MORGAN LOST #14
La perfezione (non) è di questo mondo
Claudio Chiaverotti, nel corso della sua ormai quasi trentennale carriera di sceneggiatore di fumetti, ci ha regalato così tante storie memorabili che l'unico paragone che regge è quello con un altro maestro di un'altra arte: Woody Allen. Il divo Claudio, è cosa nota, ha nel sangue e nel DNA il cinema e per questo non vi deve sorprendere l'accostamento, molto meno ardito di quanto si possa pensare.
Il motivo è legato intanto alla quantità di storie prodotte dai due: Woody Allen è - lo sanno tutti - uno scrittore nevrotico-ossessivo-compulsivo che scrive in media due sceneggiature per film all'anno e lo fa da più di quarant'anni. Una media insostenibile per chiunque altro, scrittore o scrittore/regista che sia: nessuno lo ha fatto prima di lui e difficilmente qualcuno riuscirà a farlo dopo di lui, tenendo così elevata la qualità media del prodotto finale.
Il filo rosso (sangue, ovviamente) con il resto della produzione "lostiana" è tenuto dalla copertina bipartita di quel mostro di bravura che è Fabrizio De Tommaso (costantemente al di sopra di qualsiasi cover ci sia in giro nel panorama Bonelli dalle ultime prove di Massimo Carnevale per Orfani a oggi) e dal fatto che Morgan si continua a prestare alla perfezione al ruolo di comprimario, mai di vero protagonista. Morgan è solo il vettore principale della formula chiaverottiana della storia perfetta che racconta una vita solo apparentemente perfetta.
I disegni del sempre più entusiasmante Max Bertolini, il quale raggiunge la collega Val Romeo a quota due dopo il bellissimo L'ombra dello sciacallo (ML #11, dell'agosto 2016), sono quanto di più azzeccato per una storia del genere ci potesse essere. Il suo tratto privo di esagerazioni, caratterizzato da un'anatomia estremamente aderente al reale (fatta eccezione per il "mostro", appunto cosa mirabile, Santa Klaus Killer, altro personaggio fondamentale della storia), attentissimo ai dettagli che fanno la differenza tra una vita realmente perfetta e una che lo è soltanto in apparenza. A volte citando (o, almeno, a chi scrive ricorda molto da vicino, il che è un grosso complimento) il maestro Angelo Stano, Bertolini ci regala alcune tra le tavole più belle dell'intera serie quando seziona la mente del dr. Matthews e ce la mostra per quella che è: una matrioska di un sogno di un cervello morente in un cervello morente che sta sognando...
Quando Woody Allen apparve nel fumetto cult di Dave Sim, Cerebrus (altri esempi del legame tra il regista e la Nona Arte in questo approfondimento su Fumetologica). |
Una delle ultime apparizioni fumettistiche del regista, nella storia Il Cimitero degli Amori Perduti (© McGuffin Comics), di cui abbiamo parlato recentemente qui. |
Il motivo è legato intanto alla quantità di storie prodotte dai due: Woody Allen è - lo sanno tutti - uno scrittore nevrotico-ossessivo-compulsivo che scrive in media due sceneggiature per film all'anno e lo fa da più di quarant'anni. Una media insostenibile per chiunque altro, scrittore o scrittore/regista che sia: nessuno lo ha fatto prima di lui e difficilmente qualcuno riuscirà a farlo dopo di lui, tenendo così elevata la qualità media del prodotto finale.
Passiamo al nostro Chiaverotti: se pensate che soltanto di Brendon sono usciti in duecento mesi cento albi della serie regolare (escludendo gli Speciali) e ci aggiungete tutte le storie scritte per Dylan Dog e quelle per Morgan Lost vedrete che i conti tornano.
Ma non è solo sull'aspetto quantitativo o qualitativo delle storie prodotte dei due che intendevo soffermarmi, ma soprattutto sul labor limae, sulla loro opera di cesello, sulla loro capacità tutta artigianale di oliare alla perfezione la macchina narrativa, sulla loro arte, sulla loro impareggiabile abilità di portare in porto la nave del film o dell'albo a prescindere dall'originalità della trama o dalle trovate più o meno riuscite.
Entrambi sono i numeri uno nei rispettivi campi e non conoscono flessione soprattutto dal punto di vista dell'orologeria del meccanismo sotteso al funzionamento del loro congegno artistico. Con questo numero 14 di Morgan Lost Chiaverotti ci dimostra proprio questo: la storia può essere classificata come la più anomala tra quelle presentate per la serie ma il risultato non cambia, il congegno è preciso, la macchina perfetta.
Ma non è solo sull'aspetto quantitativo o qualitativo delle storie prodotte dei due che intendevo soffermarmi, ma soprattutto sul labor limae, sulla loro opera di cesello, sulla loro capacità tutta artigianale di oliare alla perfezione la macchina narrativa, sulla loro arte, sulla loro impareggiabile abilità di portare in porto la nave del film o dell'albo a prescindere dall'originalità della trama o dalle trovate più o meno riuscite.
Entrambi sono i numeri uno nei rispettivi campi e non conoscono flessione soprattutto dal punto di vista dell'orologeria del meccanismo sotteso al funzionamento del loro congegno artistico. Con questo numero 14 di Morgan Lost Chiaverotti ci dimostra proprio questo: la storia può essere classificata come la più anomala tra quelle presentate per la serie ma il risultato non cambia, il congegno è preciso, la macchina perfetta.
Il filo rosso (sangue, ovviamente) con il resto della produzione "lostiana" è tenuto dalla copertina bipartita di quel mostro di bravura che è Fabrizio De Tommaso (costantemente al di sopra di qualsiasi cover ci sia in giro nel panorama Bonelli dalle ultime prove di Massimo Carnevale per Orfani a oggi) e dal fatto che Morgan si continua a prestare alla perfezione al ruolo di comprimario, mai di vero protagonista. Morgan è solo il vettore principale della formula chiaverottiana della storia perfetta che racconta una vita solo apparentemente perfetta.
I disegni del sempre più entusiasmante Max Bertolini, il quale raggiunge la collega Val Romeo a quota due dopo il bellissimo L'ombra dello sciacallo (ML #11, dell'agosto 2016), sono quanto di più azzeccato per una storia del genere ci potesse essere. Il suo tratto privo di esagerazioni, caratterizzato da un'anatomia estremamente aderente al reale (fatta eccezione per il "mostro", appunto cosa mirabile, Santa Klaus Killer, altro personaggio fondamentale della storia), attentissimo ai dettagli che fanno la differenza tra una vita realmente perfetta e una che lo è soltanto in apparenza. A volte citando (o, almeno, a chi scrive ricorda molto da vicino, il che è un grosso complimento) il maestro Angelo Stano, Bertolini ci regala alcune tra le tavole più belle dell'intera serie quando seziona la mente del dr. Matthews e ce la mostra per quella che è: una matrioska di un sogno di un cervello morente in un cervello morente che sta sognando...
Chiaverotti è in costante dialogo con la sua stessa opera (da manuale di sceneggiatura il richiamo ai manichini di Incubo di una notte di mezza estate, suo secondo albo di Dylan Dog, così come quello a Brendon e Anja di Lacrima di tenebra e quello alla cicciona psicopatica, chiaverottiano feticcio narrativo - che stavolta ricorda Ursula, la strega de La Sirenetta della Disney) ed è in comunicazione con il lettore più attento, proprio come Allen è in dialogo con la sua opera, quella di Dostoevskij e con il suo pubblico più colto.
Una vita perfetta è proprio come un Match Point chiaverottiano: non c'è spazio per l'amara ironia di cui Claudio sa essere capace quando è dell'umore giusto; noi vediamo tutto quello che succede, sappiamo tutto quello che succede (anche e soprattutto nel passato drammatico del vero protagonista della storia, il dr. Matthews) ma non per questo siamo meno interessati alla storia, anzi, restiamo comunque lì, con gli occhi incollati, in attesa dell'ultimo fotogramma o dell'ultima tavola che ci regalerà la liberazione, mai a lieto fine, dato che, nella vita, l'unico lieto fine è per i morti perché soltanto per loro è giunto il momento di non avere più incubi né rimorsi.
Morgan Lost non è mai arrivato così in alto.
Una vita perfetta è proprio come un Match Point chiaverottiano: non c'è spazio per l'amara ironia di cui Claudio sa essere capace quando è dell'umore giusto; noi vediamo tutto quello che succede, sappiamo tutto quello che succede (anche e soprattutto nel passato drammatico del vero protagonista della storia, il dr. Matthews) ma non per questo siamo meno interessati alla storia, anzi, restiamo comunque lì, con gli occhi incollati, in attesa dell'ultimo fotogramma o dell'ultima tavola che ci regalerà la liberazione, mai a lieto fine, dato che, nella vita, l'unico lieto fine è per i morti perché soltanto per loro è giunto il momento di non avere più incubi né rimorsi.
Morgan Lost non è mai arrivato così in alto.
Rolando Veloci