DYLAN DOG #367
Con La ninna nanna dell'ultima notte la scrittrice Barbara Baraldi torna sulla serie regolare di Dylan Dog a soli tre mesi dalla prova precedente, Gli anni selvaggi (#364). Molto più lunga è stata invece l'assenza di Corrado Roi: da quasi quattro anni l'amato disegnatore lombardo non impreziosiva la serie mensile dell'Indagatore dell'incubo con le sue chine oscure e inimitabili.
[Spoiler delicati e notturni]
Dylan Dog viene ingaggiato da Domitilla Foster, psicologa infantile intenta a ritrovare il piccolo Sam Lewis, che è scomparso dopo la morte della madre. Come lui, sono scomparsi altri giovani fanciulli e tutti avevano un amico immaginario di nome Jack.
Iniziando ad andare a fondo alla vicenda, si scopre che alcuni di questi (inquietanti) bambini non corrispondono esattamente all'idea che comunemente si ha dell'innocenza infantile, anzi, potrebbero essere loro stessi coinvolti negli omicidi, uniti in un fronte comune a rappresentare una sorta di "rivolta dei bambini". Una delle tematiche che emergono sotto traccia nell'episodio è quella del moralismo incondizionato e della retorica de "i bambini prima di tutto", che impedisce in questo caso a molti adulti di aprirsi a provare a comprendere fino in fondo ciò che sta accadendo.
Con questa storia Barbara Baraldi ripristina alcuni binari "classici" della narrazione dylaniata (ovviamente di matrice sclaviana): su tutti, sin dalla seconda tavola, la filastrocca in rima, poetica e macabra, in questo caso dedicata alla notte. Presente in tanti albi delle prime annate di Dylan, era un marchio di fabbrica delle sceneggiature di Sclavi (e poi di Chiaverotti e così via...) che aveva riscosso tanto successo da essere ancora oggi facilmente richiamabile nella memoria di tanti lettori. Da qui probabilmente l'idea di riprenderla, inserendola non solo all'inizio ma anche intorno a metà e alla fine, in una sorta di inquietante ritornello. Altra caratteristica di indubbio omaggio alla scrittura classica sclaviana è la "storia nella storia", in questo caso il racconto di un'intera esistenza, quella del cantastorie Markus, che interrompe/devia il flusso della narrazione e si accompagna graficamente ad apposite cornici compositive che la differenziano dal resto dell'episodio. Spesso, guarda caso, nei primi anni della serie era proprio Corrado Roi a occuparsi dei disegni di "storie nelle storie" di questo genere (e anche qui gli esempi si sprecherebbero); sul ritorno di Roi comunque ci soffermeremo a seguire. Oltre a tutto ciò, lo stesso evolversi della trama (finale compreso) rievoca in maniera inequivocabile alcuni stilemi classici dylandoghiani. Risulta evidente come la scrittrice della trilogia Scarlett fosse intenzionata a omaggiare il percorso editoriale di un personaggio che da oltre trent'anni fa appassionare migliaia di lettori (presumibilmente, in passato, anche lei è stata una di quelle lettrici che ancora oggi ricordano a memoria alcuni passaggi di vecchi albi di Dylan Dog).
La scrittura di Barbara Baraldi è intensa e ammaliante, lascia quasi il dubbio di esserci persi qualcosa per assecondare le sue parole fascinose e tenebrose. Col senno di poi, volendo cercare il pelo nell'uovo, potremmo asserire che il peso conferito alla figura di Markus sin dalla sua prima apparizione potrebbe risultare un po' artificioso e che forse la sua tragedia segue un percorso sin troppo lineare, ma in ogni caso ciò non priverebbe l'episodio della sua godibilità.
Passando ai disegni, come dicevamo in apertura Corrado Roi era assente dalla serie mensile dell'inquilino di Craven Road dal giugno 2013: l'ultimo numero da lui realizzato era infatti Dylan Dog #322, dal titolo Il pianto della Banshee, su testi di Giovanni Gualdoni. Questo lungo arco di tempo è servito al maestro di Varese a dedicarsi principalmente a progetti extra-dylaniati, da Nathan Never a Tex, senza trascurare ovviamente di citare i sei numeri della miniserie UT, di cui ha curato anche i testi in collaborazione con Paola Barbato. Sempre in coppia con quest'ultima, era poi tornato recentemente a occuparsi di Dylan Dog ne Il bianco e il nero, storia inedita di 24 tavole contenuta nel primo numero di Dylan Dog - Il nero della paura (pubblicato nel luglio dello scorso anno). Inoltre, volendo essere fiscali, non aveva mai smesso di confezionare con cadenza bimestrale le affascinanti copertine per Dylan Dog GrandeRistampa. Ciò non toglie che il suo ritorno sulla serie regolare è un evento ampiamente atteso da molti: la sua assenza rappresentava un elemento di discontinuità del "nuovo corso dylaniato" dal punto di vista grafico rispetto a quegli stili che si erano ormai consolidati negli anni come identificativi della serie dedicata all'Indagatore dell'incubo. Unica eccezione, comunque su una serie collaterale, era stata il primo Maxi Dylan Dog Old Boy (che, lo ricordiamo, prosegue la narrazione del Dylan Dog "classico", con Bloch ancora ispettore ecc.), dove in coppia con Luigi Mignacco aveva di fatto inaugurato la nuova stagione della collana con un episodio in bilico tra passato e futuro e in qualche modo speculare a quanto narrato negli stessi mesi nella serie mensile, dando il via a un gioco di riflessi tra innovazione e tradizione che più volte si è perpetrato anche nei mesi a seguire.
Se mi sono dilungato nel ripercorrere le recenti vicissitudini artistiche di Corrado Roi è perché fortunatamente questa odissea artistica ha avuto esiti visibilmente positivi. Negli anni scorsi è impossibile nascondere che il buon Roi si era assestato su livelli qualitativi standard, alti rispetto alla media di tanti altri suoi colleghi ma almeno in apparenza privi di particolare voglia di sperimentare o di portare la propria arte verso territori inesplorati. In queste pagine invece, come già evidente nelle splendide tavole dei sei numeri di UT pubblicati nel 2016, Corrado Roi appare quasi preda di una novella ispirazione, come se fosse disposto di nuovo a rimettersi costantemente in gioco e a migliorare ulteriormente il proprio stile. L'artista lombardo ci dimostra così ancora una volta che quando lavora alacremente con le chine e le ombre, da maestro della tavola da disegno quale indubbiamente è, riesce a regalarci tavole davvero preziose e straordinariamente efficaci.
Insomma, inutile nascondere che uno dei lasciti principali di questa storia risiede proprio nelle tavole di Roi, tornato ai suoi massimi livelli di inoppugnabile maestria, oltre alla rievocazione di alcuni tipiche modalità dylaniate della narrazione che possono rendere felici anche tanti lettori nostalgici (e non solo loro).
NUMERO: 367
DATA: marzo 2017
SERGIO BONELLI EDITORE
SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Barbara Baraldi
DISEGNI E CHINE: Corrado Roi
COPERTINA: Gigi Cavenago
Per le immagini: © 2017 Sergio Bonelli Editore.
Passando ai disegni, come dicevamo in apertura Corrado Roi era assente dalla serie mensile dell'inquilino di Craven Road dal giugno 2013: l'ultimo numero da lui realizzato era infatti Dylan Dog #322, dal titolo Il pianto della Banshee, su testi di Giovanni Gualdoni. Questo lungo arco di tempo è servito al maestro di Varese a dedicarsi principalmente a progetti extra-dylaniati, da Nathan Never a Tex, senza trascurare ovviamente di citare i sei numeri della miniserie UT, di cui ha curato anche i testi in collaborazione con Paola Barbato. Sempre in coppia con quest'ultima, era poi tornato recentemente a occuparsi di Dylan Dog ne Il bianco e il nero, storia inedita di 24 tavole contenuta nel primo numero di Dylan Dog - Il nero della paura (pubblicato nel luglio dello scorso anno). Inoltre, volendo essere fiscali, non aveva mai smesso di confezionare con cadenza bimestrale le affascinanti copertine per Dylan Dog GrandeRistampa. Ciò non toglie che il suo ritorno sulla serie regolare è un evento ampiamente atteso da molti: la sua assenza rappresentava un elemento di discontinuità del "nuovo corso dylaniato" dal punto di vista grafico rispetto a quegli stili che si erano ormai consolidati negli anni come identificativi della serie dedicata all'Indagatore dell'incubo. Unica eccezione, comunque su una serie collaterale, era stata il primo Maxi Dylan Dog Old Boy (che, lo ricordiamo, prosegue la narrazione del Dylan Dog "classico", con Bloch ancora ispettore ecc.), dove in coppia con Luigi Mignacco aveva di fatto inaugurato la nuova stagione della collana con un episodio in bilico tra passato e futuro e in qualche modo speculare a quanto narrato negli stessi mesi nella serie mensile, dando il via a un gioco di riflessi tra innovazione e tradizione che più volte si è perpetrato anche nei mesi a seguire.
Se mi sono dilungato nel ripercorrere le recenti vicissitudini artistiche di Corrado Roi è perché fortunatamente questa odissea artistica ha avuto esiti visibilmente positivi. Negli anni scorsi è impossibile nascondere che il buon Roi si era assestato su livelli qualitativi standard, alti rispetto alla media di tanti altri suoi colleghi ma almeno in apparenza privi di particolare voglia di sperimentare o di portare la propria arte verso territori inesplorati. In queste pagine invece, come già evidente nelle splendide tavole dei sei numeri di UT pubblicati nel 2016, Corrado Roi appare quasi preda di una novella ispirazione, come se fosse disposto di nuovo a rimettersi costantemente in gioco e a migliorare ulteriormente il proprio stile. L'artista lombardo ci dimostra così ancora una volta che quando lavora alacremente con le chine e le ombre, da maestro della tavola da disegno quale indubbiamente è, riesce a regalarci tavole davvero preziose e straordinariamente efficaci.
Insomma, inutile nascondere che uno dei lasciti principali di questa storia risiede proprio nelle tavole di Roi, tornato ai suoi massimi livelli di inoppugnabile maestria, oltre alla rievocazione di alcuni tipiche modalità dylaniate della narrazione che possono rendere felici anche tanti lettori nostalgici (e non solo loro).
Il sommo audace
"La ninna nanna dell'ultima notte"
SERIE: DYLAN DOGNUMERO: 367
DATA: marzo 2017
SERGIO BONELLI EDITORE
SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Barbara Baraldi
DISEGNI E CHINE: Corrado Roi
COPERTINA: Gigi Cavenago
Per le immagini: © 2017 Sergio Bonelli Editore.