Essentials: la Ms. Marvel di G. Willow Wilson

“Reimparare a meravigliarsi”

In principio, il fumetto di supereroi era una scusa per mostrare un bel po' di azione in poche pagine. Volevano i cazzotti, magari si disegnava qualche sfondo più o meno esotico e così via ad libitum sfumando per tavole e tavole. Cambiava il costume fra una serie e l'altra? Sì, diciamo di sì, forse i colori e qualche foggia, ecco, ma la sostanza quella rimaneva.

Tutto però cambia nel 1941, quando il supereroe noto al mondo come “The Comet” nel numero 17 della sua testata torna a casa dopo una lunga avventura... solo per essere ucciso da una banda di gangsters. E quindi, dopo anni a parlare di maschere, il fumetto di supereroi dimostra che il suo vero potenziale era stato nascosto per lungo tempo, e che più che un veicolo per mostrare un bel po' di azione, il suo superpotere era essere un ottimo veicolo per raccontare storie di persone vere, le cui azioni avevano conseguenza nel reale. Certo, persone che sparano i raggi dagli occhi, ma soprassediamo.

L'effetto Comet però non prende subito piede fra i suoi compagni di avventure, complici alcune avverse condizioni storico/sociali che non aiutavano la sperimentazione del genere, ma nel 1962 un uomo di quarant'anni baffuto ed un uomo di trentacinque anni sbarbato (con un piccolo aiuto del Re dei fumetti) mettono su un qualcosa che più che una cometa fu l'asteroide che portò all'estinzione dei dinosauri; un personaggio che spiccava così tanto dai molti uomini in tuta venduti un soldo la dozzina che ridefinirà il genere per sempre, ovvero lo stupefacente Uomo Ragno. Mi rendo conto che, per il SEO sarebbe molto più furbo chiamarlo Spider-Man, ma non mi avrete mai vivo. Mai. 

Vero nome Peter Parker, l'Uomo Ragno era uno dei superuomini più umani di sempre, un personaggio le cui avventure rocambolesche sembravano sempre meno importanti della sua vita complessa, fatta di persone bizzarre ed affascinanti tanto quanto i suoi avversari, se non di più. Mettiamoci poi che il buon Peter era un ragazzino adolescente durante le sue prime avventure, un ragazzo che si mascherava da Uomo quasi a voler dimostrare di essere maturo ad affrontare il mondo (ed in effetti la sua più grande maledizione era fingere di essere un qualcosa che già era), e il mix fu micidiale. Ad oggi l'Uomo Ragno da solo vende più merchandise di Superman e Batman messi assieme, ed è probabilmente nella top 3 dei personaggi di fantasia del fumetto americano più famosi di sempre. 

Questo successo planetario però mise l'aracnide nell'orecchio a tutte le case editrici del mondo tondo, portandole a pensare: «Bello, bellissimo. Possiamo farne un altro?».

I tentativi per ricatturare quel fulmine nella bottiglia furono decine: Nova il razzo umano, The Fly, Gravity, Static, Starman III, Blue Beetle, Stargirl, Darkhawk... ma solo due personaggi sono riusciti nell'impresa: uno era sempre l'Uomo Ragno, ma con un altro eroe dietro la maschera, l'altro è Ms. Marvel, nata nel 2013.

Ora, se il nome vi sembra banale, in effetti lo è; parliamo infatti di un nome “Legacy”, un nom-de-guerre che viene passato di personaggio in personaggio sia per creare una certa connessione col pubblico, sia per far sì che la casa editrice possa mantenerne il copyright (e mi dirai, se sei la Marvel, un nome con dentro il tuo nome te lo vuoi tenere megastretto). 

La prima Ms. Marvel era Carol Danvers, militare americana colpita da misteriose radiazioni che le avevano donato enormi poteri basati sull'energia e che di recente aveva cambiato nome in Capitan Marvel, con un costume disegnato da Jamie McKelvie.

E sarà proprio Jamie ha disegnare il nuovo costume della nuova versione del personaggio, basandosi non solo sulla praticità di dover indossare una buffa tuta in battaglia, ma anche sulle origini pakistane del personaggio. 

Le stesse origini di un'altra dei co-creatori del personaggio, l'editor Sana Amat, anch'essa di origini pakistane, che nei momenti di pausa fra un lavoro e l'altro raccontava la sua esperienza di crescere come una giovane americana di religione musulmana all'editor Stephen Wacker. La grande differenza culturale e gli aneddoti della Amat che Wacker trovò molto buffi portarono quindi alla realizzazione di un certo potenziale nell'idea di dare vita ad un personaggio che fosse sì di giovane età e un po' ai margini della società, ma per citare le parole dello stesso Stan Lee dovesse essere «almeno un po' diverso».

Ai testi di questa nuova serie venne chiamata G. Willow Wilson, ex critica musicale del New Jersey già candidata a vari premi sia per fumetti autobiografici sia per storie più fantasy. Ai disegni, Adrian Alphona, che aveva già colpito il pubblico con la serie Runaways, i cui protagonisti erano tutti adolescenti. 

E così come i Planeteers, questo quintetto del potere lascerà che i loro poteri si combinino per dar vita a un serie che per quasi 60 numeri farà qualcosa di completamente ossimorico: essere un classico fumetto di supereroi che però rompe tutti gli schemi del genere pur seguendoli tutti (anche quelli più fessi). 

Lo sapete perché molti supereroi di casa Marvel hanno nomi allitterativi? Perché Stan Lee non si ricordava una ceppa e mezza e quindi pensava che se si fosse ricordato almeno l'iniziale del cognome si sarebbe ricordato anche quella del nome (portando a vari equivoci buffi di cui non stiamo qui a parlare). Ecco, il nome civile della nuova Ms. Marvel è Kamala Khan. Allitterativo perché sì. 

Kamala è una ragazza che vive ai margini della società, letteralmente, perché non vive nella classica New York di tutti i supereroi principali bensì nella ben meno mondana Jersey City nel New Jersey, a meno di mezz'ora di macchina dalla grande mela... se avessi la patente, certo.

L'essere così vicina eppure così lontana da un mondo fatto di costumi colorati e poteri, in un mondo dove le celebrità non sono solo attori o influencer ma soprattutto “persone in tuta”, non lascia indifferente Kamala, che è infatti una fan sfegatata dei supereroi: scrive fanfiction su di loro, colleziona gadget e poster, con sommo fastidio dei suoi amici che mal sopportano questa sua ossessione, specie quella martellante diretta alla sua eroina del cuore, Capitan Marvel.

Un giorno come gli altri, durante una lotta intestina fra supereroi Kamala scopre però di essere ancora più diversa di quanto pensasse, poiché nel suo corpo c'è un gene latente proveniente dalla misteriosa razza degli Inumani, che viene attivato dalle fantascientifiche “nebbie terrigene”, donando alla nostra quello che ha sempre desiderato, ovvero un bel set di superpoteri. 

Kamala possiede quindi il quasi controllo totale delle molecole del suo corpo, e questo le permette di allungarsi, ingigantirsi, rimpicciolirsi, guarire dalle ferite o mutare forma. 

Nel momento in cui una ragazzina scopre di avere poteri straordinari, fa la scelta più razionale possibile: sceglie di usare i suoi poteri per il bene del mondo. Come i Fantastici Quattro nel primi numero della loro testata, del resto.

Da qui le avventure di Kamala iniziano a muoversi su due binari: la sua vita a Jersey City e la sua carriera da vigilante, dovendo barcamenarsi dal nascondere entrambe alla bisogna al suo grande cast di comprimari. 

Durante la serie, la Wilson ci presenterà infatti sia la famiglia di Kamala (madre, padre e fratello) che tutti i suoi compagni di classe e anche i suoi colleghi giovanili come Miles Morales, con il quale stringerà un fortissimo rapporto. 

Tutto questo mentre ci si andava a picchiare con le minacce di Jersey City, che comprendevano cloni a forma di parrocchetto di Thomas Edison, enormi cani col potere del teletrasporto, e anche primi amori sotto la forma di piccoli supercriminali.

Il bilanciamento era perfetto. Il tratto di Alphona (che resterà sulla serie solo nel primo sesto della sua run) era leggero e morbido, molto derivativo dal fumetto francese, e, aiutato da una palette pastello di Ian Herring, sembrava quasi etereo. 

Nel momento in cui Kamala prendeva proporzioni folli o bizzarre, il personaggio sembrava quasi inquietante nella sua stranezza, e al contempo goffo e spaesato come può essere solo chi ha scoperto cinque minuti prima di avere dei superpoteri. 

Le espressioni sui volti sono carichissime, è impossibile non capire cosa stia provando ogni personaggio su tavola, e la regia è tanto semplice quanto efficace nell'alternare scelte tutto sommato senza pretese a splash page complesse dove le linee danzano come le onde del mare mosso dal vento, incastrandosi  strettissime o semplicemente sfiorandosi leggermente per degli effetti grafici che sono una rarità nel fumetto mainstream. 

Di solito, un disegnatore di supereroi vince quando ti fa sentire l'impatto dell'azione fantasmagorica, delle botte da orbi, dei raggi che sono uno specchio dell'anima, ma Alphona ribalta lo script su se stesso e mostra sì delle scene d'azione interessanti e creative, ma sono gli abbracci, i sorrisi, o la mancanza di un contatto fisico a colpire di più in ogni sua tavola della prima parte di questo ciclo di storie. E questo stile bizzarro accompagnerà la serie per tutta la sua durata, portando tutte le varie autrici ed autori che si approcceranno a prendere in mano l'eredità di Alphona a dare il loro contributo stando seduti sulle spalle di un'artista che non aveva bisogno di nebbie terrigene per diventare gigante. Già lo era.

Al contempo la prosa di Wilson era molto semplice: Kamala si sentiva fuori posto ovunque fosse. In America dove era troppo pakistana, in Pakistan dove era troppo americana, nel gruppo di amiche che avevano opinioni più forti di lei su molti argomenti, in famiglia dove i conflitti fra il padre ed il fratello sulla visione religiosa della vita erano all'ordine del giorno... insomma, Kamala si muoveva e parlava come una vera adolescente, non come un'adolescente scritta da una trentenne. E questa cosa, che dovrebbe essere la norma, era straordinaria. 

Certo, forse non tutto tutto quello che faceva o pensava Kamala poteva risuonare perfettamente con la vita di chi la leggeva, ma si trovava sempre qualcosa a cui appigliarsi, entrando così in una forte empatia col personaggio. Al contempo, Ms. Marvel cresceva, si evolveva, si lasciava alle spalle vecchi cliché del mondo del fumetto come l'identità segreta a tutti i costi o il voler per forza tornare ad uno status quo sempre uguale, mostrandoci quel tanto agognato mondo fuori dalla finestra tanto amato dalla Casa delle idee (come sempre, ovviamente, un mondo dove ci sono draghi spaziali, troll teleporti, cloni fatti di plastilina e paperi che parlano, ma non sottilizziamo). 

E poi quello che era il grande cuore di questa serie: il concetto stesso di cambiamento. 

Perché Kamala può diventare tutto quello che vuole, può cambiare aspetto, dimensioni, città, evolversi come essere umano ricco di potenziale... ma è sempre legata ad un centro di grande moralità.

Sarò banale, sarò naïf ma trovo tutta l'essenza del concetto di supereroi racchiusa in questa frase: “Posso fare tutto, quindi scelgo di essere buono”.

C'è una frase ad inizio ciclo di questa lunga serie che è tutto sommato molto semplice: «Bene non è quello che si è, bene è quello che si fa»; sono sorpreso non sia diventato un mantra à la: «Da grandi poteri derivano grandi responsabilità». 

Perché il segreto è tutto qui, nell'apparente semplicità di costruire un qualcosa che abbia tutto quello che il genere ha di grande, di bellissimo da offrire; quella folle speranza che se qualcuno avesse un potere infinito lo userebbe solo per poterlo dare agli altri, unito alla dura realtà che non sempre le cose vanno come vorremmo e che forse le persone che ci circondano sono persone vere e non set di un gioco di ruolo che si muovono secondo le nostre idee di come dovrebbero muoversi. 

Ms. Marvel agisce in un mondo di conseguenze, un mondo fatto non per lei, ma per tutti. Un mondo la cui fiamma della creatività è stata accesa da un robot umanoide difettoso fuori posto, portata avanti da un gracilino idealista, da una famiglia di esploratori, da un giovane scienziato, da un cumulo di adolescenti addestrati in modo paramilitare e da tutta una serie di buffi personaggi in costume.

Ma quella torcia, quel fuoco di meraviglia pura, non riesce sempre a brillare al suo meglio, e se è vero Ms. Marvel è una serie molto definita dal passato, è al contempo una serie nuova, fresca anche oggi a distanza di dieci anni. 

Perché il genere non è rotto, non è in stanca, semplicemente deve trovare il suo focus, quella centralità interna che ci ha fatto prendere per la prima volta un albo da 22 pagine a colori tenuto assieme con delle spillette e ci ha fatto pensare a quanto fosse tutto così bello ed interessante, perché era tosto, era vero, e anche se eravamo fuori posto, sapevamo che fra le pagine avevamo degli alleati che ci avrebbero aiutati. 

Qualcuno che, come noi, quel posto non lo aveva. Ma con la testa bassa, e un po' di arroganza del Jersey, se lo è preso a forza. 

La Ms. Marvel di G. Willow Wilson e Adrian Alphona (e molti altri artisti che sono avvicendati sulla serie) ci fa sentire adolescenti anche perché ci riporta a scuola, e ci insegna di nuovo cosa significhi restare a bocca aperta.

Giovanni Campodonico

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