La Fattoria dell'animale: intervista a Stefano Antonucci

Tra Orwell, la distopia, la satira e il populismo



"Animal Farm, una novella allegorica sulla Russia sovietica dallo scoppio della Rivoluzione alla dittatura stalinista, è stata scritta da George Orwell nel 1945. Settantacinque anni dopo, siamo convinti che quell’opera possa ancora aiutarci a interpretare la realtà."
Con queste parole Stefano Antonucci, Daniele Fabbri e Boscarol hanno presentato la loro graphic novel La Fattoria dell'animale, pubblicata da Feltrinelli Comics. Abbiamo raggiunto Antonucci (tra le altre cose co-fondatore dell'etichetta Fumetti di Cane) per parlare dell'opera, ma anche di Orwell, di satira e di altro.


Ciao, Stefano. Partiamo dalle origini: come nasce La Fattoria dell’animale?
Come tutti i figli (qualcuno ha dimenticato i preservativi a casa).

La storia è ispirata alla celebre novella allegorica di George Orwell, di cui La Fattoria dell'animale è in qualche modo un omaggio e un sequel. Che rapporto hai con quell'opera?
Ho letto La Fattoria di Orwell da ragazzino. Intuivo ci fossero più piani di lettura ma all’epoca non li coglievo. Tutta la metafora della Russia, dalla Rivoluzione al regime Stalinista è arrivata con riletture successive.
Con il fumetto ci siamo divertiti a inserire piani di lettura diversi, ma in questo caso la metafora principale racconta l’ascesa dei movimenti populisti grazie alla loro comunicazione e all’uso sistematico della menzogna.

Quanto è difficile confrontarsi con un classico della letteratura? E in che misura quelle stesse tematiche sono riuscite a resistere allo scorrere del tempo?
Per rivisitare un classico servono amore per quel libro, idee chiare e tanta incoscienza.
La Fattoria di Orwell è un’opera satirica che racconta il suo tempo, ma il valore letterario è tale da far funzionare il racconto anche a settant'anni di distanza.
Un altro esempio di satira letteraria è il romanzo I viaggi di Gulliver di Swift, nato come forte critica alla società inglese del 1700: regge benissimo il passare del tempo.


Sempre per rimanere in tema, un altro grande classico di Orwell che è impossibile non citare è 1984, una storia incredibilmente attuale anche e soprattutto nel concetto di riscrivere il passato in funzione della propaganda. Anche in questo caso ci sono delle affinità con i tuoi lavori?
Anche in 1984 c’è una feroce critica allo stato totalitario, ma l’aspetto che più ho amato di quel libro è il mondo distopico creato da Orwell per criticare, in quel caso, il modello sovietico.
Poi, come sappiamo bene, ha vinto il modello capitalista e il futuro è andato in direzioni diverse.
La metafora dietro la Fattoria si prestava meglio al nostro modo di fare satira.

Una delle tematiche principali de La Fattoria dell'animale è il populismo moderno e la narrazione perpetrata da leader che sfruttano il populismo a fini politici. In che contesto avete ideato questa storia e che rapporto ha con la realtà che ci circonda oggi?
La Fattoria dell’animale mette a confronto la comunicazione politica, con l’oggettività delle cose, in una realtà come la nostra, dove le parole con cui si raccontano i fatti contano più dei fatti stessi.
Nella parte illustrata, il fumetto racconta la storia, senza giudizi morali o politici, mentre nelle didascalie si legge il racconto che la propaganda fa di quella stessa storia, creando il cortocircuito grottesco.
Il fumetto è stato pensato per raccontare un nuovo tipo di politica che sta dilagando in tutto il mondo e oggi l’emergenza sanitaria, non ha fatto altro che esasperare i populismi e le loro politiche.

Come si è svolta la collaborazione con Daniele Fabbri e Maurizio Boscarol?
Con Daniele siamo oramai una coppia di fatto. Per i nostri lavori abbiamo subito atti vandalici, censure, querele e inviti ad apericene.
Con Maurizio ci conosciamo da tanto, lo reputo uno dei disegnatori satirici più puntuali, sia nei contenuti che nella tecnica artistica. Ci serviva una scusa per lavorare con lui e quando abbiamo firmato per Feltrinelli, lo abbiamo tirato dentro.



Tra Quando c'era LVI, Il piccolo Führer e Il Ruspa, giusto per citarne tre, avevi già avuto modo di sviluppare storie di satira politica. Ci sono dei paletti che ti imponi nel trattare temi attuali e complessi di questo tipo o riesci sempre a lavorare in completa libertà da eventuali condizionamenti?
L’unico paletto della satira è la legge. Per il resto tutto è concesso.
Piccola nota critica. Spesso sul web vedo usare la parola “satira” per giustificare post o battute gratuite, che non solo non criticano il potere di turno ma spesso deridono le vittime. La satira non serve a deresponsabilizzarti. Quello che scrivi ti qualifica. Scrivere “è satira, fatti una risata” ti qualifica come uno stronzo.

Su cosa sei al lavoro attualmente?
Non ho progetti in ballo, per raccontare bene bisogna prendersi il tempo di capire a fondo quello di cui si vuole parlare. O almeno questo è quello che dico per giustificare la mia pigrizia.
In questi giorni però ho preso parte ad una autoproduzione messa in piedi da Marco Tonus, Pangolino, parodia satirica del più famoso Topo, che racconta la Fase 1 dell’emergenza. Un bell’esperimento.


Grazie ancora per la disponibilità.

Il sommo audace

Post più popolari