intervista a PAOLO MARTINELLO

L'Arte, le storie e le soddisfazioni di un grandissimo del fumetto.


Come avremo modo di approfondire nell’intervista che segue, Paolo Martinello non è solo il copertinista di Valter Buio. Non è solo il disegnatore della prima storia dell’ultimo Dylan Dog Color Fest, né tantomeno esclusivamente l’autore delle copertine di Mytico! o il disegnatore di alcune opere per la Francia. Scopriamo un po’ di più su di lui, sulle sue influenze, sulle sue opere, sul suo contesto lavorativo e sulle sue opinioni.

• Se dovessi presentarti ai lettori del blog degli Audaci, come ti descriveresti?

Sono un disegnatore, ovvero uno che da sempre passa gran parte del suo tempo ricurvo su un foglio a cercare di fissare in immagini quello che gli passa per la testa, e che da qualche anno qualcuno paga per farlo.

• Se dovessi accostare il tuo lavoro a quello di qualcun altro, a chi penseresti? Chi sono i tuoi punti di riferimento artisticamente parlando?

Quando mi fanno questa domanda penso sempre alle mie prime passioni, ovvero agli autori che cercavo in tutti i modi di imitare quando ho iniziato. Sono sicuramente: Sergio Toppi, Simon Bisley, Andrea Pazienza e Piero Dell'Agnol.
Ma c'è dentro anche dell'altro ovviamente: la collezione di fumetti di mio padre, Francis Bacon, i libri di Murakami Haruki, i Marlene Kuntz, i film di Stanley Kubrick, e mille altre cose.


• Oltre al fumetto e all’arte sequenziale, sei un illustratore. Dove possiamo trovare le tue tavole e i tuoi variegati lavori?

In via ufficiale ho iniziato con dei libri per Ragazzi alla Mondadori editore, ne ho fatto circa quattro, tra cui un’edizione pregiata dell' "Oliver Twist" di Dickens. Ho fatto due mazzi di tarocchi per lo Scarabeo Editore, e per stare sempre in tema Fantasy, ho illustrato tutte le copertine di una collezione di fascicoli sulle "Creature fantastiche" per la DeAgostini.
Ho fatto anche un libro come autore completo per la Pavesio editore, "Delethes", ma si tratta purtroppo di una serie incompleta. Anche in quel caso, siamo in ambito science-fiction.

Delethes

• Cosa ha rappresentato per te l’esperienza di “Valter Buio”? Come nascevano quelle copertine di indescrivibile bellezza e profondità? Che rapporto avevi con il personaggio di VB? E con Alessandro Bilotta, ideatore della serie?

La possibilità innanzitutto di fare qualcosa che non avesse a che fare con il fantasy!
Davvero, io sono soprattutto interessato a disegnare la realtà, la contemporaneità, ma per questioni di mera opportunità ho avuto soprattutto lavori nell'ambito del fantasy, visto che non mi riesce difficile creare da zero mondi, ambientazioni, personaggi e creature assurde. Valter Buio è stato importantissimo, non ho difficoltà a dirlo. Soprattutto perché è una bella serie, che ha accolto consensi praticamente ovunque, tra i lettori e i critici. Alessandro è uno scrittore straordinario, ha una grandissima capacità di entrare nel cuore dei lettori, descrivendo le emozioni e le paure dei suoi personaggi. Io non ho fatto altro che occuparmi della parte "esteriore", della presentazione, di un qualcosa che era già straordinario di per sé.
Da un punto di vista artistico è stata un’occasione, per provare a fare delle copertine diverse dal solito e vedere se avrebbero funzionato. In realtà quelle copertine sono una trasfigurazione delle storie contenute all'interno, spesso sembrano non c'entrare molto, ma ci siamo divertiti a pensarle così. E' stato divertente ed interessante fare quelle raffigurazioni a volte quasi eccessive, sopra le righe, di un personaggio così umano e fragile.

Valter Buio

• Altro lavoro molto diffuso in Italia è stato quello di copertinista di “Mytico!”, settimanale allegato al Corriere della Sera che narrava dei miti greci in forma moderna, influenzata anche dai comic book USA. Cos’ha rappresentato per te questo lavoro? Hai mai il desiderio di realizzare fumetti di supereroi?

Mytico è stata un esperienza molto diversa dalle altre che ho avuto. Innanzitutto perché era un progettone per una super major come la RCS, e la cosa mi dava un pochetto di ansia. Poi perché fondamentalmente è stata una serie che è andata bene perché si basava sul lavoro corale, di un ottimo "team". Senza la coordinazione e la totale cooperazione tra i disegnatori, gli sceneggiatori e i redattori, non avrebbe mai potuto funzionare. Mi è dispiaciuto vedere come questa cosa non sia stata sottolineata da chi si occupa dei circuiti ufficiali dell'informazione sui fumetti. Un team che partendo da zero, riesce a creare una pubblicazione settimanale che subito si crea un pubblico (attingendo ad un bacino di cui nessuno si occupa, come quello dei fumetti per ragazzi) e che riesce a mantenere uno standard di qualità per parecchi mesi (e a portare a termine il progetto), non si è mai visto negli ultimi anni. Nonostante questo si è preferito guardare solo alla superficie della cosa, senza riflettere sul fatto che l'esempio che abbiamo portato sarebbe potuto essere d'ispirazione per mille altri progetti simili, visto che abbiamo dimostrato che serie di questo tipo, da proporre in edicola, possono funzionare.
Oltre a questa (probabilmente inutile) polemica, posso dire che è stato un ulteriore tassello alle mie esperienze editoriali, soprattutto per lo stile che veniva richiesto nelle copertine che era "marvel-oriented". Non ho alcun problema a dire che non mi sono mai interessato minimamente al mondo dei Super Eroi, ma che nonostante questo è stato interessantissimo studiarlo, per riuscire a trasferirlo in quell'ambito.

Mytico!

• Parlaci di “Trois souhaits”, opera pubblicata in Francia e realizzata insieme a Mathieu Gabella. Verrà mai tradotto in Italia?

Trois Souhaits, ovvero "Tre Desideri" è la mia prima vera serie per il mercato Francese. Si tratta di una rivisitazione in chiave Action, ma non solo, delle classiche leggende arabe delle 1001 notte. Detta così, mi rendo conto che può sembrare una minchiata, ma in realtà si tratta di tre storie molto complesse, dettagliatissime nei riferimenti storici, e negli intrecci dei personaggi (che sono quelli noti, ovvero Aladino, Sherazade, Sinbad e Ali Babà). Il protagonista è un guerriero della setta degli Assassini (o Haschischin) di Alamut, trasformato, successivamente alla sua morte, in un djiin, ovvero in un genio della lampada. Chi ha voluto la sua trasformazione, gli affida tre missioni, che di fatto sono degli assassinii dei vecchi possessori della lampada magica, il più antico oggetto creato da Dio per dare poteri magici agli uomini.
Questa serie è stata importante per varie ragioni. Prima di tutto per affinare e centrare di più il mio stile, che all'inizio ancora non aveva una connotazione chiara. Essendoci la precisa volontà da parte degli editori francesi, di permettere all'autore di trovare la via espressiva che più gli è congeniale, sono stato invitato, sollecitato a spingermi sempre un po' più in là per definire e cercare il mio "stile" di disegno e questo è stato il massimo. 


In secondo luogo, lavorare per i francesi ti permette di respirare un atmosfera di professionalità che qui in Italia esiste solo presso pochi editori. Questo ti fa crescere, ti rende consapevole di quello che sei, e ti permette soprattutto di esprimerti meglio quando fai le tue tavole. Senza parlare del fatto che il novanta per cento dei disegnatori francesi sono delle belve, e che quindi se vuoi che il tuo lavoro sia notato, devi perlomeno tentare di stare al passo .
Per quanto riguarda la traduzione Italiana, sto lavorando per renderla possibile, ma ancora non ho risposte certe. Spero di poterle dare a breve!


• Arriviamo ad “Addio, Groucho”, storia realizzata insieme allo stesso signor Bilotta di Valter Buio. Come sei entrato a far parte della realizzazione del decimo Color Fest di Dylan Dog?

Si parlava di questa cosa con Alessandro quando il percorso di Valter Buio si avviava alla conclusione. Io e Bilotta abbiamo lavorato bene insieme, e quindi la cosa più ovvia era quella di immaginare come poter proseguire.
Abbiamo proposto le mia prove alla redazione e sono andate bene, molto semplicemente.

• Continuerai a lavorare su Dylan Dog?

Al momento non ne ho idea, devo fare un po' di ordine tra le tante cose che ho in ballo all'estero. Comunque è ovvio che sarebbe strepitoso riuscire a farlo: nonostante tutte le eventuali critiche che posso fare al nostro mercato, io amo lavorare per l'Italia, è bellissimo soprattutto vedere le reazioni dei lettori: quello è impagabile. E poi Dylan è uno dei miei personaggi preferiti da sempre: ancora adesso mi sembra assurdo aver partecipato ad un "Color Fest", è un sogno più che altro...
Ma non ho problemi a dire che lavorare qui da noi per me è più difficile. Le strade, almeno per il momento, sono meno numerose, soprattutto se guardiamo le possibilità per chi come me, fa fumetti a colori.


• Abbiamo letto che hai progetti come autore completo. Puoi parlarcene? Quand’è che un disegnatore sente l’esigenza di raccontare?

Chiunque, nel nostro paese, ha progetti come autore completo.
Il problema è uscire dalla condizione "ho in mente un progetto fichissimo", allo "sto finalmente per pubblicare un progetto fichissimo ed è di qualità". Io ho scritto molto, sempre, e a dire il vero all'inizio, ho cominciato a proporre le mie cose come autore anche delle storie, ma non ho fatto nulla di significativo in questo senso, solo delle piccole cose.
Al momento ho ovviamente un progetto a cui sto lavorando da parecchio tempo in cui in credo molto (l'avete già sentita?) , ma ho sempre posticipato per questioni meramente "alimentari". Fare l'autore, del tipo di storie che ho in mente, significherebbe rinunciare, nel 90% dei casi, al compenso per realizzarle. Non sto a spiegarne le ragioni, ma credo tutti sappiano che per fare una graphic novel, o per dirla a modo mio, un "Fumetto con un sacco di pagine che non sia della Bonelli", non si venga esattamente coperti d'oro, ne' in Italia, ne' all'estero, ma di fatto si cerca di trarre dei guadagni dalle percentuali sulle vendite, che solitamente, salvo casi isolati, sono piuttosto basse. Non parlo chiaramente dei ritorni dell'opera una volta completata, di cui non me ne frega nulla, ma esclusivamente del sostegno economico necessario nei mesi che servono per realizzarla. 


Tutto questo discorso esula dal fattore artistico, è chiaro e ne solo consapevole. Ma sarei folle a pensare che la realtà dei fatti sia un altra. Rimane il fatto che per me è doloroso non riuscire a lavorare esclusivamente su progetti miei, non è una cosa semplice da accettare, ma se oggi riesco a vivere solo facendo il disegnatore, è perché realizzo storie per il mercato commerciale, su testi di altri. Comunque, nonostante questo, lettori italiani, statev' accuort', che qualcosa dal Martinello vi arriva…


• In genere sei, oltre che disegnatore, colorista delle tue stesse tavole, e non hai pubblicato praticamente nessuna opera in bianco e nero. Immagini mai il tuo lavoro colorato da altri, oppure pubblicato appunto in b/n?

Colorato da altri è abbastanza difficile, anche se mi piacerebbe molto. Non che non abbia cercato, ma è dura trovare qualcuno che abbia un rapporto maniacale con il colore e con i dettagli come quello che ho io. Bisogna essere dei tarati mentali, da un certo punto di vista, per lavorare come me.
In bianco e nero ho pubblicato qualcosa, ma davvero non è visibile. Ho fatto una storia con Recchioni anni fa, che è uscita su "Lancio Story" divisa in cinque episodi, ma per quanto fosse divertente l'intreccio, io sono riuscito a rovinarlo completamente con dei disegni imbarazzanti. Dovrei ripartire, è certo, e cercare una direzione del mio lavoro anche in questo senso, ma ci vuole lavoro, studio, tempo. Ciò ovviamente non esclude che io la consideri come una possibilità.

• Quali sono i tuoi progetti futuri? Ti vedremo ancora come copertinista regolare di una testata? Ti rivedremo in Bonelli?

Nulla nell'immediato, se non per il mercato francese. Ma cerco comunque di mantenermi sempre attivo, e quindi non è detto che non arrivi qualcosa anche per l'Italia.

Ringraziamo Paolo Martinello per la gentilezza e per la schiettezza e gli auguriamo tutto il meglio possibile per la sua carriera futura.
Giuseppe "Giuppo" Lamola

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