Ragazzo e la verità fragile della giovinezza
I simboli, le emozioni e la forza di crescere raccontati da ZUZU
Nella puntata del suo podcast Parlarne tra amici dedicata a ZUZU e al fumetto, Daria Bignardi riflette insieme all’autrice e si chiede “Quanto la felicità è legata a essere in contatto con noi stessi ‘veri’, a quello che davvero sentiamo?”. Fissavo questa frase appuntata sul mio taccuino mentre mi trovavo al parco, a Milano, faceva caldo ma non troppo. Poco lontano, un gruppo di baldi anziani intonava canzoni degli anni Sessanta e Settanta ridendo, bellissimi nei loro costumi colorati, stesi sul prato su stuoie e sdraio pieghevoli. In testa ronzava Era già tutto previsto di Cocciante. Non saprei dire il perché, ma non credo esista un contesto migliore per ragionare e poi scrivere di Ragazzo. Se dovessi catturarne l’essenza e descriverla in immagini, userei queste.
ZUZU, pseudonimo di Giulia Spagnulo, è a oggi una delle voci più interessanti del fumetto italiano. Con Cheese ha esordito raccontando l’adolescenza con un tratto intimo e ironico, mentre Giorni felici e Ragazzo confermano la sua capacità di esplorare l’identità e le fragilità umane con delicatezza. Il suo stile espressivo combina introspezione e leggerezza, trasformando esperienze personali in narrazioni universali. ZUZU dimostra un talento e una sensibilità rari, emozionando senza cedere al sentimentalismo facile.
Striscia del numero 1393 di Internazionale, Nuovo sentimento.
Ragazzo (Coconino Press, 2025) è un racconto immersivo dove più voci e più punti di vista si fondono. Ha il carattere di una storia che potrebbe finire sul grande o piccolo schermo, una presa cinematografica che lo rende magnetico senza voler poeticizzare troppo una realtà che, seppur indie e giovanile, sa essere brutalmente concreta, dolorosa e complessa. Si fa carico di un tema fondamentale, senza sforzarsi perché tutto fluisce in modo naturale, semplicemente osservando la vita che scorre: dove si trova la verità quando si è giovani e pieni di paure? Ma soprattutto, che verità stiamo cercando? Ce n’è una sola? E perché spesso è quella che più ci serve a non piacerci per nulla?
La trama sembra semplice: Francesco si innamora di Alice tra i banchi di scuola, in sottofondo Right on Time dei Red Hot Chili Peppers suona come una dolce profezia. Un amore giovanile, liceale ma forse l’amore meno banale mai scritto. L’adolescenza è il punto di partenza di tutto, eppure non sempre quel tutto è spensierato e leggero. Francesco ne è la riprova, col tumulto che si porta appresso e dietro il petto, un macigno inesplicabile che si tramuta anche nella sua più grande frustrazione: quella di non saper mantenere un’erezione con la ragazza che ama. Tra fiumi di alcol, feste, baci intensi e molte sigarette scopriamo che il rumore e la confusione non appartengono soltanto a lui. Un compagno di scuola, Andrea, scompare dopo una serata fra ragazzi e per un po’ di lui si perde ogni traccia. Da quel momento, il sottile argine di certezze che teneva insieme l’esistenza di Francesco si sfalda rapidamente, lasciando scorrere anni di silenzio, difficoltà a decifrare ed esprimere emozioni e uno spazio in cui comunicare e spiegarsi non è contemplato. E se è vero che è sempre già tutto previsto, e le cose capitano al momento giusto, right on time, il tempismo tira i fili di un racconto che si fa meraviglioso a ogni pagina.
Al centro di Ragazzo c’è una ricerca di serenità che attraversa tutti i personaggi, ognuno a modo suo. Perché dopo il vuoto lasciato da un adolescente, gli adulti sembrano avere l’opportunità di capirsi meglio. Per Rita, madre di Andrea, etichettata come “stramba” e “impasticcata”, il momento di guardarsi dentro viene durante una lunga camminata con Luigi, il suo amico avvocato, semplicemente per “fare qualcosa da ricordare” in una vita di azioni senza apparente valore.
Giovanni, padre di Francesco, chiamato a cercare Andrea a Bologna dopo un gesto estremo da parte del figlio, riscopre legami e ricordi della sua giovinezza (come quello dell’uccellino scomparso da una gabbia senza segni di effrazione, tornato poi inspiegabilmente al suo posto) e si imbatte in Rita, condividendo una conversazione che gli ricorda come il mondo interiore non sparisca mai davvero, ma solo si sottragga sotto le pressioni della quotidianità.
E Rosa, madre di Francesco, intrappolata in una vita di routine in conflitto costante con la prole (o l’idea di essa) che ritrova frammenti di autenticità nel ricordo dell’amore per Paola, incontrata quando quest’ultima è sbocciata nella sua forma più pura e autentica, ricordandole cos’è la bellezza. E impara che non è mai tardi per un sodalizio madre-figlio.
Così la ricerca di serenità e verità non è astratta: è radicata nei dettagli quotidiani, nelle relazioni, nelle piccole fughe e nei ricordi che ci definiscono. Ragazzo non è la storia di un ragazzo, bensì la rivendicazione di uno stato d’animo. La perdita di senso delle cose. Quello che siamo nell’attesa di qualcosa (o qualcuno) che scompare. Si può vivere nel “mentre”, tra due fratture? E in tutto ciò la vita che senso prende? A volte il più profondo possibile, perché può capitare che nella perdizione d’altri si ritrovi sé stessi. Sesso, droga, morte non valgono nulla di fronte alla prospettiva di poter cambiare per essere felici, anche se è sempre doloroso. Del resto i migliori del nostro tempo hanno saputo riconoscere subito come ci siano possibilità di crescita nettamente maggiori nel mostruoso anziché nell’idillio del paradiso.
Il fumetto è estremamente contemporaneo e attuale, eppure le sue ambientazioni, gli abiti dei personaggi e il modo in cui si svolge la vita quotidiana hanno il sapore degli “anni che furono”, quelli che la nostra memoria legge come meravigliosi perché cristallizzati in un passato che, per il nostro cervello irrequieto, è sempre migliore del presente. La nostalgia e la contemporaneità convivono, creando un ponte tra il mondo esterno e l’universo emotivo della storia.
ZUZU col suo stile corposo, denso e sintetico (pose, dimensioni, distorsioni: tutto è funzionale e riesce a trasmettere le giuste sensazioni) trasforma ogni dettaglio, anche il più piccolo, in una possibilità di introspezione e riflessione. La dimensione dell’immaginazione ha la medesima importanza del mondo materiale e occupa lo stesso meritato spazio. L’uso del pennarello Giotto, associato da sempre all’infanzia, che sporca e sbava e striscia ma allo stesso tempo copre, scalda e definisce è un tocco geniale che denota l’estremo bisogno di libertà dell’autrice e consente di raffigurare le emozioni in modo vivido e impensato.
Un altro punto a favore di ZUZU è il simbolismo, a partire dai riferimenti sessuali espliciti e, quando non disastrosi, esilaranti. Le rappresentazioni falliche diventano metafore della maturazione emotiva: dipingono una fertilità e un desiderio che sono più mentali che fisici. Una voglia di libertà di vivere, di esprimersi, di muoversi. Le erezioni mancate non sono semplicemente il fallimento di una performance, ma finalmente diventano un sintomo di malessere. Il pene funziona davvero sempre e solo nella fantasia: quasi ogni volta che compare nella storia è speranzoso ma manchevole, inconcludente, timido. Come solo un ragazzo alle superiori può esserlo.
Immensa la metafora finale che (senza spoiler) suggerisce forse non tanto l’arrivo ma il punto di partenza per la verità, o almeno, quella di Francesco: calma, saggezza, tranquillità, introspezione, consapevolezza di sé. Bisogno di vivere nel presente. Buona fortuna, gentilezza. Anticonformismo.
Ad aprire il fumetto sono le parole di Conrad: “Avevo la sensazione - come posso dire? - che da lì non ci fosse nessuna verità da tirar fuori. Quale verità?”. Forse non troveremo una risposta tangibile a questa domanda, alla fine della lettura. Senz’altro, però, guadagneremo in sensazioni concrete e un'inguaribile voglia di fare esperienze. Guadagneremo un amore primo, e anche ultimo nel suo genere. Senza fronzoli, diretto e imperfetto. Meccanicamente impossibile: quando al nostro interno siamo a pezzi, niente fuori funziona come dovrebbe.
Azzardo a dire che Ragazzo andrebbe portato nei licei, accanto a bombolette spray e cuffiette trasandate, tra una nota sul registro e un sei e mezzo in greco. Andrebbe portato per ricordare che il dolore ha un linguaggio tutto suo, soprattutto a quell’età, e che deve essere tutelato. Un po’ di Francesco è in ognuno di noi. Un ragazzo che diventa una meditazione sulla giovinezza, sulla perdita, sulla scoperta di sé e sulla verità che cerchiamo in ciascun legame, in ciascuna emozione, in ciascun silenzio tra le parole.
One shot all I need. I’ve got rhythm when I bleed.
Aurora Galbero