Nicola Stradiotto – Il "neo-primitivismo" tra sci-fi, horror e gore
A Lucca abbiamo intervistato Nicola Stradiotto per parlare di Human Machine (Eris Edizioni) e Jackpot (In Your Face Comix)
Ne abbiamo parlato insieme all'autore.
L’universo artistico di Nicola Stradiotto (1979, Asolo, Treviso) si nutre di disegno contemporaneo, fumetti indipendenti, nonsense, surrealismo, pop art, fluxus, blotter art e street photography, influenze che mescola attraverso vari formati, materiali e tecniche (pittura acrilica, inchiostro e collage). I suoi lavori sono stati esposti in Italia, Stati Uniti e Messico. Ha pubblicato illustrazioni e fumetti su Carpazine (New York), Merde Magazine (Parigi), Antifa!nzine, Capek Magazine, Zazà Mag, Interiors e nella raccolta Pride per Spaghetti Comix. Con In Your Face Comix ha pubblicato Jackpot, La Bambina Fantasma con Dast, Ufo Paranoia e ha partecipato alla raccolta Fumetti di Menare.
Nicola Stradiotto è stato ospite a Lucca Comics & Games 2025 de Lo Spazio Audace – Vignette e caffè per parlare dei due suoi nuovi fumetti: Human Machine, pubblicato da Eris Edizioni, e Jackpot, per In Your Face Comix.
Il suo lavoro si muove attraverso generi come fantascienza, horror e gore e movimenti artistici che vanno dal surrealismo alla pop art, passando per la street photography, utilizzando tecniche disparate come pittura acrilica, collage e penna Bic, senza disdegnare il digitale. Uno stile neo-primitivista-digitale, come lo ha definito il suo collega Stefano Zattera.
Ne abbiamo parlato insieme all'autore.
Ciao Nicola, benvenuto! Partiamo da Human Machine, pubblicato da Eris nella collana Gatti Sciolti. Come sei stato coinvolto dall’editore?
Allora, beh, Sonny e Matilde di Eris li conosco da un po’, frequentando i festival del fumetto e anche quelli più underground nei centri sociali. Ci siamo sempre trovati e ci accomuna la passione per il fumetto, la musica e quant’altro. Human Machine nasce nel periodo Covid, poi è stato dentro un cassetto per due anni. In realtà è molto diverso dallo stile che faccio di solito perché è tutto disegnato con la penna Bic, su carta. Poi c’è stata una bella post-produzione, pagina per pagina, dove tramite Photoshop ho ritagliato i soggetti, li ho messi su uno sfondo blu ciano primario e poi tutti i testi li ho fatti con il mouse, a mano. A me non piace usare il classico font, preferisco creare il mio, con il mio stile. Quindi dopo due anni il lavoro è finito, l’ho presentato a Eris, è piaciuto subito e l’hanno pubblicato per il Comicon di Napoli di quest’anno.
Spostiamoci sul contenuto. C’è la metafora dell’uomo-macchina, una certa dose di alienazione e una deriva tecnologica. Hai già accennato al Covid ma, in generale, quanto hai attinto dalla realtà?
Il periodo era quello. Vivevamo in una realtà assurda, irreale e io, in 46 anni, non ho mai vissuto una situazione del genere. Era tutto nuovo, anche il fatto dello smart working. Io faccio un lavoro d’ufficio, vado a timbrare ogni mattina il cartellino ed era tutto molto strano, sembrava già un film di fantascienza di per sé. Poi uno viaggiava un po’ con la fantasia e io mi sono immaginato un’apocalisse, una guerra, la sostituzione dell’uomo con la macchina. Sono sempre affezionato ai cyborg, a queste cose che poi non sono tanto fantascienza perché ad esempio, con la chirurgia plastica, siamo diventati quasi un ibrido. Questo lo si ritrova anche in Jackpot, la cui cover rappresenta proprio un cyborg che si sta autocostruendo. Non c’è neanche più l’uomo che interagisce. È un tema che affronto spesso, anche perché ho una certa cultura cinematografica legata proprio alla fantascienza, all’horror, al gore.
Il font realizzato a mano è una cosa particolare, a parte per la complessità di usare il mouse che è una ginnastica strana, ma colpisce il fatto che usi uno strumento digitale con l’idea di un approccio totalmente analogico. Che tipo di esperienza ne è uscita?
Sono affezionato alla carta, al pennarello e anche alla penna. Faccio anche tele, però l’approccio al digitale ormai è indispensabile e aiuta moltissimo nei tempi di produzione rispetto a una volta. Io cerco sempre di fare un ibrido perché sono uno a cui piace sperimentare. Per cui provo diverse cose, faccio anche collage e mi viene naturale cercare nuove soluzioni. Anche perché ormai se ne sono viste di ogni, non è che si possano fare fumetti originalissimi, però magari si trova una chiave personale che diventa, tra virgolette, unica. Quella del mouse è un po’ una sfida perché a me non piacciono le cose dritte, perfette, fatte bene. Preferisco il grottesco e il fatto che magari il mouse ti faccia fare quell’errorino, quella curva inaspettata…. c’è la parte che è vicina all’analogico, quindi all’errore, a dover cancellare, dover rifare. Immagina che quando ho presentato i testi a Eris e mi hanno detto no, devi riscrivere questa parte, io l’ho cancellata e l’ho rifatta da zero… Quindi a volte aiuta nei tempi, altre volte no, però il risultato secondo me è qualcosa di unico.
Ritornando all’elemento umano, nella sua prefazione Stefano Zattera parla di “fisicità e caducità umana raffigurate in tutti i loro aspetti e senza sconti”. È una bella descrizione del modo in cui tu rappresenti l’umanità nelle tue storie. Che ne pensi?
Zattera centra quello che volevo fare. Ho cercato appunto di trasmettere un messaggio su un’umanità malata, su una società alla deriva, perché questa società qui secondo me non rappresenta l’uomo. Non c’è umanità e anche questo è un punto di riflessione. Naturalmente l’ho fatto a modo mio, ho cercato una rappresentazione grottesca perché mi piace il surrealismo. Non sono un realista, mi piace un po’ viaggiare e interpretare la realtà secondo quello che vedo io. Stefano ha scritto una bellissima prefazione, ad esempio lo apprezzo molto quando definisce il mio segno come neo-primitivismo. Io sono un fan di Mike Diana, sono molto legato a quegli anni Novanta e a quel disegno sporco, un po’ punk e mi rivedo in quelle cose lì, nelle fanzine… Comunque Stefano l’ha scritta e poi io l’ho ricopiata a mano con il mouse e ci ho messo tre giorni. Leggetela.
Quindi hai trasformato anche l’introduzione in una forma d’arte?
In disegno, esatto. Non è testo, anche questo è un ibrido. Perché no? Si può fare!
Siamo a Lucca, dove il fumetto è vissuto in una chiave più pop. Com’è portare l’underground in un contesto come questo?
Non ho passato molti anni qui, sarà la terza volta che vengo e non ho visto grandi cambiamenti. Però c’è chi dice che si è indirizzata molto verso la cultura pop e quindi ha abbracciato, oltre al fumetto, il cinema e la cultura mainstream in genere. Insomma, c’è di tutto. Però il padiglione Napoleone rappresenta un po’ un insieme di case editrici, alcune nuove altre meno, che comunque abbracciano anche l’underground. Direi che se guardiamo chi, diciamo così, ce l’ha fatta, chi adesso pubblica con le grosse case editrici come Zerocalcare o Fumettibrutti, comunque arriva dall’underground. E questi sono solo due nomi ma ce ne sarebbero parecchi. Io stesso, che non faccio fumetti da tanti anni, vengo dal mondo dell’illustrazione, che è una realtà che non si caga a nessuno e ho trovato che Eris oppure In Your Face Comix o Sputnik Press fanno parecchie cose underground. E anche bellissime, perché autori come Samuele Canestrari o come Federica Ferraro o Officina Infernale sono molto borderline e sono tutti presenti a Lucca. Questo è un segnale positivo.
Secondo te, in qualche modo, può esserci una contaminazione per far diventare un po’ più pop l’underground?
Io direi il contrario, cioè far diventare più underground il pop. Però vedo che per esempio la Self Area è sempre ridotta. Bisognerebbe puntare di più sulla Self Area perché negli anni può fare la differenza. Da lì possono nascere le novità e magari sarebbe il caso di spostarla sempre più vicino a Napoleone, cercare di fare una coesione, un collegamento migliore di quello che c'è adesso.
Parliamo di Jackpot, che è composto da dieci storie brevi. Che differenza trovi nel lavorare su una storia breve rispetto a una lunga?
Fra storia lunga o breve non ho una preferenza. Ad esempio con Dast, per La bambina fantasma, mi sono trovato bene e sono tre capitoli per 144 tavole in totale. E anche lì, se nella mia testa ho già un percorso logico su come muovermi, come disegnare, come fare, io in un paio di mesi riesco a metterle insieme tranquillamente. Quindi che siano lunghe o che siano corte non è un problema. Il problema è proprio visualizzare graficamente quello che ho in testa e poi buttarlo su un foglio. Quella è la parte un po’ più difficile.
Come hai scelto la sequenzialità delle dieci storie? Stupisce che la lettura risulti lineare, scorrevole anche se sono state pubblicate altrove prima di essere raccolte in Jackpot.
È un passaggio che mi è venuto abbastanza naturale. Mettendole insieme lo stile ha aiutato e tiene insieme un po’ il tutto. Così sembrano storie abbastanza collegate tra di loro. Ce ne sono alcune che hanno il tema comune della depressione, che è il malessere di questa vita. Altre legate ai cyborg, una dedicata a Gaza e l’ultima a Foureyes.
Accenniamo pure qualcosa di più su Earl Foureyes, per il quale hai collaborato con Stefano Zattera?
Sì. Lui ha questo bel progetto di una pubblicazione per la quale ha chiamato diversi autori, ognuno dei quali è chiamato a realizzare otto tavole. Lui invece aggiungerà il collegamento tra le varie storie. Sono curioso di vedere cosa ne uscirà perché sarà un bel librone. Il titolo appunto è Earl Foureyes – Giù nel Multiverso e sarà una cosa molto fantascientifica. C’è un crowdfunding che chiuderà tra poco meno di due mesi. La raccolta fondi è sì per pagare gli autori, che comunque avevano già una quota predeterminata messa a disposizione da Barta Edizioni, ma ci saranno dei pacchetti che consentiranno, se uno vuole, oltre al libro di prendere anche una tavola originale, oppure una maglietta. Ci sono diversi pacchetti e soluzioni, uno sceglie un po’ quello che più gli interessa. Secondo me è stata un’idea vincente.
La dedica di Nicola Stradiotto per Lo Spazio Audace.
Chiudiamo con una domanda che stiamo facendo a tutti. Tu useresti mai l’intelligenza artificiale per i tuoi lavori?
Oddio, non lo so fare, probabilmente no. Mi piacerebbe provare perché proprio non la conosco ma non per i fumetti. Io comunque farò i miei fumetti come sempre, se poi è un mezzo per sperimentare ben venga, ma sicuramente non la utilizzerò. Ecco, non so neanche come si fa e non mi interessa. Chi lo sa, se domani troverete dei miei lavori fatti con l’AI ci ritroveremo e ne parleremo, d’accordo?
Grazie per il tuo tempo, Nicola!
Intervista a cura di Giovanni Dacò, Giuseppe Lamola, Paolo Ferrara, realizzata il 1 novembre 2025 a Lucca Comics & Games.
Nicola Stradiotto
L’universo artistico di Nicola Stradiotto (1979, Asolo, Treviso) si nutre di disegno contemporaneo, fumetti indipendenti, nonsense, surrealismo, pop art, fluxus, blotter art e street photography, influenze che mescola attraverso vari formati, materiali e tecniche (pittura acrilica, inchiostro e collage). I suoi lavori sono stati esposti in Italia, Stati Uniti e Messico. Ha pubblicato illustrazioni e fumetti su Carpazine (New York), Merde Magazine (Parigi), Antifa!nzine, Capek Magazine, Zazà Mag, Interiors e nella raccolta Pride per Spaghetti Comix. Con In Your Face Comix ha pubblicato Jackpot, La Bambina Fantasma con Dast, Ufo Paranoia e ha partecipato alla raccolta Fumetti di Menare.












