TEX: Cinnamon Wells

70 anni di vita editoriale: una strana coppia e una recensione inutile.

Prima ho cercato su Google “Tipi di baffi: quale scegliere?”. Poi ho lavato le mani, compresi gli avambracci. Il clima umido rende le superfici appiccicose ed i miei summenzionati arti ne risentono per il notevole fastidio, soprattutto se davanti ad una tastiera nell’intento di recensire una pubblicazione non di poco conto: il cartonato di 56 pagine dal titolo all’odore di cannella Cinnamon Wells con protagonista il nostro, per l’occasione in solitaria, Tex.

Al clima infernale, alla pubblicazione di rilievo (la conoscete la storia dei 70 anni di vita editoriale di Tex, vero?), si aggiunga anche che trattasi della mia prima recensione ed il quadro è perfetto per tentare di trovare un qualsiasi pretesto impedente o almeno dilatorio e lasciare inevasa la richiesta degli Audaci (ma lo sapete in che guaio vi siete cacciati?). M’hanno pure preso per culo in libreria!
Scusate, devo fare la pipì!
(Dopo due settimane…)
Suvvia, adesso si riprende sul serio.
Partiamo dai propositi. Questa recensione riguarda Cinnamon Wells (tradotto: pozzi di cannella), ottavo albo “alla francese” della collana Tex Romanzi a Fumetti. La pubblicazione cade nel settantesimo anniversario di vita editoriale del personaggio più iconico della Sergio Bonelli Editore. Parleremo della “strana” coppia di autori, Chuck Dixon e Mario Alberti; cercheremo di argomentare su presunti aspetti claudicanti della storia (ed in particolare del finale) e sul segno dell’Alberti, definito in chiusura dell’albo a “spigolo tagliente” ma a noi apparso acquoso, sfocato e sfuggente.
Cercheremo di fare tutto questo con simpatia e digressioni, che qualcuno potrebbe definire - a ragione - frutto bacato della mente di un idiota. Lo faremo affinché (certo sto utilizzando una proposizione finale!) nessuno possa averne a male e anche e soprattutto per non prendersi troppo sul serio.
Ultimo disclaimer: potrebbero esserci degli spoiler (e con gli inglesismi siamo al completo!).


LA STRANA COPPIA
Allora, ci sono un americano e un italiano... Okay, lo ammetto: sembra l’incipit di una barzelletta, apparentemente senza il terzo personaggio (il francese o il tedesco), eppure non lo è. A ben vedere la "strana coppia" non è poi tanto strana.
Chuck Dixon, l’americano, è un vecchio gufo della Pennsylvania che nei primi anni 90 scriveva per DC Comics storie di Robin e poi Nightwing, Birds of Prey, Batgirl, Catwoman e soprattutto Batman. È uno dei creatori del villain Bane e Bane spacca... la schiena del buon Cavalier Oscuro (se questo per voi è uno spoiler state messi male!).
Il suo esordio per la SBE su Tex risale al 2017, con la storia Terrore tra i boschi per i disegni di Michele Rubini (pubblicata sul Tex Magazine). Ora: ’ste cose le potete trovare ovunque “sull’internèt”, a me servono solo per darvi un’idea sullo spessore del nostro Chuck. Insomma, non è uno di quegli scrittori pizzamoscia che fanno presentazioni nelle librerie di paese con fotocopie sottobraccio.

Accanto all’americano dal cognome a metà tra un presidente degli Stati Uniti e un prodotto per il bucato in lavatrice, l’editore di via Buonarroti al civico 38 affianca l’altra metà della barzellet... ehm, della coppia creativa: l’italiano Mario Alberti.
Da lettore di Nathan Never lo ricordo bene.

Permettete a questo punto una breve digressione personale. La mia scuffia per i fumetti nasce negli anni in cui esordisce ufficialmente il genere della fantascienza in casa Bonelli con il “musone” Agente Alfa. Le prime storie le ho impresse tutte nella memoria (che enfasi penosa!) e tra queste figura anche Il Canto della Balena disegnato da Mario Alberti. Fine della digressione. Se volessimo aggiungere solo un tocco di cattiveria: oggi Nathan Never è divenuta una lettura ai limiti dell'imbarazzante e di questo sono molto dispiaciuto (scusa Nat, ti voglio bene lo stesso).


Tornando a noi: in cosa consiste la stranezza di questa coppia? Sono due autori conosciuti e apprezzati dagli amanti della Nona arte. Hanno entrambi ottenuto riconoscimenti internazionali con la pubblicazione dei propri lavori al di fuori dei rispettivi confini nazionali.
Dunque dov’è la stranezza?
Più sopra facevo riferimento all’incipit di una barzelletta. Non era un caso.
Ci sono un americano, un italiano e (adesso posso dirlo!)... Tex, il nostro convitato di pietra!
Mi spiego meglio con un breve dialogo fatto in casa.

Dialogo ipotetico tra un impegnato Chuck (Dixon) e un non so il Tex (Willer).
Tex - Serve una mano?
Chuck - Sto cercando di capire come riuscire a scrivere una tua nuova storia che sia un po’ lontana dai tuoi cliché, quella versione stereotipata che ti vuole granitico e mammasantissima-so-tutto-io...
Tex - Non ti consiglio di fare la prova, amigo! Tex sono io e me lo scrivo io!

Rubacchiando qua e là, con uno stile piuttosto discutibile, intendo mettere in evidenza come il nostro eroe sia difficilmente irreggimentabile in storie estremamente originali o di taglio particolarmente moderno. Un masso di granito non lo sposti con la forza del solo pensiero! (A meno che vecchio dalle orecchie a punta tu non sia!). A questo si aggiunga il carattere sostanzialmente conservatore con cui la casa editrice tratta il suo personaggio di punta. Il rapporto tra il Dixon e l’Alberti è lo stesso esistente tra il Brunelleschi e un altro Alberti, Leon Battista, al tempo della costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze nell’ormai lontanissimo 1418. Quest’ultimo era stato affiancato al primo per controllarne l’operato e per supervisionare i lavori di costruzione. I committenti non erano particolarmente fiduciosi nel progetto innovativo e spregiudicato del primo vero architetto dell’era moderna. Sappiamo che Brunelleschi mise nel sacco l’Alberti assentandosi un giorno dal cantiere adducendo motivi di salute e successivamente richiamato d’urgenza per il crollo di una parte della costruzione affidata alla direzione dell’anziano artista, suo controllore.

Dixon non riesce a mettere nel sacco del tutto l’Alberti, Mario. Con Cinnamon Wells l’autore americano imbastisce una storia all’americana (appunto!) con uno stravolgimento di alcuni canoni propri delle storie dell’eroe: qualche efferatezza di troppo, qualcuno che muore all’improvviso senza che Tex possa intervenire, esplosioni che colgono impreparato il ranger dalla camicia gialla. Alberti segue lo svolgimento del tema con qualche incertezza, schiacciato da un Tex che si scrive da solo, da una parte, e da uno scrittore che per natura è poco avvezzo all’ortodossia di casa Bonelli.
E veniamo al secondo tema.


IL FINALE ZOPPO O PRESUNTO TALE
Chi legge il Nostro è ben abituato a finali dove il senso di giustizia del lettore è pienamente appagato da un eroe che con la sua volontà coriacea porta a termine la battaglia contro il cattivo di turno. Spesso questa volontà viene esplicata attraverso una vera e propria sottomissione dell’antagonista: la sua sconfitta è totale e il senso di redenzione è completo. I torti hanno vita breve e se Tex avesse un profilo Twitter forse cinguetterebbe: la pacchia è finita!
Ovviamente è uno scherzo: Tex non ha Twitter ma soprattutto non è Salvini!

Nella storia in questione il finale non vede l’applicazione del meccanismo cui facevamo cenno poc’anzi. Tex prende un’altra direzione, opposta a quella dei malviventi che, comunque, faranno una brutta fine, ma non per mano del protagonista!
Dunque, questo non succede qui. "Come tra un quattro e un cinque"*, al termine della lettura ci pervade un senso di spiazzamento, una insoddisfazione strozzata in gola. Manca la mannaia della giustizia a decapitare i troppo spavaldi fuorilegge. Il primo pensiero va ad un finale sospeso dove il conflitto inscenato resta irrisolto. Accade spesso in certi film americani lontani dal mainstream hollywoodiano. Siamo abituati.
La sensazione, invece, è quella di una troncatura della storia con un chiusura affrettata per mancanza di pagine.

Ho riflettuto sulla cosa parecchio e mi sono addormentato sulla poltrona.
Dopo due giorni, al mio risveglio... la folgorazione! E se Dixon avesse “menato un traino”** a Tex? Se avesse risposto per le rime a chi sostiene che Tex si scrive da sé?
Allora il finale non sarebbe zoppo. Piuttosto sarebbe la conclusione normale di una storia più realistica del solito, più aggrappata al vero di tante altre storie.
Nonostante la nostra abitudine all’onnipotenza e onnipresenza (a volte persino fastidiosa) del Ranger, che spesso ci fa esclamare “Echec@##o, questo non è possibile!”, in Cinnamon Wells Tex fa la cosa più giusta: aiuta chi è in difficoltà e sceglie di farlo perché sarebbe irrealistico aiutare i deboli e punire contemporaneamente i birbanti.
Questa mia idea, tra l’altro, ben si sposa con il taglio delle inquadrature, i primi piani, l’andamento filmico della sceneggiatura: sembra quasi di stare al cinema, appunto, a vedere un vecchio western proletario di Sergio Leone dove la pistola sta al pistolero come la cazzuola sta al muratore. Dove la necessità spinge all’audacia ma spesso, repentinamente, muta in tragedia.


CENNI SUL DISEGNO DI MARIO ALBERTI
Finalmente arriviamo alla conclusione. Sarò sintetico, per due ordini di motivi: non posso (e non voglio) esprimere giudizi eccessivamente tecnici sul lavoro del disegnatore; c’ho da giocare una partita alla Playstation con il mio amico Napoleone (e non posso farlo attendere troppo!).
Accennavo più sopra ad uno disegno acquoso, sfocato e sfuggente. Conoscendo altri lavori di Alberti sono stato onestamente spiazzato dalle prime pagine. Parte di questo spiazzamento è sicuramente dovuto alla presenza del colore, elemento rilevante nella resa finale dell’albo.
La sintesi sottrattiva del disegno, dove molti elementi sono appena accennati, rende la lettura dei personaggi abbastanza difficile. Spesso sono stato costretto a tornare indietro per capire il ruolo di chi parlava o faceva qualcosa. Anche Tex sembrava piuttosto fuori fuoco (sarà stato per il caldo del deserto?) nella definizione dei suoi aspetti iconici più salienti. Questo ha contribuito ad una lettura frammentaria, a continui stop alla ricerca di chiarimenti figurativi.
Tutto questo viene però compensato dal notevole impatto delle tavole, veramente spettacolari al momento del colpo d’occhio iniziale.
Il colore di Matteo Vattani in questo caso non ha aiutato a dare la giusta profondità ai disegni. Per questo motivo accennavo a quel senso di “acquosità”: sembra come leggere una storia con la maschera subacquea!
Ecco qui tutto quello che penso su Cinnamon Wells.


Adesso scappo, scusandomi preventivamente per avervi fatto perdere del tempo dietro queste elucubrazioni da bar dei poveracci al bicchiere della staffa! Ne sono pienamente consapevole e per parafrasare un noto imbroglione del cinema: non vorrei mai leggere una recensione che fosse scritta da uno come me.
Salvezze illimitate.

Post scriptum ad uso e consumo degli str0₩%i esegeti della lingua italiana:
* “Come tra un quattro e un cinque” è l’equivalente dell’espressione “in un attimo”.
** “Menare un traino” (rectius traìno) è modo di dire dialettale che corrisponde all’italiano tirare un colpo basso, prendere per il naso, gabbare.


Rick Tavoletta Fortin



TEX “Cinnamon Wells”
SERIE: Tex Romanzi a fumetti
DATA: Settembre 2018
SERGIO BONELLI EDITORE
SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Chuck Dixon
DISEGNI E COPERTINA: Mario Alberti
COLORI: Matteo Vattani

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