Essentials: Thunderbolts
Per quanto il fumetto americano di supereroi sia estremamente divertente da navigare, vero è che si tratta spesso anche di un qualcosa di assolutamente impenetrabile per il nuovo lettore. Decine e decine di personaggi che si lanciano a tutta forza in scene rocambolesche, ognuno con diversi poteri ed abilità, si muovono come dervisci sulle pagine lasciando il lettore abbagliato dalla poesia violenta della narrazione, ma accecato dalla complessità eccessiva della stessa.
E quando le cose si fanno troppo complesse, o le storie vendono meno, le case editrici hanno di solito una soluzione bella pronta per risolvere ambo i problemi: provare a rilanciare tutto il loro universo narrativo, o almeno la parte che funziona di meno.
Nel 1996, gli Avengers ed i Fantastici Quattro perdevano dunque apparentemente la vita in un grandissimo crossover combattendo il supermutante Onslaught, ma in realtà venivano trasportati, all'insaputa di tutti, in un mondo alternativo dove avrebbero vissuto inedite avventure in nuove e sgargianti serie regolari senza alcuna memoria delle loro storie precedenti, lasciando però un vuoto incolmabile nei cuori degli abitanti dell'universo Marvel tradizionale e in quello dei lettori, un vuoto destinato a essere colmato da qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di prestato e qualcosa di viola: un gruppo di eroi chiamato Thunderbolts!
Mentre il mondo piangeva la disfatta degli eroi, lo spadaccino Citizen V, il gigantesco Atlas, la guizzante Meteorite, il cibernetico Techno, il corazzato M.A.C.H. 1 e la strepitante Songbird facevano il loro debutto a New York ponendosi in difesa dei più deboli ed affrontando piccole e grandi minacce come l'incredibile Hulk od alcuni mercenari di bassa lega.
Tutto questo, con storie da un forte sapore retrò, con una prima uscita che sembrava essere stata preservata nel tempo nell'ambra direttamente dagli anni 80, fatte di azione semplice, dialoghi a base di battute di spirito di bassa lega e di un sentore di pezza messa sopra una decisione folle.
Intendiamoci, nel 1997 gli Avengers non erano la seria A della Marvel come oggi, anzi forse facevano fatica a restare nella B, ma sostituire una serie storica con una nuova fatta di solo personaggi inediti resta sempre una mossa rischiosa a dir poco.
Fortunatamente, il team creativo dietro la serie, composto dallo scrittore Kurt Busiek e dal disegnatore Mark Bagley, non ci aveva detto proprio tutto tutto su questi Thunderbolts. Si erano lasciati una cosetta da raccontare nell'ultima pagina, dove ci veniva rivelato che avevamo già incontrato questi personaggi, solo con un altro nome, quello dei Signori del Male, un gruppo di supercriminali dedito alla conquista del mondo che aveva deciso di mettere in atto un piano diabolico: rubare tutto quello che era rimasto al mondo, ricchezze, potere ma anche la speranza della gente, in una mossa narrativa che non esito a definire il più grande colpo di scena della storia del fumetto di supereroi.
E qui potrei fermarmi. Potrei fermarmi perché questa mossa narrativa, questo colpo di coda magistrale è sì uno dei punti più alti della serie, ma per il lettore moderno è anche uno dei punti più bassi.
Perché una volta spiegato il trucco, la magia ha meno colore, e dal secondo numero in poi della serie, chiunque parlò, parla o parlerà dei Thunderbolts, questa parte ve la ripeterà fino alla nausea. Inoltre io, lettore di oggi che si vuole approcciare alla serie mi ritrovo a dover seguire le avventure di un gruppo di personaggi che probabilmente non conosco neanche. Certo, oggi il Barone Zemo (alias Citizen V) è un personaggio tutto sommato riconoscibile anche dal grande pubblico, ma nel 1997 il criminale non era proprio il più iconico dei nemici. Stessa sorte avevano Power Man/Atlas (ex nemico degli Avengers), Moonstone/Meteorite (avversaria di Hulk), Fixer/Techno (scagnozzo per grosse organizzazioni criminali) e Mimi Spaventia/Songbird (ex wrestler malvagia). Paradossalmente MACH 1/lo Scarabeo era forse il personaggio più noto al grande pubblico, grazie ad un paio di apparizioni in alcune serie animate, ma insomma, anche un lettore scafato avrebbe avuto difficoltà a riconoscere queste “facce note”.
Insomma, l'idea in sé è forte, solida e divertente. Ma l'esecuzione? Cosa mi può dare una storia che ha per protagonisti il fondo del barile? Beh, più di quanto sembri, perché il colpo di scena era solo l'esca, il grosso doveva ancora arrivare.
Per tutti e 34 i numeri per i quali Busiek resterà sulla testata, ci verrà mostrato quello che si può fare davvero con i personaggi di cui non importa nulla a nessuno: tutto quello che ti pare.
La storia dei Thunderbolts non è una storia di criminali che fingono di essere buoni, è una storia di personaggi senza direzione ma con un potenziale immenso, che da soli non erano riusciti a sviluppare, e che ora riuscivano a creare con una chimica straordinaria neanche fossero stati creati per stare assieme.
Una storia di persone che credevano di averle provate tutte nella vita, ma che semplicemente non avevano mai provato a migliorarsi.
E quindi, per tutta la serie, questi criminali (chi più, chi meno) iniziano a capire perché i buoni si prendano così tanto disturbo a salvare gli innocenti, iniziano a capire cosa vuol dire essere rispettati per quello che si fa. E nella miglior tradizione Marvel, i cattivi vengono redenti per davvero, o perlomeno, ottengono quello che non avevano avuto negli anni, uno sviluppo caratteriale, strutturato con maestria lavorando sul passato di questi personaggi, e creando per loro una possibilità di vivere meglio il presente.
Atlas ad esempio s'innamora di un'agente governativo, MACH 1 e Songbird si invaghiscono l'uno dell'altra, nel gruppo entra anche un'adolescente di nome Jolt che crede che i nostri siano davvero degli eroi, e il suo entusiasmo è contagioso... insomma, dopo un solo anno di piani malvagi, e di voglia di conquistare il mondo, i Thunderbolts diventano una forza del bene... più o meno.
Dopo aver fallito la conquista del mondo, Zemo e Techno lasceranno il gruppo, e il posto di leader del team sarà preso da un'altra guest star e posterboy del criminale che cambia barricata: Occhio di Falco, che darà al gruppo una direzione sempre più radicata, e riceverà dallo stesso una grandissima occasione di crescita.
Dal canto suo, Mark Bagley si impegnava, si impegnava tantissimo. In poco tempo, il disegnatore era riuscito a creare un design per ogni membro del gruppo, che riusciva ad essere completamente diverso dal costume da criminali dei nostri protagonisti, unendo uno stile moderno ed efficace, fuso con uno stabile della teoria dei supereroi anni 60: tutti i costumi dei Thunderbolts sono composti da colori primari, fatta eccezione per Citizen V/Barone Zemo che sfoggia un bel costumino violetto, che, se non lo sapeste, era uno dei due colori che negli anni 60 la Marvel usava per i cattivi (l'altro era il verde, per completezza).
E questa sapiente fusione di citazionismo vintage, unito ad una regia anni 90, continua a farsi vedere in tutto l'operato di Bagley, che mostra questi personaggi morbidissimi, ma estremamente dinamici, con forse una debolezza nei volti, che sono sì espressivi ma spesso molto simili l'uno con l'altro: poco conta ai fini dell'azione, che è così fluida e dinamica da sembrare quasi uno storyboard più che una pagina a fumetti.
Ogni tavola di Bagley sprizza un'energia fortissima, anche nelle tavole più ricche di dialoghi (e fidatevi, Busiek non perde occasione per far parlare i suoi personaggi... Parlare parecchio), che è un talento molto raro in un medium così bombastico ed esplosivo.
L'arte di Bagley in generale non è la più abbagliante di sempre, ma c'è nel suo tratto tutta una serie di influenze del classico stile Marvel che danno ad ogni suo disegno, specie in questa saga, l'idea di essere di fronte ad una versione definitiva di alcuni soggetti, grazie ad una visione e ad un'attenzione anche alle geometrie interne del disegno (Bagley arriva da un background di disegno tecnico, dopotutto) che esplodono di talento vero.
Sintomo di talento del team creativo sono anche tutti i piccoli, e grandi, segnali di stile che permeano ogni aspetto della storia, partendo da quelli più semplici, come aver dato come arma a Citizen V una spada, simboleggiando il suo essere un opposto di Capitan America che invece usa uno scudo, o anche il nome stesso del gruppo “Thunderbolts” scelto dal Barone Zemo (che - ricordiamo - negli anni 90 essere ancora un convinto nazista) per la sua assonanza con il termine “Blitzkrieg”, un nome scelto apposta per essere “criptofascista”, sia per consolidare l'idea di tranello dietro il team, ma anche forse una critica sottile alla pratica non proprio legale del vigilantismo.
Sembra quasi che ad ogni lettura di questi primi 34 numeri di una serie che partiva con un concetto esplosivo ma rischioso, si possa trovare qualcosa di nuovo, qualche dettaglio che ci era sfuggito: è così, siamo di fronte ad una serie che ha come punto fondante i segreti dopotutto, è chiaro che questi ultimi siano sempre preponderanti.
Segreti che sono peraltro metatestuali, perché il grande segreto dei Thunderbolts è il segreto di come fare un bel fumetto, e di come fare un bel fumetto anche per il lettore occasionale.
Perché certo, è divertente, anzi divertentissimo leggere tra le righe della serie, e fare a gara a chi sia più appassionato fra noi e Busiek, ma è vero che questo è un fumetto che regge benissimo anche se di fumetti non se ne è mai letti. Tutto viene spiegato, i riferimenti al passato dei nostri personaggi esistono, sì, sono un po' complessi, è vero, ma la storia è così affascinante che ci si può anche passar sopra, oppure, sia mai, decidere che forse questo bell'universo Marvel è così interessante che va esplorato per benino, perché se mi diverto così, liberamente, chissà come posso farlo con tutto il contesto sotto mano. Oppure no, e va bene lo stesso.
Il segreto, era un segreto di Pulcinella, questo fumetto era un classico fumetto Marvel, un fumetto di supereroi con i superproblemi, un fumetto che rappresentava il mondo che potevi vedere fuori dalla finestra, se nel mondo ci fossero alieni robot e modem che controllano le menti, un fumetto dove i supereroi sono un soldo la dozzina, ma i nostri Thunderbolts, sono un po' diversi.
Questo si deve chiedere ad un fumetto: che sia scritto bene, e disegnato bene. Thunderbolts riesce benissimo, e inoltre decide anche di essere una lezione sul perché gli universi condivisi siano così divertenti. Non doveva farlo, ma gli sono grato che l'abbia fatto.La tagline della serie, era “La giustizia come il fulmine”, lo stesso fulmine che mi diede un colpo quando acquistai il mio primo fumetto dei Thunderbolts, quando quei criminali ripresero le vecchie abitudini e mi rubarono il cuore.
Certo, la serie negli anni è andata avanti, dopo Busiek è arrivato Fabian Nicieza, che ha traghettato il gruppo per molti anni a venire, con alcune idee molto buone (ed alcune... meno), ed ha subito un paio di rilanci più o meno famosi, più o meno (molto più che meno) ispirati prima ad un circuito del wrestling, poi alla Suicide Squad di John Ostrander e Kim Yale che, per carità, sono anche divertenti ed appassionanti, ma quei primi 34 numeri, quei primi tre anni di vita sono stati un fulmine a ciel sereno, un esperimento riuscitissimo, ma difficilmente replicabile.
Io, in realtà, in una seconda venuta di un qualcosa fatto così, ci spero ancora.