Retrocomics 03 - Vitamorte, una storia d'amore

Uncanny X-Men #186 - ottobre 1984

Terzo appuntamento con Retrocomics, la rubrica che parla del passato del fumetto, ma senza malinconia o in modo acritico.

Stavolta non parleremo di una rivista in particolare, bensì di un numero preciso e cioè il dodicesimo de Gli Incredibili X-Men pubblicato dalla Star Comics nel lontano 1991. Già, tra l’uscita negli Stati Uniti e quella in Italia ballavano circa sette anni: fu un periodo alquanto bizzarro quello per tutte le pubblicazioni Marvel, divise, sul nostro suolo, tra vari editori, con la continuity che faceva "ciao ciao" (per intenderci: nello stesso mese usciva per Play Press Wolverine #19, con storie del 1989) e i vari crossover che soffrivano di questo sfasamento; per fortuna era un momento in cui le storie multitestata erano ancora poche.

Ma com’era invece la situazione in America nel 1984?

Da questa Top 100 di un paio di mesi prima dell’uscita di Uncanny X-Men #186 possiamo notare che:

· Vendevano parecchio i fumetti dei supergruppi.

· Il mega evento della Marvel Secret Wars, una delle tante idee geniali di Jim Shooter, andò molto bene.

· Detective Comics e Batman non se la passavano molto bene.

· X-Men era uno dei fumetti più venduti.

Quest’ultimo punto fu possibile grazie al lavoro di molti artisti come John Byrne, John Romita Jr, Terry Austin, tutti coadiuvati da Chris Claremont, ovvero sia colui che plasmerà il gruppo mutante rendendolo una gallina dalle uova d’oro per anni; tuttavia, Claremont riuscirà a litigare praticamente con tutti i suoi collaboratori, editor e superiori - c’è da dire che spesso aveva ragione, ma la ragione non è mai sufficiente a farti mantenere il posto di lavoro.

Claremont scriveva gli X-Men dal numero 94 e da quasi un decennio ne era il plasmatore; oltre che vero e proprio creatore di una marea di personaggi (tra cui Gambit e Rogue), muoveva i fili delle loro vicende mostrando, per la prima volta, anche il lato privato dei supereroi, cosa che farà definire la saga ultra ventennale di Claremont come una lunga soap-opera. Ed è proprio il momento intimo di uno dei personaggi cardine degli X-Men, ovvero Tempesta, signora degli elementi atmosferici, considerata una dea in Africa. Tempesta aveva appena perso i suoi poteri a causa di un’arma creata da Forge, un altro mutante con il potere di... forgiare macchinari e armi: dopo l’incidente la ritroviamo ospite proprio nell’appartamento di Forge in stato praticamente catatonico.


Sembra quasi che dorma, un momento di tranquillità dopo tanto caos nella sua vita, ma guardiamo la pagina successiva.

La tranquillità è sparita, ha lasciato il posto a una sensazione di tristezza, di sfinimento.

Di tutto ciò è responsabile la capacità del disegnatore di tratteggiare con poche vignette un intero stato d’animo... Ma chi è questo disegnatore? È Barry Windsor-Smith, un artista britannico che avrebbe inciso nella vita editoriale di Conan il Barbaro, Wolverine e, per l’appunto, Tempesta. Un autore completo, sempre poco avvezzo alle lavorazioni e alle tempistiche che i fumetti di supereroi richiedevano ma uno che con relativamente poche storie avrebbe segnato decenni del fumetto.

La sua Tempesta è una donna adulta, muscolosa e sensuale, una persona che ha perso una parte di sé fondamentale ma che cerca di reagire e che trova in Forge qualcuno che la capisce e che la può comprendere. Sono due menomati: Forge è stato gravemente ferito in Vietnam, mentre lei ha perso i suoi poteri; due esseri umani lontani dalle loro origini, lui è un Cheyenne che ha voltato le spalle alla sua tribù e al suo retaggio, lei è separata dalla sua amata Africa.

Claremont fa sì che si sviluppi un repentino, forse troppo, colpo di fulmine tra loro due: sembrano fatti l’uno per l’altra, ma essendo una soap-opera può andare tutto bene?

Chiaramente no.

Tuttavia non è né la storia d’amore tra loro due né la vicenda parallela che si sviluppa nell’albo e che lascia il tempo che trova a far decollare e rendere doverosa la lettura di questo fumetto: sono le pagine dedicate alla mutante, così piene di vita, così dolorose  e che ci consegnano un personaggio dalla mille sfaccettature e non solo un supereroe. È qualcosa che ai tempi era innovativo e ancora adesso lascia a bocca aperta perché la realtà entra prepotentemente nella vita dei fumetti. 

Non per niente sia Vitamorte I che in Vitamorte II iniziano nella stessa maniera, ovvero con una didascalia che recita:

“C’era una volta una donna che sapeva volare”.

Ma quindi esiste anche un seguito di questa vicenda? Sì, uscirà esattamente un anno dopo in Uncanny X-Men #198; stesso team, solo che questa volta il buon Windsor-Smith si supererà e si inchiostrerà e colorerà da solo, rendendo le tavole ancora più personali. Dove in Vitamorte I sono presenti un grande senso di tristezza e di perdita nel seguito sono, invece, la consapevolezza e l’accettazione di se stessi a farla da padrone. Ci sarebbe anche una terza parte, ma le alte sfere della Marvel di allora bocciarono l’idea di Windsor-Smith perché la consideravano un’apologia del suicidio. Il nostro, però, non si rassegna e anni dopo, grazie alla Fantagraphics, fa uscire Adastra in Africa, una storia apocrifa di Tempesta.

Forse se Vitamorte ha un difetto (di poco conto, per quanto mi riguarda): per poter essere apprezzata al meglio andrebbero letti i numeri precedenti, per meglio capire il rapporto tra Tempesta e i suoi poteri. Questo sarà l’ultimo grande attrito tra Claremont, che propendeva per continuare a scrivere così, e la Marvel, che invece premeva per storie più facilmente accessibili ai nuovi lettori.

Luca Frigerio

P.S: Sappiamo tutti che i migliori mutanti di quell’epoca erano lei, Wolverine e Nightcrawler. I peggiori erano e rimarranno sempre Ciclope e il Professor Xavier.



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