The Cut Up Year Two Thousand Vortex – O di un tempo corrotto
Il presente è invivibile in queste pagine di Officina Infernale che non cercano redenzione né per l'autore, né per i lettori
Una delle cose più interessanti dell’arte sequenziale, sia questa fumetto o cinema, è sicuramente il montaggio. Il montaggio è la capacità di scandire il tempo dell’immagine, di irregimentare la percezione del tempo dello spettatore muovendo la sua attenzione secondo un criterio ben definito da chi orchestra la narrazione. Ogni arte punta a fare questo in qualche modo: la scrittura gestisce i tempi quanto lo fa il teatro, ma nessuna arte riesce a estremizzare il concetto quanto possono farlo il cinema e, ancor di più, il fumetto.
Avvicinandosi agli estremi della sperimentazione sulla percezione dell’immagine, il fumetto rende possibile l’osservazione di un tempo impossibile mantenendone la sequenzialità, un effetto che il cinema perde per diverse ragioni. Su tutte, il cinema non è fisico, la pellicola scorre sempre verso una direzione, il futuro, e l’immagine precedente è perduta per sempre, conservata solo nella memoria del suo spettatore. Il fumetto invece è lì, nelle tue mani, le parti della sequenza sono tutte contemporaneamente sotto i tuoi occhi e tu hai il potere di scorrere gli occhi sulla pagina come meglio ti aggrada sia in avanti, in un ipotetico futuro narrativo, che indietro, nel passato della storia.
Il tempo che sceglie di raccontare Officina Infernale con il suo The Cut Up Year Two Thousand Vortex – Generatore Analogico di Caos per Eris Edizioni è un tempo impossibile, il nostro presente. Officina ci racconta la nostra percezione del mondo dopo la nascita di internet, completamente fagocitata da una sovrapposizione insopportabile di immagini. Un horror vacui che cattura i sensi e li intorpidisce annullando l’individuo, il sociale, l’interpersonale. Niente esiste più, risucchiato dal Vortex che non è soltanto il web, ma tutto il suo linguaggio e l’influenza che esso ha avuto su tutti noi.
È un mondo in cui non è possibile nessuna condivisione, nessuna storia può completarsi perché nessuno è interessato ad ascoltarla per intero, pronto a scrollare verso i prossimi quindici secondi, verso le prossime luci e colori, verso il prossimo stimolo vuoto, volto soltanto a spostarsi in un tempo dissociato in cui il corpo perde la sua fisicità e il tempo il suo senso.
L’opera è un'esplorazione del linguaggio contemporaneo e raccontarvi la sua trama è pressoché impossibile, per via del fatto che la trama quasi non esiste. Le immagini sono dei collage grafici in stile misto che sovrappongono narrazioni su narrazioni e immagini apparentemente senza senso a testi illeggibili, perché la comunicazione in un tempo corrotto non è possibile, perché questo tempo non vuole comunicare niente, vuole solo riempire la pagina.
Ma non è solo un riempire la pagina quello di Officina, che con grande sapienza allestisce questo suo concerto visivo alienante e inascoltabile. Questo caos parla, è comprensibile, il messaggio che lancia viene fuori dalla pagina, e raggiunge il lettore in modo metanarrativo.
L’autore prende la parola e racconta l’opera mentre la costruisce, con intere pagine di testo. Sono dei piccoli momenti di respiro per orientarci nel caos, uno stop and go che immediatamente ci rispedisce in queste pagine estreme. Questo caos non è solo uno stato psicologico del narratore, ma una sua descrizione di ciò che ci circonda. Questo fumetto è a malapena un fumetto per il semplice fatto che la realtà è a malapena la realtà, perché questo eterno presente ripetuto ci lascia inermi, impossibilitati a leggere un tempo e uno spazio in cui vivere.
Il sesso, la comunicazione, la fiducia e il rapporto fra di noi, con le istituzioni, con le cose del quotidiano, tutto passa per la ghigliottina di Officina, tutto viene tranciato di netto e ricostruito, riassemblato divenendo orrore profondo.
Diciamolo chiaramente, The Cut Up Year Two Thousand Vortex non è, e non vuole essere, un fumetto di facile leggibilità. Si tratta di un'opera che vuole stordire continuamente il lettore, mostrando un aspetto che egli già vive nella sua quotidianità che, così estremizzato, viene portato alla luce in maniera estrema.
Non siamo sicuri che il mondo sia esattamente quello che racconta Officina in questo suo fumetto, ma sicuramente egli ne coglie pienamente una problematica. Forse non è nemmeno vero che tutto il reale è impossibile, che siamo paralizzati come egli afferma, e come molte correnti filosofiche molto in voga in questo periodo sostengono, ma la sensazione, bisogna ammetterlo, è proprio quella di essere soffocati da ciò che ci circonda, da immaginari che, autofagocitandosi, ingoiano anche noi e non rendono possibile la visione di una sorta di insieme che potremmo chiamare società.
D’altro canto, il mondo non è solo narrazione, al contrario di ciò di cui ci siamo convinti, e la realtà crea le parole tanto quanto, o forse più, le parole creano la realtà.
Officina porta a noi lettori un’opera essenziale, uno spaccato estremo di un linguaggio, per certi versi un saggio di semiologia, sia visivo che scritto, ma anche un urlo, uno sfogo personale, come se la pagina fosse una stanza già piena di oggetti (le immagini) e l’autore costretto in esse provasse a farsi spazio rompendo, frantumando, riassemblando per sé una via d’uscita che resta impossibile.
Alessio Fasano