82 numeri di grande, grandissimo fumetto, ispirando generazioni di creatori non a fare di nuovo Staman, ma a fare un nuovo Starman.  

E a noi lettori non resta che guardare il cielo di notte, contare le stelle, e aspettare di poter esprimere un desiderio, il desiderio di un'altra storia come questa.

Giovanni Campodonico

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