Mercurio Loi #5
"Happiness is a warm gun"
L'infelice è il Mellon Collie and the Infinite Sadness di Alessandro Bilotta (fan degli Smashing Pumpkins, siete stati avvisati!). Una storia sull'infelicità che deriva dalle eccessive capacità mentali dei due protagonisti. Due modi diversi, ma non inconciliabili, di affrontare questa condizione e al contempo di presentarla ai lettori.
Ci vuole coraggio per proporre temi del genere. Alessandro Bilotta non è un semplice narratore ma vuol farci partecipi della sua visione del mondo, che chi ha avuto modo di leggere la sua produzione passata (pensiamo a La Dottrina, o alla discesa nel gorgo del suo Valter Buio) conosce e apprezza da molti anni.
L'autore romano ci suggerisce che, più che una serie di sfortunate coincidenze ed esperienze, l’infelicità è una condizione ontologicamente umana, in quanto tutti gli uomini sono infelici.
Partendo da questo assunto, che poggia su solidissime basi filosofiche, letterarie e antropologiche, Bilotta propone, come sempre, le sue varianti sul tema e racconta la storia da due punti di vista, dicevamo prima, diversi ma non inconciliabili. Lo scrittore romano ci dice, tra rimandi diretti e indiretti a Giacomo Leopardi, che questo stato dell'animo umano è il figlio non voluto del ragionare e del rimembrare. Non tutti, però, sono in grado di usare la ragione in un certo modo e - soprattutto - non tutti sanno, o meglio, vogliono, ricordare: meglio dimenticare, complice un tuffo nelle acque del Lete, gli scorni e le miserie che affollano il nostro animo e i fallimenti nei quali ci si imbatte quotidianamente.
Questo non vale per il nostro Mercurio Loi, il quale trasforma questo sentimento, avvertito dai più come negativo, in spinta ad agire, in una prospettiva vitalistica.
Ancora una volta Bilotta sconvolge il patto dialogante e fecondo tra autore e tradizione letteraria e propone due personaggi extra ordinari (e a modo loro, eroici), totalmente fuori dagli schemi rassicuranti dei cliché narratologici.
Se la condizione del protagonista - a partire dagli eroi della classicità (si pensi ad Achille o a Enea) - è quella di dover chinare la testa di fronte ai capricci delle divinità e, soprattutto, sottostare al volere ineluttabile del Destino, ne L'infelice abbiamo un ribaltamento di prospettiva davvero degno di essere annoverato tra le intuizioni migliori dell'autore romano.
L'Infelice è finora il villain più straordinario della saga loiana (gli Audaci sperano vivamente di rivederlo in altre storie). Completamente schiacciato e devastato dal Fato, reagisce trasformandosi in Fato egli stesso: cessa, infatti, di essere uomo tra gli uomini e si rende da sé "demiurgo" di eventi nefasti e - lui sì, da vera divinità - lavora ai suoi piani superiori, i "masterplan" che gli uomini attribuiscono, a seconda dell'utile o del danno che gliene viene, agli abitanti del cielo o degli ìnferi.
Dall'altra parte abbiamo un Mercurio Loi che non si rassegna agli eventi predisposti ordinatamente dal suo nemico, peraltro già affrontato in passato. In un contesto caratterizzato dall'assenza di interventi e conforto divini, come presumiamo sia quello in cui opera un uomo che incarna il logos puro, il professor Loi tenta di risalire alla causa prima dell'infezione di infelicità per portare il suo aiuto e porre rimedio lì dove la sua nemesi ha provocato il volo della farfalla che provocherà una serie di eventi tragici in altri luoghi.
Infatti, l'Infelice è convinto che tutti gli esseri viventi siano connessi tra loro e che, di conseguenza, sia possibile - con uno studio capillare su comportamenti e relazioni umane - diffondere, sua unica missione, il morbo dell'infelicità. Ma nel fare questo egli non persegue alcun piacere: seguendo Aristotele, è convinto che obiettivo del saggio sia evitare il dolore e non cercare il piacere. Il dolore, nel suo caso, ha origini antiche in traumi che lo svolgimento della storia renderà, allo stesso tempo, comprensibili e insopportabili per il lettore "simpatetico". Il suo agire estremamente razionale appare, in realtà, un disperato tentativo di riversare lo strazio e il dolore che si porta dentro sull'opaco atomo di male che è la Terra.
E sul finale, ancora in netta contrapposizione con la figura dell'eroe classico, il quale vive e agisce per essere ricordato, l'Infelice è incapace di morire perché da autentico nichilista ha capito che anche la morte dopo una sfida tra alti ingegni e l'essere ricordato non hanno nulla di grande, nulla di nobile, nulla di piacevole.
Molto ci sarebbe da discettare sull'aderenza dello stile di Andrea Borgioli a quanto viene narrato nella storia. Riguardo la sua evoluzione stilistica recente, va considerato che molti tra i disegnatori che tendono a un certo grado di sintesi e pulizia del tratto, prima o poi si rivolge al maestro del gotico Mike Mignola per chiedere conforto. Al contempo Borgioli fa dell'espressività dei personaggi una punta di diamante, al punto che anche le vignette mute risultano decisamente eloquenti. Le tavole sono rese ancor più preziose dal contributo ai colori di Francesca Piscitelli, ormai divenuta una garanzia con scelte cromatiche pertinenti e mai eccessive.
A conti fatti, considerando anche la copertina più riuscita e d'atmosfera di Manuele Fior, è un albo davvero incredibile. Nessuno come Bilotta riesce a fornire così tanto cibo per la mente in così poche pagine di un fumetto. Quasi ogni tavola contiene una riflessione arguta e profonda sulla (in)felicità, riuscendo sempre a evitare di sembrare banale o superficiale o manieristico. La struttura stessa della storia rievoca la sostanza di cui parla, procedendo a ritroso, con lo sguardo sempre puntato verso ciò che è già accaduto, allo stesso modo in cui l'uomo di indole triste non riesce a smettere di pensare al passato con una certa dose di nostalgia.
L'infelice è il Mellon Collie and the Infinite Sadness di Alessandro Bilotta (fan degli Smashing Pumpkins, siete stati avvisati!). Una storia sull'infelicità che deriva dalle eccessive capacità mentali dei due protagonisti. Due modi diversi, ma non inconciliabili, di affrontare questa condizione e al contempo di presentarla ai lettori.
L'autore romano ci suggerisce che, più che una serie di sfortunate coincidenze ed esperienze, l’infelicità è una condizione ontologicamente umana, in quanto tutti gli uomini sono infelici.
Partendo da questo assunto, che poggia su solidissime basi filosofiche, letterarie e antropologiche, Bilotta propone, come sempre, le sue varianti sul tema e racconta la storia da due punti di vista, dicevamo prima, diversi ma non inconciliabili. Lo scrittore romano ci dice, tra rimandi diretti e indiretti a Giacomo Leopardi, che questo stato dell'animo umano è il figlio non voluto del ragionare e del rimembrare. Non tutti, però, sono in grado di usare la ragione in un certo modo e - soprattutto - non tutti sanno, o meglio, vogliono, ricordare: meglio dimenticare, complice un tuffo nelle acque del Lete, gli scorni e le miserie che affollano il nostro animo e i fallimenti nei quali ci si imbatte quotidianamente.
Questo non vale per il nostro Mercurio Loi, il quale trasforma questo sentimento, avvertito dai più come negativo, in spinta ad agire, in una prospettiva vitalistica.
Ancora una volta Bilotta sconvolge il patto dialogante e fecondo tra autore e tradizione letteraria e propone due personaggi extra ordinari (e a modo loro, eroici), totalmente fuori dagli schemi rassicuranti dei cliché narratologici.
Se la condizione del protagonista - a partire dagli eroi della classicità (si pensi ad Achille o a Enea) - è quella di dover chinare la testa di fronte ai capricci delle divinità e, soprattutto, sottostare al volere ineluttabile del Destino, ne L'infelice abbiamo un ribaltamento di prospettiva davvero degno di essere annoverato tra le intuizioni migliori dell'autore romano.
L'Infelice è finora il villain più straordinario della saga loiana (gli Audaci sperano vivamente di rivederlo in altre storie). Completamente schiacciato e devastato dal Fato, reagisce trasformandosi in Fato egli stesso: cessa, infatti, di essere uomo tra gli uomini e si rende da sé "demiurgo" di eventi nefasti e - lui sì, da vera divinità - lavora ai suoi piani superiori, i "masterplan" che gli uomini attribuiscono, a seconda dell'utile o del danno che gliene viene, agli abitanti del cielo o degli ìnferi.
Dall'altra parte abbiamo un Mercurio Loi che non si rassegna agli eventi predisposti ordinatamente dal suo nemico, peraltro già affrontato in passato. In un contesto caratterizzato dall'assenza di interventi e conforto divini, come presumiamo sia quello in cui opera un uomo che incarna il logos puro, il professor Loi tenta di risalire alla causa prima dell'infezione di infelicità per portare il suo aiuto e porre rimedio lì dove la sua nemesi ha provocato il volo della farfalla che provocherà una serie di eventi tragici in altri luoghi.
Infatti, l'Infelice è convinto che tutti gli esseri viventi siano connessi tra loro e che, di conseguenza, sia possibile - con uno studio capillare su comportamenti e relazioni umane - diffondere, sua unica missione, il morbo dell'infelicità. Ma nel fare questo egli non persegue alcun piacere: seguendo Aristotele, è convinto che obiettivo del saggio sia evitare il dolore e non cercare il piacere. Il dolore, nel suo caso, ha origini antiche in traumi che lo svolgimento della storia renderà, allo stesso tempo, comprensibili e insopportabili per il lettore "simpatetico". Il suo agire estremamente razionale appare, in realtà, un disperato tentativo di riversare lo strazio e il dolore che si porta dentro sull'opaco atomo di male che è la Terra.
E sul finale, ancora in netta contrapposizione con la figura dell'eroe classico, il quale vive e agisce per essere ricordato, l'Infelice è incapace di morire perché da autentico nichilista ha capito che anche la morte dopo una sfida tra alti ingegni e l'essere ricordato non hanno nulla di grande, nulla di nobile, nulla di piacevole.
Molto ci sarebbe da discettare sull'aderenza dello stile di Andrea Borgioli a quanto viene narrato nella storia. Riguardo la sua evoluzione stilistica recente, va considerato che molti tra i disegnatori che tendono a un certo grado di sintesi e pulizia del tratto, prima o poi si rivolge al maestro del gotico Mike Mignola per chiedere conforto. Al contempo Borgioli fa dell'espressività dei personaggi una punta di diamante, al punto che anche le vignette mute risultano decisamente eloquenti. Le tavole sono rese ancor più preziose dal contributo ai colori di Francesca Piscitelli, ormai divenuta una garanzia con scelte cromatiche pertinenti e mai eccessive.
A conti fatti, considerando anche la copertina più riuscita e d'atmosfera di Manuele Fior, è un albo davvero incredibile. Nessuno come Bilotta riesce a fornire così tanto cibo per la mente in così poche pagine di un fumetto. Quasi ogni tavola contiene una riflessione arguta e profonda sulla (in)felicità, riuscendo sempre a evitare di sembrare banale o superficiale o manieristico. La struttura stessa della storia rievoca la sostanza di cui parla, procedendo a ritroso, con lo sguardo sempre puntato verso ciò che è già accaduto, allo stesso modo in cui l'uomo di indole triste non riesce a smettere di pensare al passato con una certa dose di nostalgia.
Rolando Veloci
(con tristi aggiunte finali da parte del Sommo)
(con tristi aggiunte finali da parte del Sommo)